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Lucci va in bianco con il soprarighismo di Funari

Pian piano sta delineandosi un nuovo format: blob e teche più inserti attuali, l’evoluzione strutturata e postuma di C’è più il nome della star di turno. Una versione adulta di Techetechetè di Rai 1. L’altra sera ne abbiamo visto la versione più avanzata in Lucci incontra Funari, sorta di celebration in cui Enrico Lucci omaggiava, ricordava e risvegliava dall’oblio Gianfranco Funari con l’aiuto di una serie di ospiti (lunedì, ore 21,25, share del 2.47%). Il risultato, per quanto mi riguarda, è un certo spaesamento, una certa perplessità. Mi piaceva così tanto il Lucci che tendeva agguati ai politici, sorprendeva Gianfranco Fini o Fausto Bertinotti, incontrava Luciano Gaucci, aspettava al varco gli invitati alle cene di Matteo Renzi, si fiondava alle convention dei Giovani imprenditori o raccontava le nuove beauty farm per cani, che vederlo di bianco vestito mi ha lasciato un po’ così. È vero, l’incontro con l’anima di Funari era situato in Paradiso, ma questo equivale a privarlo dell’artiglio degli sguardi, della smorfia scettica, dello sfottò romanesco. Nelle interviste Lucci cita sempre l’inventore di Aboccaperta, il trash talk che ha fatto la storia della televisione («dal 2 al 33% di share su Rai 2», si vantava). È una delle sue fonti ispirative, dei suoi riferimenti, il papà inventore (con Sandro Curzi) della gggente. Però no, non mi ha convinto fino in fondo la celebration, sebbene contenesse due perle. La prima, la fulminante e credibilissima parodia di Corrado Guzzanti del Funari nell’aldilà. La seconda, l’intervista testamento che gli fece Lucci, che evidenzia la differenza tra il Lucci vero e quello di riporto.

Rivisitato, tra gli altri, da Francesco Rutelli, Antonio Di Pietro, Roberto D’Agostino, Emilio Fede, Salvatore Ciraolo, e l’ultima moglie Morena Zapparoli, ora si può azzardare che, con la parlata, la mimica, il gusto della provocazione trash e la tendenza all’antipolitica, Funari anticipò il telepoulismo. In realtà, più che essere un telepopulista, lo faceva, ci faceva, come dimostrò il pretenzioso Apocalypse show-Vietato Funari mega show con velleità intellettuali. Dietro il gergo c’era la certezza di saperla più lunga di tutti, e di spiegarla a tutti. Dietro la mortadella c’erano i gemelli d’oro al polso. Più che gli eccessi sottolineati da Maurizio Costanzo, dominava il soprarighismo senza cedimenti.

Perplessità, dunque. Il format della memoria e della nostalgia, per ricostruire un archivio collettivo di sentimenti com’è nelle intenzioni del direttore-autore Carlo Freccero è una buona idea e può funzionare. Ma, forse, meglio con altri protagonisti e interpreti.

 

La Verità, 27 febbraio 2019