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Mr. Robot, Robin Hood nell’era di Anonymous

Deve ancora partire, qui da noi provincia Italia (su Premium Stories di Mediaset, il 3 marzo), ed è già fenomeno di culto. È la serie più premiata dell’anno, sei statuette tra cui quella di miglior drama ai Golden Globes. Tra download, streaming e visioni da Usa Network, la rete generalista che l’ha prodotta e già rinnovata per la seconda stagione, di Mr. Robot si discute sul web fin dall’estate scorsa. E se ne discute, generalmente, elogiandola ed elogiando il suo creatore, lo scrittore di origini egiziane Sam Esmail. Per dire, l’account Twitter di Wired Italia ce l’ha come foto del profilo e ne parla senza mezzi termini come di “un capolavoro”. Recensioni entusiastiche pure dalle più autorevoli testate americane, New York Times in testa, fino alle riviste specializzate (Hollywood Reporter e Variety).

Mr. Robot è una serie molto particolare, rivolta a un pubblico giovane, di nicchia, a metà tra “Fight club e un hacker movie” (sempre Wired), che ha per protagonista Elliot Anderson, un informatico della cyber securuty di una multinazionale dalla doppia vita. Sociofobico, con tendenze depressive, solitario se non proprio isolato, Anderson (Rami Malek) è un hacker giustiziere, pronto a intervenire per smascherare traffici pedopornografici o proteggere amiche e colleghe dall’ipocrisia di presunti fidanzati. Occhiaia profonde e carnagione meticcia, sguardo timido ma linguaggio inequivocabile, frequenta la notte metropolitana incurvato nell’inseparabile felpa nera con cappuccio, simbolo dell’isolamento ma anche della denuncia del mondo che lo circonda. Alla psicologa confida le ragioni della sua delusione e del suo rifiuto. “Tutti pensiamo che Steve Jobs fosse un grande uomo anche dopo aver saputo che ha fatto miliardi sulla pelle dei bambini. Oppure che i nostri eroi sono dei falsi”. Scorrono le immagini di Lance Armstrong, Bill Cosby, Oscar Pistorius, mentre osserva che “tutto il mondo non è altro che un imbroglio… E noi siamo ridotti ad usare i social media come surrogati dell’intimità”. Senza fare niente di più “perché siamo dei codardi”. Quando viene avvicinato dal misterioso Mr. Robot (Christian Slater) che vuole reclutarlo in un gruppo di insurrezionalisti anarchici, scopre che la sua ribellione è condivisa e può diventare concreta. Mr. Robot fornisce ideologia e pragmatismo alla sua lotta contro la corruzione e lo strapotere delle banche. “Che cosa succederebbe se abbattessimo un grosso conglomerato che possiede il 70% del credito al consumo”, ipotizza il misterioso personaggio. “Se colpissimo il loro datacenter potremmo cancellare tutto il debito che abbiamo con loro… Sarebbe il più grande evento di redistribuzione della ricchezza della storia”. Il conglomerato è la E-Corp, soprannominata Evil-Corp, la multinazionale della quale Anderson protegge i sistemi operativi.

Anarchicheggiante, sentimentale, complottistica e utopistica, basata sull’idea che il mondo sia governato da una cospirazione dell’1% di uomini invisibili, debitrice del caso Snowden, Mr. Robot è la serie più contemporanea in circolazione. Non perfetta, con qualche lentezza e ovvietà nel linguaggio della traduzione italiana. Ma ci sono le multinazionali, i cartelli della finanza, il potere delle banche e della Borsa. E c’è il cyber-anticapitalismo di Anonymous o Occupy Wall Street. “Ero un nerd e stavo tutto il tempo sul mio computer”, ha raccontato Esmail per spiegare la genesi del suo lavoro. “Ero un fan di Steve Jobs, ossessionato da lui. All’inizio sembrava contro Microsoft, poi un giorno l’ho visto insieme a Bill Gates e hanno unito le loro forze. Penso che si vivano molte delusioni quando si tratta dei nostri eroi. Io sono egiziano e sono andato in Egitto dopo la Primavera araba. Quella è sicuramente stata una delle ispirazioni della serie, perché la Primavera araba aveva a che fare con questa gioventù arrabbiata che era stufa del mondo e della società che le stava intorno. Attraverso la tecnologia quei giovani hanno incanalato la rabbia in qualcosa di produttivo e positivo che ha fatto la differenza”.

L’eccessiva presenza di termini tecnici riferiti alla Rete, poteva rendere ostica la serie fuori della cerchia nerd, ma la trama che dosa elementi esistenziali, sociali e sentimentali permette ai più di superare l’ostacolo.  Dando rilevanza socio-politica al web, Mr. Robot riesce là dove ha fallito The Following. E, con il suo protagonista depresso, una sorta di Robin Hood dell’informatica, ci fa compiere un passo nel decennio post-crisi, portandoci finalmente fuori dalla galleria di serial killer, poliziotti corrotti, zombie e avvocati dalla doppia vita.