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«Quando Craxi era l’uomo nero e io la sua strega»

Buongiorno signora Alda D’Eusanio, perché non è andata ad Hammamet per il ventennale della morte di Bettino Craxi?

«Per me la tragedia di Hammamet, come la chiamo, è una ferita ancora aperta. Non credo molto nelle visite collettive in occasione degli anniversari. Credo invece che vada fatta un’opera per ristabilire la verità e la giustizia sul caso Craxi, affinché il Paese possa riflettere su ciò che è stato. La fine di Bettino è stata anche la morte di un intero sistema».

«Bettino»: lo chiama spesso così, Alda D’Eusanio, in questa intervista; per sottolineare la prevalenza dell’uomo sullo statista e per esprimere il senso di un’amicizia che ha lasciato un vuoto. Giornalista, moglie del sociologo Gianni Statera, scomparso pochi mesi prima del leader socialista, D’Eusanio è un volto molto noto della televisione italiana. Ha condotto per alcuni anni il Tg2 e poi ideato e condotto diversi programmi di cronaca e attualità, da L’Italia in diretta a Ricomincio da qui, da Al posto tuo a Qualcosa è cambiato. Grazie all’abitudine a evitare troppe circonlocuzioni, da qualche stagione si è ritagliata uno spazio come opinionista di programmi popolari, soprattutto in Mediaset.

Non è andata ad Hammamet pur essendo amica del leader socialista.

«Ci sono sempre andata e ancora ci andrò, in forma privata. Ero un’amica come lo era mio marito, uno studioso, autore di molti libri, tra i quali uno intitolato Il caso Craxi. Immagine di un presidente».

In che cosa consisteva quest’amicizia?

«Mio marito, che era molto stimato da Craxi, me lo fece conoscere. Ogni 15 giorni o più spesso – dipendeva dai loro impegni – c’invitava a cena all’hotel Raphael. Con il mio carattere privo di formalità ero riuscita a superare le sue diffidenze iniziali. Bettino credeva nell’amicizia».

Pochi lo ricordano così.

«M’infastidisce che quando si parla di lui si citino sempre nani e ballerine. La sua casa era frequentata da politici come Giovanni Spadolini, oltre ai tanti amici socialisti. Il fatto di averla aperta anche a persone del mondo dello spettacolo come Ornella Vanoni, Adriana Asti o Caterina Caselli non ha fatto di lui il capo di un circo».

Come s’intende quando si rispolvera quel binomio?

«La politica spettacolo era già arrivata con Marco Pannella che fu il primo a usare la tv in modo moderno. Anche Sandro Pertini era molto attento alla sua immagine. Bettino non lo è mai stato, era schivo, persino timido».

Non dava questa impressione.

«Invece era così. Non amava i riflettori, il palcoscenico, il lusso».

A differenza del suo amico Silvio Berlusconi?

«Che però allora non faceva politica e si occupava, molto bene, di televisione. Berlusconi era il volto seduttivo del potere, l’esatto opposto di Craxi. Che non era né seduttivo né simpatico».

Ha ragione Claudio Martelli che ha intitolato il suo libro L’Antipatico. Bettino Craxi e la grande coalizione?

«Sì. Non faceva nulla per conquistarsi la simpatia di nessuno. Tutta la sua mente era rivolta alla soluzione dei problemi. L’unico momento di svago era la sera a cena, quando incontrava amici, politici, scrittori o persone dello spettacolo, ma sempre parlando di politica. Ha condotto una vita in un certo senso umile, al Raphael non viveva in un attico sfarzoso come si diceva, erano due stanze piene di libri, giornali e polvere».

Si è parlato a lungo del suo tesoro, conti all’estero, ville, donazioni alle amanti.

«Ancora la storia dell’oro di Dongo? A smentirla basta la sobrietà della vita condotta da lui e dalla sua famiglia. Le case in cui ha vissuto, compresa quella di Hammamet, l’unica di proprietà, erano come quelle due stanze al Raphael».

Perché dice che è stato ucciso? E da chi?

«Quando doveva operarsi e si sapeva che la Tunisia non aveva ospedali all’altezza, non gli è stato consentito di tornare in Italia. È stato un modo di ucciderlo. Solo la Tunisia l’ha accolto. François Mitterand disse che non poteva garantirgli la protezione: poteva garantirla ai terroristi assassini di innocenti come Cesare Battisti, ma non a un leader politico. Craxi non voleva sfuggire alla giustizia italiana, ma auspicava l’esercizio di una giustizia giusta, che non agisse come un potere deciso ad azzerare un intero ceto politico».

Martelli sostiene che è stato ucciso da una grande coalizione della finanza internazionale.

«Nessuno credo pensi realmente che il sistema politico e sociale della quinta potenza industriale potesse essere distrutto dal mariuolo Guido Chiesa e dal poliziotto Antonio Di Pietro. Sicuramente c’era un disegno. Martelli è sempre stato lucido nelle sue analisi, era il delfino di Bettino. Che, del resto, a differenza di altri leader, si è sempre circondato di persone di valore, come Rino Formica e Gianni De Michelis».

Non ci sono state anche colpe sue nel compiersi di quella tragedia?

«Eraclito dice che il destino dell’uomo è il suo carattere. Quello di Bettino lo portava a combattere mettendo da parte la prudenza. Non era capace di abbassare la testa per aspettare che passasse l’onda».

Ha visto Hammamet di Gianni Amelio?

«Sì e non mi è piaciuto. Non è né un documento politico né un’operazione verità sui suoi ultimi mesi. Se non ci fosse la bravura di Pierfrancesco Favino… È un film che non aggiunge nulla, solo cose sbagliate».

Per esempio?

«Il modo di raccontare la famiglia. Bettino era amato dalla moglie Anna e da Bobo, Stefania lo adorava. Nel film si vede quasi solo lei. Ma la vera infermiera era Anna, che non lo ha mai lasciato mezzo secondo, tranne quando è stata costretta ad andare a Parigi per curarsi. È morto quando si è allontanata, ma nel film è descritta come una donna che guarda la tv. Anche Bobo si era trasferito lì con la famiglia. Quegli ultimi anni sono stati raccontati meglio in Route El Fawara, Hammamet di Gianni Pennacchi».

L’amicizia con Craxi ha aiutato la sua carriera di giornalista?

«Io ero molto critica nei confronti della gestione della Rai del Psi e del Pci. C’è una mia intervista a Maria Latella del Corriere della Sera intitolata: “Telegarofano, la mia croce”. Commentandola, Giampaolo Pansa scrisse sull’Espresso: “Attenti a quell’Alda di notte”».

Aveva ragione?

«Faccia lei. Prima di diventare giornalista a 40 anni me ne sono fatta undici di precariato. Poi ho condotto il tg della notte che è quello che ti danno quando non vogliono farti far carriera. Ho cominciato ad avere successo nel 1996 con L’Italia in diretta quando Bettino era ad Hammamet da due anni. La prima conduzione in prima serata l’ho avuta nel 2001, con Al posto tuo, quando sia mio marito che Craxi erano morti».

Alla conduzione del tg delle 20.30 quando arrivò?

«Nel 1995. Fu Clemente Mimun a spostarmi, ma durò pochi mesi perché poi passai a L’Italia in diretta. Poco dopo spuntarono le intercettazioni delle nostre telefonate…».

Che cosa venne fuori?

«Lo chiamavo alla sera con mio marito, sapendo benissimo che eravamo intercettati, per chiedergli come stava e riferirgli lo stato di salute di Vincenzo Muccioli, nostro amico. Lui parlava, si sfogava anche. Io manifestai l’intenzione di scrivere un libro sulla sua vicenda».

Disse: «Sarò la tua voce».

«Il senso era questo: se riuscirò a convincere un editore sarò la tua voce. Si parlava di un libro da scrivere. Un’altra volta in cui raccontava del dolore provocato da un’ernia gli mandai affettuosamente “un bacino sulla bua, che ti passa”. Fui messa alla gogna, il mio peccato originale era stato ammettere di essere amica di Bettino Craxi. Lo rivendicai, chiedendo di dimostrarmi dove sbagliavo. Avevo anche rifiutato, come Enrico Mentana, di fare uno spot elettorale».

Gli attacchi non si placarono?

«L’Indipendente di Vittorio Feltri, L’Unità e Norma Rangeri sul Manifesto scrissero le cose più ignominiose. Se Bettino era l’uomo nero io ero una strega. Forse volevano anche colpire mio marito, socialista sopra le parti. Ma avevamo la coscienza a posto, non temevamo l’isolamento di cui fummo oggetto per anni. Quando andavo a mangiare alla mensa della Rai, come mi sedevo tutti si alzavano e restavo sola al tavolo».

Intanto continuava a condurre: come definirebbe la sua televisione?

«Una televisione coraggiosa, che guardava avanti e raccontava le storie delle persone comuni. Non a caso fu copiata da tutti».

Per esempio?

«L’Italia in diretta divenne La vita in diretta, poi Ricomincio da qui, Un pugno o una carezza, Qualcosa è cambiato hanno ispirato tanti programmi di questi anni, le storie e l’infotainment. È stata copiata anche la tecnica dei primissimi piani durante il racconto. Di pomeriggio Al posto tuo batteva Maria De Filippi. Ideavo programmi, ma dopo un anno mi mandavano via».

Perché?

«La libertà e la solitudine si pagano».

Non c’erano anche polemiche per l’uso di attori?

«La tv è fatta dal rapporto tra i telespettatori e il conduttore che tiene il pubblico legato alla storia. Io non recitavo e non facevo recitare, facevo passare i sentimenti, li stimolavo».

Negli ultimi anni è stata opinionista di alcuni reality. Che cosa le piace di questi programmi?

«L’unico reality è stato L’Isola dei Famosi. M’incuriosiva la durezza del format: le situazioni estreme, la sopravvivenza e la convivenza con persone diverse mettono a nudo il carattere delle persone. Poi sono stata opinionista anche per Piero Chiambretti e, a volte, per Barbara D’Urso. È la tv di adesso».

Che cosa guarda da telespettatrice?

«Seguo i programmi d’informazione, da Ballarò a Report a Porta a porta. E poi Maurizio Crozza, che mi diverte molto».

Tra i politici di oggi chi le fa meno rimpiangere quelli della Prima repubblica?

«Tutti me li fanno rimpiangere perché dopo di allora non c’è più stata vera politica. Berlusconi ci ha provato, anche se non era del ramo. Sono politica il Conte 1, il Conte 2 o allearsi prima con un partito e subito dopo con un altro? Lei vede in giro qualcuno che possa lontanamente paragonarsi a Giulio Andreotti, Bettino Craxi o Enrico Berlinguer?».

 

La Verità, 19 gennaio 2020

«Hammamet inneschi la riscossa della politica»

Una storia tragica che ha molto da dire all’Italia di oggi. La caduta del re. Il perdente in disarmo. La grande rimozione della politica repubblicana. È tutto questo, Bettino Craxi, oggi. Tra pochi giorni ricorrerà il ventennale della sua morte avvenuta ad Hammamet il 19 gennaio del 2000. Stanno per uscire libri e saggi. Si torna a parlare di lui e della sua eredità politica. Non del presunto tesoro nascosto chissà dove. Sono maturi, a sinistra, i tempi del perdono o, almeno, dell’assoluzione? Un film intitolato Hammamet, diretto da Gianni Amelio e con un bravissimo Pierfrancesco Favino, racconta gli ultimi sei mesi dell’ingombrante esilio del leader socialista.

Incontro la figlia Stefania nella sede della fondazione a lui intitolata dove, tra i suoi ritratti, spunta un busto di Giuseppe Garibaldi. Alle pareti si legge: «La mia libertà equivale alla mia vita», epigrafe posta sulla tomba dello statista italiano.

Signora Craxi, le è piaciuto Hammamet di Gianni Amelio?

Aspettarsi una ricostruzione storico-politica della vicenda di mio padre sarebbe stato sbagliato. Gianni Amelio è un regista dell’anima, non poteva che raccontare il dramma e l’ingiustizia profonda dell’esilio. Ritengo importante che un regista, che non proviene dal mondo socialista e non tratta tematiche politiche, percepisca questa grande ingiustizia della storia repubblicana.

Suo fratello dice che è troppo romanzato.

È un suo giudizio. Ma è un film, ovvio che sia romanzato.

Si riconosce in Anita, la figlia del Presidente come siete chiamati nella pellicola?

Anita è un omaggio a Garibaldi di cui Craxi era un estimatore, ed è anche il nome che ho dato a mia figlia. È una domanda che non mi sono posta. L’attrice è molto intensa. Ma a un certo punto mi sono detta che, forse, un piatto in più di pasta potevo lasciarglielo mangiare!

Si è trovata troppo inflessibile?

Vedendomi ho pensato: «Che rompicoglioni!». Ma poi ho dovuto ammettere che Anita a tratti mi assomiglia, su alcune cose avrei potuto mollare un po’ di più.

Come interpreta la frase «Io mio padre ho cercato di salvarlo, ma non ci sono riuscita», pronunciata dopo che Fausto, personaggio di fantasia, dice di aver ucciso il padre, tesoriere del partito, che «era un criminale ed è diventato un martire»?

Non la interpreto. È vero che ho cercato di salvarlo e non ci sono riuscita. Ho battuto tutte le strade perché fosse curato nel suo Paese o all’estero. Non ci sono riuscita. È esattamente ciò che è successo. Ho anche cercato di metterlo in guardia dai falsi amici. Invano.

Chi erano?

Tante persone a cui ha dato fiducia e ruoli e non lo meritavano. È una riflessione che ha fatto lui stesso e si trova nei suoi scritti.

Nel film Craxi è un uomo solo. In sogno, quando uno sketch tv gioca sull’assonanza milanese tra lader e leader, anche suo padre ride divertito.

Se questo film trasmetterà al pubblico il dramma e la grande solitudine dell’uomo centra il bersaglio. Ci sono straniazione e isolamento. Che cosa può portare in esilio un uomo che ha dato tutta la vita per il suo Paese?

Ha apprezzato l’interpretazione di Favino?

Non ha nulla da invidiare ai migliori attori americani. Ha fatto un grande lavoro sulla gestualità e sulla sofferenza. Mi auguro che vinca l’Oscar.

È un film più psicologico che politico?

Sicuramente non è un film politico, ma intimista. Da quanto ho letto il regista rivede nella storia gli stilemi della grande tragedia classica. Prevale in lui la tematica del capro espiatorio, mentre la lettura politica è assente e a tratti superficiale. Lo scontro di quegli anni tra la grande finanza internazionale e il primato della politica è molto complesso e ramificato. A differenza degli americani, gli autori italiani non sanno raccontarlo, leggono la tragedia ma non leggono la politica.

Anche se c’è un passaggio sulla riflessione di sua padre relativa alla differenza tra il termine rimosso, «popolo», e quello più in voga, «gente comune».

Assolutamente sì. Mio padre era molto attento. Per lui la politica doveva parlare a ciascun individuo, non genericamente alle masse. Doveva dare risposte ai suoi bisogni, alle sue necessità, premiare i meriti e i talenti. Il confronto era per idee e fatti, non per bandiere.

Amelio ha tenuto a specificare che non è un film contro Mani pulite.

Non serve Amelio per dire cos’è stata quella falsa rivoluzione. Con eroi finti e ideali finti. Basta guardare cos’è oggi il nostro Paese, quanto conta la politica, quanto conta nei consessi internazionali, qual è lo stato della nostra economica e del sistema produttivo. Ognuno, ormai, può farsi un’idea in proprio.

Nella scena in cui davanti all’aereo che deve riportarlo in Italia per farsi curare Craxi ha un ripensamento e rifiuta il rimpatrio c’è orgoglio, fierezza, solitudine?

Ovviamente quella scena è frutto di finzione. Non era a tema il suo ritorno da uomo «non libero». La scelta di non curarsi prima, e di non farsi operare in Italia, dà la cifra di un uomo per cui le proprie idee, la propria libertà erano la sua stessa vita. Un gesto ottocentesco.

È un’opera che non affronta la riflessione sul primato della politica, motivo per cui suo padre non ha voluto farsi processare nei tribunali, ma voleva dibattere del finanziamento ai partiti solo in Parlamento?

In Parlamento Craxi non fa una chiamata di correità come banalmente viene detto. Parla il linguaggio della verità e chiede una fine politica della prima Repubblica. A quella richiesta segue un vile silenzio. Tra ipocrisie e opportunismi capitola il primato della politica e inizia la deriva italiana.

Suo padre era un latitante, un esule o un contumace?

Era un esule. Nella storia dell’umanità e nel diritto internazionale l’esilio ha un posto preciso. Non a caso la Tunisia si sarebbe opposta alle richieste di estradizione. Craxi è stato dichiarato illecitamente latitante, perché se n’è andato dall’Italia esibendo il suo passaporto. Per il dizionario Devoto Oli, latitante è chi vuol far perdere le proprie tracce, nascondendosi. Craxi rispondeva personalmente al telefono, il cui numero era su tutti i giornali. Una commissione d’inchiesta parlamentare stava venendo giù per un’audizione…

Che giorni sono per lei questi?

Sono giorni di bilancio di vent’anni di ribellione verso quella che ritengo un’ingiustizia umana prima che politica. Non sapevo come riparare questa ingiustizia, ma sapevo che la mia vita sarebbe cambiata. Di questa battaglia vado orgogliosa, anche se non mi attribuisco molti meriti, questo lo rivendico. Controcorrente, spesso in solitudine e talvolta derisa ho difeso Craxi, la sua storia e la storia di una intera comunità. Di questo vorrei che i socialisti mi fossero grati. Il 19 gennaio vivremo il senso di una grande perdita, fortunatamente mitigato dai tanti amici e compagni che anche quest’anno verranno dall’Italia. Al cimitero di Hammamet ci saranno più di 800 persone.

Molti politici?

Ho invitato tutti i leader, ma al momento non ha risposto nessuno… Incombono le elezioni in Emilia Romagna… Verranno tante personalità di ieri e di oggi. Carlo Tognoli, Giorgio Gori, Annamaria Bernini, Maria Stella Gelmini ma soprattutto tante persone del mondo della cultura e dello spettacolo, come Andrée Ruth Shammah, Marcello Sorgi, Maria Giovanna Maglie, Eugenio Bennato, Costantino Della Gherardesca…

Le anticipazioni del libro L’ultimo Craxi. Diari di Hammamet di Andrea Spiri hanno svelato una lettera inedita nella quale Giuliano Amato gli suggeriva di «tornare in Italia a condizioni legittime e appropriate».

Era chiamato Dottor Sottile non a caso.

Suo padre disse che era «il peggiore di tutti» e si confessava pentito del potere dato a tanti che non lo meritavano.

Era un’amarezza che riguardava tutti quelli che dovevano difenderlo e non l’hanno fatto. Colleghi di partito e avversari che lo stimavano.

Ieri è uscito anche un libro di Craxi da Mondadori.

È una spy story intitolata Parigi-Hammamet, attraverso la quale racconta la contrapposizione di quegli anni tra la grande finanza internazionale e la politica.

Avete messo insieme alcuni suoi scritti?

È uno scritto inedito che abbiamo ritrovato nelle sue carte quando, la Fondazione che nel 2000 ho fondato, ha messo ordine nel suo «archivio».

Craxi giallista?

Il giallo è solo la forma narrativa. Lui lo presenta così: «Non è un saggio, non ha alcun valore storico politico. Prendetelo come un mio passatempo. Magari scoverete inciampi nella fantapolitica, stilemi abborracciati, intrecci indegni di John Le Carrè o Ian Fleming. Eppure, nelle trame del mio modesto tappeto narrativo, troverete nude e inconfutabili verità. E una miriade di profezie di futuri, inesorabili, disastri nazionali». Vent’anni dopo l’attualità gli dà ragione.

Vent’anni dopo la politica è ancora sotto schiaffo della magistratura, della finanza e degli apparati?

Se le sue parole non fossero rimaste inascoltate come quelle di una Cassandra, la situazione del Paese sarebbe molto diversa. L’attualità di quella visione è riscontrabile nelle sue riflessioni anche da Hammamet, quando dicevano che non era più lucido.

Come vorrebbe fosse ricordato suo padre?

Come un uomo che ha servito con lealtà e passione la sua patria. Che voleva grande tra i grandi e non certo l’Italietta ininfluente sul piano internazionale che vediamo oggi. Tra Craxi e Garibaldi ci sono molti tratti comuni, basti pensare che Garibaldi ha vissuto un anno a Tunisi e che le loro tombe sono entrambe divise dal mare dall’Italia. E basta pensare alle ultime parole di Garibaldi da Caprera: «Non era questa l’Italia che sognavo, miserabile al suo interno e derisa al suo esterno».

Come finirà la vicenda dell’intestazione di una via a Milano?

Se il sindaco di Milano vorrà dare un riconoscimento a un grande italiano e a un grande milanese, senza se e senza ma, farà una cosa giusta. Altrimenti, amen: a dire di Craxi sarà la storia.

In un momento in cui la politica italiana appare molto confusa e priva di personalità di statura, tanti ripensano agli uomini della Prima repubblica. Che cosa avrebbe da dare suo padre all’Italia di oggi?

Mi permetto di dire che Craxi era una personalità eccezionale anche tra le figure della Prima repubblica. Sia per statura politica che per la profondissima carica umana, nascosta da un tratto di ruvidezza caratteriale erroneamente scambiata per arroganza. Ma la cosa che lo rende di grande attualità è la sua capacità di capire il futuro e di cogliere modernità e innovazioni. L’eredita craxiana non è quel tesoro mai esistito, ma quel patrimonio di idee e riformismo ancora validi che può rappresentare una bussola per chi avesse la volontà di raccoglierla.

   

Panorama, 15 gennaio 2020