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Downton Abbey, Momenti di gloria e il calcio d’antan

The English Game è una serie bellissima. Se non l’avete ancora vista – sei episodi su Netflix da fine marzo – recuperatela. Una cosa tra Downton Abbey, il creatore e sceneggiatore è Julian Fellowes, e Momenti di gloria, tra Ken Loach e Stephen Frears. E i paragoni con il miglior cinema non sono sprecati. La storia, tratta dal vero, è incentrata sui primordi del calcio nella leggendaria Fa Cup inglese, molto più prestigiosa ancor oggi della nostra Coppa Italia. In realtà l’origine del gioco è lo spartito attraverso il quale raccontare la Gran Bretagna di fine Ottocento, le divisioni in classi, le rivendicazioni operaie, la grettezza e la lungimiranza degli aristocratici, l’autenticità e l’ambiguità dei proletari, le ragazze madri poco tutelate. Un’opera magistrale e in pochi episodi, forse per concentrare il budget nella confezione superba, con ambientazioni avvolgenti, un originale motivo musicale, costumi studiati in ogni dettaglio, pub intriganti, prati irrorati dalla pioggia del Nord. Perfetti i volti dei due protagonisti (e anche dei comprimari): quello misterioso di Kevin Guthrie, che interpreta Fergus Suter (primo vero calciatore professionista), acquistato dal mugnaio di Darwen, e quello elegante di Edward Holcroft, nei panni Arthur Kinnaird, la star degli Old Etonians, squadra composta di soli gentiluomini. Proprio l’ingaggio di Suter e del suo compare Jimmy Love (James Harkness) dalla squadra di Glasgow è la scintilla che inizia a mescolare buoni, cattivi e classi sociali. Man mano che scorrono le partite, molto attese e mostrate senza compiacimenti, si svelano i profili dei personaggi. Ed emerge il carattere interclassista del calcio. C’è il giocatore di maggior talento con una storia familiare intrisa di violenza. C’è la cameriera con bimba al seguito (Niamh Walsh) avuta dall’imprenditore proprietario della squadra ambiziosa. C’è il padrone dotato di spirito umanitario che non esita a violare il codice del dilettantismo per dare motivo di riscatto ai dipendenti. C’è la star del gioco, figlio di un banchiere, dotato di cuore e spirito critico. E c’è la sua tenera moglie, affranta per la perdita del nascituro, interpretata da Charlotte Hope.

Ogni episodio sembra più lungo dei canonici 45 minuti perché succedono un sacco di cose, grazie a una sceneggiatura che in pochi tocchi riesce a tratteggiare una svolta, un colpo di scena, uno snodo inatteso. The English Man è una serie maschile, ma molto amica delle donne, tutte figure positive e trasparenti. Sono quasi sempre loro a infondere coraggio e combattività ai loro eroi. Aspettiamo la seconda stagione.

 

La Verità, 5 maggio 2020