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Fiore talismano Ama medioman Bugo-Morgan 0

Grazie al cielo il 70° Festival di Sanremo è finito. Però, vabbè: era l’unico programma desardinizzato della Rai. Dopo le gaffe da preambolo, il Festival di Ama & Fiore è partito subito bene e, di serata in serata, è andato migliorando pure negli ascolti, infrangendo record e paragonandosi ai risultati baudeschi del 1997, èra prepiattaforme. 13 milioni di telespettatori medi nelle prime parti, 56% lo share delle seconde. Oltre che nella presenza di Fiorello, il segreto è nella durata delle serate fino all’albeggiare. Non a caso, lo share lievita svoltando la mezzanotte, quando la concorrenza è a nanna. Intanto si è già cominciato a immaginare chi potrebbe condurre e dirigere il carrozzone nel 2021. Fabrizio Salini permettendo, Ama & Fiore si sono guadagnati il bis sul campo. Tra i loro meriti, aver tenuto la politica abbastanza lontana dal teatro Ariston, salvo qualche eccezione. Altra tendenza, la difficoltà crescente nel linguaggio: lentamente il politicamente corretto sta accerchiando anche «l’unica festa patronale di questo gran paesone» (Marcello Veneziani). Tracciamo un bilancio con voti decrescenti del Festival 2020 anche se, mentre scriviamo, ancora non si sa chi l’ha vinto. Anche su questo Fiorello aveva avuto l’idea giusta: «Chiudiamola qui», ha detto venerdì sera dopo l’inusitato forfait di Bugo, «proclamiamo una sera prima il vincitore e ce ne andiamo tutti a casa». Magari!

Fiorello La formula era su misura per lui: battitore libero, ad Amadeus la burocrazia della gara. Mattatore, showman a 360 gradi, funambolo, improvvisatore di monologhi (contagioso quello sui sessantenni e i problemi di minzione). Dispensatore di buonumore anche nel climax della scomparsa di Bugo («Allora, allora – con fare risolutivo – non ho capito niente di quello che è successo»), calamita di eccellenze come il numero uno del tennis, Novak Djokovic. Tutto questo si sapeva, come pure se ne conosceva la permalosità. L’istinto di razza si è visto nel tormentone anti accuse di sessismo. «Qui c’è del fiorismo», ha detto dopo aver apprezzato l’omaggio floreale ricevuto nei panni di Maria De Filippi. E poi «del cantismo», «del bacismo», «del machismo»… Genialissimo fuori copione indirizzato ai maestrini della sala stampa. Talismano. 10

Paolo Palumbo Avanguardia empatica. Aziona con gli occhi un sintetizzatore che emette «una voce da casello autostradale». Eppure le sue rime scaldano l’Ariston come poche altre. Il messaggio più positivo del Festival arriva da questo ragazzo di 22 anni malato di Sla: «Quando vi dicono che i vostri sogni non si possono realizzare, continuate dritti per la vostra strada seguendo il cuore, perché i limiti sono dentro di noi».  Resiliente. 9

Ricchi e Poveri Il vintage che vince. La reunion ha portato in vetrina una vecchia storia di corna e gelosie. Ma soprattutto ha innescato la festa in platea. Tutti in piedi a cantare La prima cosa bella, Che sarà, Se m’innamoro, Sarà perché ti amo, Mamma Maria. Da giovani ci si sarebbe vergognati a farlo. Come si cambia, canterebbe Fiorella Mannoia. Spensierati. 8

Amadeus Professionista. Muro di gomma. Perfetto medioman. Pian piano si è risollevato dalle gaffe di partenza. Sapeva che, stando a ruota dell’amico, poteva solo crescere. Ha subito ironie, sberleffi, gavettoni, alti e bassi. Ma lui non è permaloso, altrimenti… Sanremo è una giostra, impossibile non prendere qualche colpo. Non si è perso d’animo nemmeno quando Bugo si è dileguato. Il bravo ragazzo italiano che va a baciare mamma e papà in platea che fa simpatia a tutti. Punti deboli? La scelta delle canzoni, francamente non eccelse e troppo farcite di rap, e l’estenuante lunghezza delle serate. Sempre in piedi. 7,5

Antonella Clerici Tra tante dive bellissime (si può dire?) è parsa la più signorile. L’Ariston è casa sua e la conduzione il suo mestiere, commozione in conferenza stampa a parte. Si è portata due boys perché l’aiutassero a scendere le scale ornata in abiti coloratissimi e strascicatissimi. Dal librone del Festival ha letto i segreti del successo di Ama: le gaffe, gli orari antelucani… Se lo poteva permettere; anche lei, come lui, è della scuderia Lucio Presta. Disinvolta. 7,5

Vincenzo Mollica Comunque vada sarà un successo, diceva Piero Chiambretti. Si potrebbe applicare alle cronache sempre positive dell’inviato principe della Rai sugli eventi di spettacolo. Lezioni di stile e garbo. Il Festival gli ha tributato l’omaggio dei grandi, con i video di Stefania Sandrelli, Vasco Rossi, Roberto Benigni. I dirigenti erano lì a fianco ma, non si sono intromessi. Commozione, affetto, compostezza. Perché Mollica è Mollica. Storico. 7,5

Francesco Gabbani Ha vinto alla prima partecipazione Sanremo giovani nel 2016, poi tra i big nel 2017 battendo Fiorella Mannoia. La sua Viceversa parla di opposti che si aiutano e di condivisione. È una bella canzone, positiva, ben interpretata dal più teatrale fra i concorrenti. Outsider. 7

Tiziano Ferro Quando devi cantare Perdere l’amore e Almeno tu nell’universo hai vinto a tavolino. Con la sua propensione al soprarighismo, l’interprete di Sere nere è riuscito a pareggiare. Capriccioso causa collocazione nel palinsesto delle serate, enfatico nelle esibizioni. Come quando ha voluto specificare, tra le lacrime, che Bruno Lauzi aveva scritto per una donna Almeno tu nell’universo perché l’imprescindibile rima con «tu che sei diverso» non poteva essere volta al femminile, ma lui era felice di essere il primo uomo a cantarla, mantenendo la coniugazione al maschile. Egoriferito. 5

La saga di Deejay Neanche un tweet da Jovanotti sul Festival dei suoi amici. Lorenzo Cherubini all’Ariston non s’è visto: era in Perù. Claudio Cecchetto, invece, non è stato invitato. Dicono che in Rai non amino «i pacchetti» e con Amadeus, Fiorello, Nicola Savino, il Festival era già monopolizzato dall’emittente del gruppo Gedi. Speriamo il dissapore non finisca come al Fatto quotidiano. Era indispensabile imbarcare tutti nel carrozzone? Festival dell’amicizia incrinata? Primedonne. 5

Mannoia, Nannini, Pausini & Co Dopo il monologo di Rula Jebreal serviva ancora la comparsata delle sette cantanti sette per annunciare la campagna «Una, nessuna centomila» e il megaconcertone di Campovolo del poco prossimo 19 settembre? In piena overdose femminile e femminista, tra monologhi e denunce sparse, in mezzo alle tante interpretazioni di cover del passato e pur con l’ospitata dello stesso Zucchero, forse qualcuna poteva ripescare dalla storia festivaliera la sua Donne, meglio di tante parole… Pleonastiche. 4,5

Promo Rai Martellanti. Ridondanti. Sparati sempre in grappolo ad allungare i già incombenti break pubblicitari. La tv di Stato approfitta della vetrina per esporre tutto il meglio della programmazione in arrivo. Il meglio? C’è persino Mario Tozzi con Sapiens su Rai 3… Al centocinquantesimo sussurro tra le due amiche geniali cominci a sperare che si strozzino tra loro. Alla duecentesima telefonata di Catarella in siciliano stretto vorresti lanciare l’hashtag #Catarellaimparalitaliano. Asfissianti. 4,5

Roberto Benigni Il teologo di Sanremo. Il Cantico dei cantici apocrifo, presentato come «il libro più bello, più santo, più importante della Bibbia» (sono 15 pagine) con tanto di consulenti professori, poeti, biblisti, cardinali è stato forse il momento peggiore di tutta la kermesse. Il bello (o il brutto) è che se ne sono accorti in pochi. Un trailer molto arbitrario dell’amore omosessuale patrocinato dalle sacre scritture… Manipolatorio. 4

Junior Cally Rapper sardina. Per farci digerire i fiumi di polemiche pre Festival il suo brano avrebbe dovuto essere almeno un minuetto mozartiano. Invece arruola sei autori per martellare di «No, grazie» Matteo Salvini, Matteo Renzi, gli odiatori del web e gli yes men. Sai che novità. Rapper dell’establishment. Omologato. 4

Regia e dirigenti Rai Selfie continuo. Ogni inquadratura una zoommata di saliva. Al neodirettore di Rai 1 Stefano Coletta, al direttore generale Fabrizio Salini e a Giovanna Civitillo, moglie di Amadeus. Non si sono schiodati un minuto dalla prima fila per tutta la settimana. Compiaciuti. 4

Achille Lauro Idolo di Vanity Fair. Sotto la cappa nera con intarsi dorati sfoggia la tutina di strass effetto nude look che dovrebbe simboleggiare la rinuncia francescana ai lussi mondani. Peccato sia firmata Gucci alla modica cifra di 5.700 euro. La sera dei duetti eccolo invece con trucco pesante, abito di raso verde smeraldo e parrucca ramata: citazione di Ziggy Stardust, uno dei tanti travestimenti di David Bowie, simbolo di «una mascolinità non tossica». Minchia! si può dire? Fischiato all’ennesimo travestimento da diva del muto. Marylin Manson de noantri. Contraffatto. 3

Morgan e Bugo Dio li fa ma si accoppiano da soli. S’era capito già alla prima sera che l’ex leader dei Bluevertigo, occhi e bocca pittati, e il suo lugubre socio erano un binomio ad alta tensione. Morgan ha iniziato subito a scalpitare, inviando diffide dell’avvocato per le poche sessioni di prove. Per la serata delle cover in duetto, dopo le defezioni di Raffaella Carrà, Sergio Cammariere, Vittorio Sgarbi, Fast animals and the slow kids, i due soci… erano già un duetto (?). In compenso, per storpiare Canzone per te di Sergio Endrigo, l’ex giudice di X Factor si è fatto in tre, cantando, suonando il pianoforte e dirigendo l’orchestra. Bugo, invece, gorgheggiava per conto suo. Fino al colpo di scena finale con abbandono del palco. Autolesionisti. 0

 

La Verità, 9 febbraio 2020

«Vorrei tornare all’Ariston da direttore artistico»

Lui il primo Festival di Sanremo l’ha presentato a 28 anni. Era il 1980, preistoria. L’alba di un decennio di svolta. Irripetibile. Visto da qui, dall’Ufficio rotondo, Milano zona San Siro, tutt’altro che archeologia. È presente, attualità, nella storia di Claudio Cecchetto: dj, talent scout, fondatore di radio, produttore musicale, manager dello spettacolo, autore e conduttore televisivo. 65 anni, nativo di Ceggia, paesino della provincia di Venezia, figlio di un camionista. Una discreta parabola. Condurre la più importante manifestazione italiana a quell’età è da vertigini. Un sogno che si avvera ancor prima di essere sognato. Come si fa a non montarsi la testa? A iniziare a guardare tutti dall’alto? E soprattutto: dopo, che si fa? Si presenta il secondo e il terzo, in rapida successione. Senza fermarsi a pensare che sei andato più veloce del tempo. Che hai preso il destino in contropiede. E che a trent’anni hai già vinto tutto, come Beppe Bergomi campione del mondo a 19 anni, nel 1982. Cose che succedevano a quei tempi.

Nella sua biografia, parlando della proposta di condurre Sanremo, scrive: «Nella mia carriera ho sempre avuto l’impressione che quando c’era qualcosa da cambiare chiamassero me».  

«È così. Poi bisogna trovarsi al posto giusto nel momento giusto. Gianni Ravera mi aveva visto a Discoring e voleva rinnovare il Festival reduce da un’edizione un po’ così. Era il momento delle radio libere. Sono stato fortunato a essere il rappresentante del cambiamento. Non ero io il cambiamento, ci ero dentro. Peraltro, c’era anche un problema. Che mi guardai bene dal sollevare».

Cioè?

«Era il Festival della canzone italiana, ma io conoscevo quasi solo musica straniera. Nelle radio si mettevano dischi d’importazione, dance, new wave, rock. Ma non volevo certo porre dubbi. E siccome la fortuna aiuta gli audaci, un mese dopo seppi che, oltre all’attrice Olimpia Carlisi, nella serata finale ci sarebbe stato anche Roberto Benigni».

Claudio Cecchetto con Roberto Benigni e Olimpia Carlisi al Festival di Sanremo del 1980

Claudio Cecchetto con Roberto Benigni e Olimpia Carlisi al Festival di Sanremo del 1980

Come ricorda quei momenti? Oggi sarebbero possibili?

«Negli anni Ottanta si osava molto più di adesso. Sì, stava nascendo la tv commerciale, ma si poteva ancora sperimentare. Per me era tutto un regalo, non volevo diventare un personaggio televisivo. Il mio sogno era la radio. Avevo l’incoscienza dell’età: più che per l’opportunità professionale, ero contento che mi vedessero mio padre e mia madre».

Le è piaciuto il Festival di Claudio Baglioni?

«Mi è piaciuto, sì. Sono abituato ad aspettare prima di dare giudizi: se una proposta è diversa dalle tue aspettative non significa che sia brutta, diamole una chance. Dopo la seconda serata ho mandato questo sms a Baglioni: “Volevo farti i complimenti per Sanremo. La tua presenza in video rende piacevole tutti i contenuti del festival e grazie a te emerge anche il talento delle persone che hai scelto. Grande, un abbraccio. Ps. Mai visto il pubblico in sala a Sanremo così contento”. Questo è quello che penso».

Non c’è stato solo Fiorello.

«Perciò ho aspettato la seconda serata. Fiorello è una forza della natura, il divario è così evidente. Invece, guardando meglio, mi sono accorto che aspettavo riapparisse Baglioni. La sua presenza metteva a posto le cose, dava le misure. Michelle Hunziker e Pierfrancesco Favino sono entrambi bravi e professionali, ma è stato Baglioni la ricchezza del Festival».

Il «dittatore artistico» che ha inserito tanti artisti della Friends & Partners, la società che lo produce.

«Queste sono cattiverie per i titoli dei giornali. Se devi fare un bel Festival chiami chi fa squadra. E magari così riesci a spendere meno. Poi ci sono anche gli altri, i Negramaro non erano di Friends & Partners. Anche quando conducevo il Festivalbar dicevano: Cecchetto fa cantare i suoi, Sandy Marton, Tracy Spencer… Ma era gente affermata a livello internazionale. Conta che il pubblico sia contento e mi pare lo sia stato».

Cosa fa quando c’è Fiorello in tv? Vi sentite prima e dopo?

«Ci siamo sentiti, era contento. Fiorello non è un Robocop. Ha bisogno di avvertire affetto attorno a sé. Quando è salito all’improvviso sul palco quell’uomo, lui ci avrebbe fatto mezza serata. È un’anima sorridente, un cuore allegro, diverso da un comico».

Però fa divertire.

«Che non è solo far ridere. Ha la comicità della nostra gang, che ricorda i vecchi caffè degli artisti, dove si discuteva e si cresceva. Il posto favorisce le contaminazioni: Jovanotti che incontra Fiorello che incontra Gerry Scotti che incontra Fabio Volo che incontra Max Pezzali. Una catena del talento».

Fiorello è stato presentato come lo scaldapubblico.

«È riduttivo. Fiorello garantisce una partenza positiva. È uno generoso, preferisce essere all’inizio delle cose. Non dice: prima voglio vedere se funziona. Piuttosto, la sua partecipazione alza l’asticella per quelli che arrivano dopo».

Fiorello ospite della prima serata del Festival con Baglioni e Michelle Hunziker

Fiorello ospite della prima serata del Festival con Claudio Baglioni e Michelle Hunziker

Come fa un ragazzo nato a Ceggia, seimila anime, a diventare Claudio Cecchetto?

«Culo. Volevo intitolare Che culo il mio libro. Sottotitolo: quello che ho avuto e quello che mi sono fatto».

Ha un’immagine di questa storia?

«Ci dev’essere qualcuno lassù che ha pensato a me. Io ho cercato sempre di farmi trovare pronto e nello stesso tempo di non montarmi la testa. Ho cercato di trasmettere questa semplicità anche ai ragazzi. Quando vedevo il rischio, partiva il discorso preventivo: ricordiamoci sempre da dove veniamo, che la nostra è una condizione fortunata e non dovuta. Ringraziamo il cielo che ci sia, ma quello che abbiamo ottenuto è gratis. Ho sempre pensato che se fai bene le cose prima o poi i risultati arrivano».

Da ragazzino voleva fare il batterista. Un giorno di riposo della band andò nello studio per cambiare le pelli dei tamburi e vi trovò i suoi compagni che suonavano con un altro batterista.

«Da ragazzi si pensa che la batteria permetta di non studiare la musica. A me piaceva il ritmo. Mi piace sentire suonare bene la batteria; ma se io non la suono bene non piace neanche a me. Volevo stare in quella band, ma dopo il primo momento di stupore, mi accorsi che quel ragazzo suonava meglio. Lì è scoccata la scintilla del talent scout. Se trovo uno che sa fare bene una cosa e collaboriamo affinché si affermi, in qualche modo mi affermo con lui».

Dice Jovanotti che «il mondo di Claudio Cecchetto è un posto dove un ragazzo che mixa i dischi diventa un cantante che scrive le sue canzoni, il commesso di un panettiere diventa lo scrittore che vende di più e un animatore di villaggi diventa il più grande showman in circolazione». Scoprire e valorizzare i talenti degli altri è il talento dei talenti?

«Certamente è un talento. Bisogna vedere le persone, intravederle. Fabio Volo venne a Radio Capital per convincermi a trasmettere un suo disco. Rimanemmo mezz’ora a parlare: “Cosa ti piace fare?”. “Leggo molti libri”. Gli proposi un baratto: “Ti metto il disco a patto che tu venga a trasmettere da me”. Ero pieno di dj che sapevano solo di musica, finalmente uno che legge. Fiorello arrivò a Radio Deejay con Bernardo Cherubini, fratello di Lorenzo, che gli aveva detto che lì era pieno di ragazze. Andammo a cena e vidi subito quell’energia, un po’ grezza, ma esplosiva e incontenibile. Peraltro, lui imitava cantanti italiani e Deejay trasmetteva solo musica inglese. Poco alla volta ci siamo integrati, modernizzati, ognuno rimanendo sé stesso».

Jovanotti, Fiorello, Max Pezzali, Amadeus, Gerry Scotti, Leonardo Pieraccioni, Fabio Volo, Dj Francesco, Sandy Marton. Si parla poco di Sabrina Salerno…

«Ho prodotto il suo primo album che conteneva Boys boys boys, ma non faceva parte della mia organizzazione. Ha camminato con le sue gambe. È una figura legata agli anni Ottanta e Novanta, anche se mi risulta abbia ancora seguito in Spagna».

Sanremo e Fantastico, poi il lancio di Radio Deejay: erano gli anni delle ideologie, gli anni di piombo. Non è mai stato sfiorato dalla politica?

«Avevo così tanto da fare… Finivo un progetto ed entravo direttamente in un altro».

C’era la guerra in Italia.

«Pensavo a creare un mondo migliore con i miei mezzi. Mia sorella è psicologa e si occupa di far star bene chi soffre. Anch’io mi sono sempre occupato del benessere delle persone. Sono figlio degli anni Settanta, ero partito dagli ideali: ci sono i problemi, i conflitti, ma possiamo anche divertirci. Non mi spiegavo come mai se i giovani partono sempre di sinistra, alla fine la sinistra perdeva lo stesso. Vorrei vedere più giovani in politica. Ma non come i giovani di Sanremo, che sono istruiti dai vecchi e fanno le stesse cose dei vecchi».

È uno dei pochi ad aver lavorato in Rai, in Mediaset e con il Gruppo Espresso: come se lo spiega?

«Avevo un prodotto di successo, che per loro era un business. La radio volevo venderla a Berlusconi, ma Adriano Galliani disse che non erano interessati. Glielo dissi quando Berlusconi mi chiese: “Perché non l’hai venduta a me?”. Se volevo che Deejay crescesse dovevo associarmi a un grande marchio. Nonostante tutto, il Gruppo Espresso ha usato Deejay per la musica non come veicolo politico».

Adesso che cosa sta facendo?

«Faccio il Cecchetto, come al solito, mille cose insieme».

Ok, il progetto principale?

«Sto seguendo il tour di Max Pezzali, Nek e Francesco Renga. Era un’idea buona, ma vogliamo creare un evento musicale che vada oltre la somma dei fan dei tre artisti».

Che rapporto ha con il web?

«È la nuova frontiera del talent scout. Radio e tv sono sature e hanno tempi sempre più stretti. Internet è il pianeta dove trovare gli artisti del futuro. Con Stefano Longoni cerchiamo ragazzi da lanciare attraverso un format che abbiamo chiamato Starcube e che è il contrario di The Voice. Dentro un cubo vedo l’artista muoversi e ballare con l’audio abbassato: dev’essere la sua presenza a farmi venir voglia di alzare il volume. È il mio metodo di lavoro: non ho mai fatto provini sulla voce, è il contatto con la persona a svelarne il talento. Se mi fossi basato sull’estensione vocale forse non avrei lanciato Jovanotti».

Claudio Cecchetto con Fiorello e Max Pezzali, due degli artisti da lui lanciati

Claudio Cecchetto con Fiorello e Max Pezzali, due dei tanti artisti da lui lanciati

Accoglienza finora?

«Tiepida, ma non demordo. Oggi i dirigenti tv producono solo format garantiti. Io non voglio sostituire prodotti già in voga, ma aggiungere un’alternativa. Prima o poi produrrò una puntata pilota».

Cosa pensa dei talent show?

«Sono il matrimonio giusto tra tv e discografia. La tv ha suggerito alla discografia di fare spettacolo e non solo musica. Il primo talent show fu Castrocaro. Gli artisti di successo possono emergere anche altrove, non è colpa dei talent se non esce l’artista».

Qualcuno che le piace di più di questi anni?

«Marco Mengoni ha buone possibilità di diventare un artista storico. Del livello di Tiziano Ferro, Cesare Cremonini, Negramaro, Max Pezzali, Biagio Antonacci. L’X Factor che produce più artisti è quello inglese perché c’è Simon Cowell, un talent scout. Per un cantante è difficile giudicare un altro cantante».

Mara Maionchi?

«È una discografica, un’animale televisivo. Un piacere sentirla su qualsiasi argomento».

Il momento che ricorda con più piacere della sua carriera?

«Il Festival del 1981. Uscendo alla fine della finale, il mondo mi era cambiato davanti. La gente mi voleva abbracciare, le ragazze m’infilavano il numero di telefono in tasca, scene di fanatismo. Quella volta ho pensato ai Beatles».

E quello che le provoca dispiacere?

«Ognuno ha qualche rimpianto. Ma con la fortuna che ho avuto non è proprio il caso di lamentarsi».

Un progetto ancora da realizzare?

«Ho avuto due nascite, quella naturale a Ceggia, e quella artistica, a Sanremo. Per questo, mi piacerebbe tornare a Sanremo da direttore artistico».

In un libro sul lavoro Primo Levi scrive che si avvicina alla felicità l’uomo che riesce a far coincidere la sua passione con il mestiere.

«Le prime volte che andavo in radio non c’era lo stipendio, si mangiava gratis al ristorante in cambio della pubblicità. Non mi mancava nulla, non pensavo a guadagnare. La felicità di svegliarsi ogni giorno sapendo di fare la cosa che mi piaceva di più era appagante. Se poi ti pagano anche, è il massimo».

Non c’è il rischio che la vita coincida con il lavoro?

«Solo così si hanno grandi risultati. Una passione non prevede il part time. Per esempio, in discoteca mi annoiavo. O mettevo i dischi o niente».

Va in vacanza?

«All’Elba. Sono amico del padrone dell’hotel. Organizzo la serata di Ferragosto. Metto i dischi, li scelgo, preparo la scaletta. Una settimana di preparativi. Spotify, I-tunes, un’ora in spiaggia al giorno. Dal 16 mi annoio. Quando mi chiedono che musica metto in sottofondo, rispondo: in sottofondo non esiste, quello che faccio è in sottofondo. Per questo non posso fare l’amore con la musica».

Il genere musicale del futuro?

«La musica trap. Quella di Ghali e Sfera Ebbasta».

Come talent scout su chi scommetterebbe?

«Su Oel, quello delle Focaccine dell’Esselunga».

Diciamo che non deve fare molta strada.

«Diciamo che lo conosco bene».

Che cos’è la gratitudine?

«È un sentimento ambivalente, che serve al gratificato e al gratificante. Si deve anche stare attenti a non pretendere una gratitudine maggiore di quella che ci si merita. Quando lanci un artista è come un figlio: dev’essere libero di andare e sbagliare, senza pensare di doverti ringraziare tutta la vita. L’artista ha la sua strada, lo sa che sei suo padre. Bisogna avere le palle per essere grati. I miei artisti le hanno».

La Verità, 11 febbraio 2018