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I Soldi marocco-pop battono i soldi del televoto

Soldi contro Soldi? Tirandola all’estremo, si potrebbe metterla giù anche così. Perché, stringi stringi, politica a parte, la querelle post-festivaliera che agita talk show e opinionisti socio-musicali si può ridurre a una banale questione di soldi. Scritto in tondo, però. Perché sono solo quelli tirati fuori dai televotanti, due milioni circa, non quelli premiati della canzone di Mahmood.

Presentando un esposto all’Autorità per la concorrenza, ieri il Codacons ha prospettato la possibilità di un «danno economico per i cittadini». «Fino a un massimo di 51 centesimi per voto», martellavano Claudio Bisio e Virginia Raffaele una canzone sì e una no. La faccenda non è irrilevante, perché dopo aver aperto il portafoglio, fino a cinque voti per sera, non fa piacere essere platealmente sconfessati da otto signori che si godono lo spettacolo in prima fila, con tutti gli onori dei giurati d’onore. Oppure da 200 giornalisti asserragliati nella Sala Roof dell’Ariston a tifare Mahmood e insultare Il Volo stile curva da stadio. No, non fa piacere.

La Sala stampa e la Giuria d’onore hanno sovvertito i «numeri schiaccianti» del televoto in favore di Ultimo (46.5% contro il 14.1 dell’autore di Soldi), tuona il Codacons. Scagliandosi contro il meccanismo che ha «annullato e umiliato» il pubblico «con conseguenze enormi sul fronte economico, considerato che i telespettatori hanno speso soldi attraverso un televoto reso inutile dalle decisioni delle altre giurie». La riflessione su come rifare il regolamento del Festival è partita alla grande. Non senza che si continuasse a buttarla in politica come ha fatto in un tweet l’ex ministro e attuale golden boy della nuova sinistra Carlo Calenda: «Un giorno qualcuno dovrà definitivamente stabilire la completa inutilità di Codacons e affini. Al Mise avevo tagliato la maggior parte dei finanziamenti a queste fabbriche di polemiche inutili. Chissà se Di Maio li ha ripristinati». Immediata la replica dei dell’associazione in difesa dei consumatori che in un altro esposto chiedono alla Procura della Repubblica di Roma di accertare se esistono gli estremi dell’«abuso d’ufficio» dell’ex ministro ai loro danni e la sua espulsione dal Pd. Auguri.

Anche al netto delle polemiche politiche, però, l’eredità del Claudio Baglioni bis non è quella che si direbbe una spartizione armonica. Mauro Pagani, presidente della Giuria d’onore disonorata, difende l’operato suo e dei colleghi, nessuno dei quali spicca per competenza musicale. Il presidente della Rai Marcello Foa chiede una profonda revisione del regolamento. Ne ammette la necessità anche il direttore artistico in uscita: «Se il Festival vuole davvero essere una manifestazione popolare, potrebbe essere giudicato solo dal televoto», ha scandito, e chissà se il ravvedimento schiuderà la porta del Baglioni ter. Dal canto suo Foa ha osservato: «C’è stata una sproporzione, un chiaro squilibrio tra il voto popolare e una giuria composta da poche decine di persone che ha provocato le polemiche. Questo è il vero punto che deve farci riflettere. Questo sistema funziona o no? Va corretto chiaramente anche perché il pubblico si senta rappresentato». Regolamento e ruolo delle giurie da rivedere di sana pianta, dunque.

Tutti i conduttori che si sono succeduti negli anni l’hanno cambiato a propria immagine. Fino al 2012 c’era solo il televoto attraverso il quale le community dei talent show facevano vincere i reduci di Amici (Marco Carta, Valerio Scanu). Fu Fabio Fazio a reintrodurre la giurie di qualità facendole pesare sul giudizio finale quanto il televoto. Il risultato di un Festival si fa anche con la scelta dei componenti e dei presidenti delle giurie. Fazio chiamò Nicola Piovani e Paolo Virzí. Nelle sue tre edizioni, invece, Carlo Conti reintrodusse la giuria demoscopica riducendo al 30% il peso di quella di qualità e chiamando a presiedere Claudio Cecchetto, Giorgio Moroder e Franz Di Cioccio. Quest’anno il regolamento è stato ribattezzato Sanremellum, tanto è complicato. Nelle prime tre serate la classifica si componeva con il televoto (40%), Giuria demoscopica (un campione di 300 persone selezionate tra abituali fruitori di musica) e Sala stampa, entrambe al 30%. Nella quarta e quinta serata la Giuria demoscopica spariva, il televoto saliva al 50%, la Sala stampa rimaneva al 30 e la Giuria d’onore, capeggiata da Pagani, aveva il restante 20. Stilata la classifica dal 4° al 24° posto, si è rivotato da capo con le stesse percentuali.

E il Festival di Sanremo l’hanno vinto i Soldi in versione Marocco pop. E l’hanno perso i soldi del pubblico italiano.

La Verità, 12 febbraio 2019