Cose memorabili e dimenticabili del Papa di Sorrentino
Che casino su The Young Pope. Che bagarre. Si esibiscono critici televisivi e cinematografici, firme di cultura, opinionisti cattolici. Ognuno dalla propria cattedra, pronto a pontificare sul pontefice di Paolo Sorrentino. L’unica cattedra che ancora non si è pronunciata è quella dell’Osservatore romano, la più attesa. Senza volermi aggiungere alla schiera, ecco una breve lista di cose memorabili e no della serie di cui tutti continuano a parlare e che è ancora disponibile on demand e in replica.
La visionarietà/1. Il realismo magico di Sorrentino, di derivazione felliniana, assale fin dalla prima scena – il bimbo che esce Papa dalla montagna di feti – lo spettatore. L’insistenza sulla narrazione onirica che sovrappone i piani ha il compito di accalappiarlo. L’estetica laccata a tinte forti (fotografia di Luca Bigazzi), con un Vaticano abbacinante dove non c’è una nuvola e non piove mai, al massimo nevica, fa da contrasto con l’orizzonte fosco della Chiesa, la cupezza degli intrighi, l’oscurantismo delle posizioni dell’inquilino principale.
Il paradosso del mistero. Nella società dell’immagine, in cui la Chiesa sta facendo tutto per andare verso l’umanità, il regista si chiede se una scelta di nascondimento e non visibilità possa accrescerne mistero e autorevolezza. Dopo papa Bergoglio potrebbe arrivare un Papa conservatore e reazionario.
La libertà espressiva. Sorrentino ha giocato tutto il peso del suo blasone in un film di dieci ore nel quale la produzione gli ha permesso tutto (anche con conseguenze negative che vedremo) in un gioco di citazioni e rimandi: un canguro libero nei giardini vaticani (il fantasma dell’abbandono? chissà), un Papa che calza infradito e gioca a biliardo, un Segretario di Stato che distribuisce la sua biografia con la copertina di Open di André Agassi e gira nei Sacri palazzi indossando la divisa del Napoli.
Il cast. Con queste premesse gli attori hanno dato il meglio. Silvio Orlando ai vertici, Jude Law, Diane Keaton, James Cromwell, Javier Camara: parti di una rappresentazione definita che privilegia la collocazione nel mosaico del regista sullo scavo psicologico dei singoli personaggi.
La sigla. Nei titoli di testa, sulle note di All Along the Watchover di Bob Dylan, il Papa giovane sfila davanti a una serie di rappresentazioni pittoriche della storia del cristianesimo, dall’Adorazione dei pastori di Gerard van Honthorst alla Conversione di San Paolo di Caravaggio fino alla statua di Giovanni Paolo II abbattuta dal metereoite di Maurizio Cattelan. Altero e ironico, luminoso e cupo, Pio XIII si volge allo spettatore facendogli paraculescamente l’occhiolino.
La visionarietà/2. Il rovescio della medaglia della carica immaginifica di Sorrentino è nella (inevitabile) scarsa verosimiglianza. Ci sarà un motivo se The Young Pope è piaciutissimo ai non credenti e meno ai cattolici. Si può cavarsela sostenendo che questi ultimi si sono scandalizzati per il Papa glam e trasgressivo, paroline che regalano sempre certi brividi di piacere. Ma si potrebbe considerare che se si entra ambiziosamente nei segreti della massima istituzione ecclesiastica, magari il cuore del cristianesimo andrebbe rispettato. Sottolineo: rispettato, non necessariamente condiviso. Con tutti i suoi peccati, la Chiesa è pur sempre una realtà che ha a che fare con l’altro mondo. Bellissima la visionarietà, ma dovrebbe accompagnarsi a un sufficiente grado di aderenza all’oggetto trattato. Che, in un’opera ambiziosa come The Young Pope, lo dico con rammarico, sembra invece difettare.
La quotidianità del Papa tabagista. Potevamo stupirvi con effetti speciali e lo abbiamo fatto. Pio XIII beve Coca cola zero al gusto di ciliegia, gioca a biliardo con la cicca in bocca, sfiora la tetta di una ragazza, cambia i pannolini al neonato di lei, trascorre il tempo tra massaggi e passeggiate. Mai che legga un testo sacro o stia allo scrittoio a preparare un’omelia. Un dettaglio rivelatore di troppe licenze narrative è il gesto che introduce al rito del fumo. Grazie a una mossa da prestigiatore, la sigaretta nascosta nel palmo della mano si palesa improvvisa tra le labbra: roba da consumato tabagista on the road più che da Papa cresciuto in orfanotrofio e, si presume, in seminario.
Cercasi cristianesimo. La fede che emerge dall’opera è un misto di protestantesimo, miracolismo, spiritualità new age, con qualche traccia di cristianesimo veterotestamentario, come dimostra la posizione di Pio XIII sull’aborto (cita l’Esodo di «vita per vita, occhio per occhio…»). Facile argomentare su Dio, difficile fare i conti con Gesù Cristo. Con un certo esibizionismo il Papa s’inginocchia a braccia spalancate per pregare in un autogrill o in apnea sul fondo di una piscina, in una posa da calciatore dopo il gol o da supereroe in trans più che da Capo della Chiesa che vive drammaticamente il suo mandato.
Chiesa negativa. Detto della fede in un Dio generico di un Papa a metà tra la rockstar e il santone, il Vaticano non può che somigliare a un qualsiasi centro di potere (si sprecano i confronti con House of Cards). Ma se l’idea di cristianesimo è vaga, anche la Chiesa non può che essere una realtà vuota. Non a caso non v’è traccia delle virtù cardinali. Oltre alla fede, nella Chiesa di Pio XIII non c’è posto né per la missione né per la carità (fa eccezione il bistrattato Voiello). Perché, in fondo, stiamo parlando d’altro.
La Verità, 24 novembre 2016