Il negazionismo, le corna virali e l’Oscar della fuffa
L’estate della fuffa, della paccottiglia, del superfluo. Ora che sta finendo e si torna ai consueti usi, possiamo velocemente ripassare la sequenza di bolle fasulle, dispute del nulla, sospiri da terrazza estiva. Parafrasando il titolo di un fortunato bestseller del momento, lo si potrebbe definire il mondo al quadrato, o al cubo. «Un’emozionante bugia può eclissare una verità senza interessi», diceva Aldous Huxley. Avete voluto l’informazione per bene, beccatevi la narrazione ufficiale. Amate il grande confronto democratico, sorbitevi colate d’ideologia, di pensiero unico, di conformismo da giornaloni. A volte, gli effetti collaterali sono fastidiosi come l’eccesso di schiuma in un boccale di birra. Ma il partito mediatico marcia compatto verso l’indottrinamento delle minoranze e il calo di vendite. Scegliere a chi dare l’Oscar dell’inutile e del fuorviante è sempre più difficile.
A metà luglio le grandi testate, La Repubblica su tutte, decidono che il 2023 è l’anno di Caronte. «Bolla di fuoco sul Mediterraneo», «Caldo record, il pianeta in ginocchio», «Il caldo come il Covid» sono alcuni dei titoli che adombrano il tema con toni anglosassoni. Ci sono da vendere le auto elettriche, da accelerare la svolta green, da rallentare la velocità nei centri urbani e da moltiplicare le contravvenzioni. E pazienza se per incentivare i business si deve colpevolizzare l’uomo occidentale – non cinesi e indiani – che continua ad alitare particelle di Co2. Facesse a meno di respirare, meglio, di esistere; siamo in troppi sulla terra, viva la denatalità… In ogni servizio i tg mitragliano «cambiamento climatico» e «riscaldamento globale». Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres la tocca piano: siamo entrati «nell’era dell’ebollizione globale». L’apocalisse è in agenda domani, ammoniscono simpatici buddha accovacciati nel traffico. Luglio è il mese più caldo del secolo, del millennio, di sempre. C’è il solleone, governo ladro. In giugno faceva freddo e pioveva, ma il governo era sempre il medesimo. Meteorologi e geologi che, dati alla mano, assicurano che le onde di calore ci sono da sempre e dipendono in parte infinitesimale dal comportamento umano sono accusati di negazionismo climatico. Anzi, bisogna introdurne il reato. Nell’attesa, il Fondo monetario internazionale provvede a censurare John Clauser, scettico sul climate change e premiato con il Nobel per la fisica nel lontano 2022.
Il nubifragio che spazza via il negazionismo è la riscoperta dei lanzichenecchi, specie di barbari crudeli scesi dal Nord, rinvenuti in cattività sulle carrozze di prima classe di un treno per Foggia. Indossano t-shirt bianche con scritte colorate, sono tatuati, parlano a voce alta e non portano orologi. Sembra il dibattito imprescindibile. Si riparla di lotta di classe, di scontro tra élite e popolo, resuscita anche il comitato di redazione di Repubblica, ancora lei. Per giorni antropologi e biologi tentano di darsi ragione di come questi strani esemplari abbiano potuto sopravvivere così, anziché imparare da Alain Elkann a portare abiti di lino stazzonati e a leggere Marcel Proust in francese. Finché il critico Gian Paolo Serino buca la bolla con una domandina rivolta all’intero mondo adulto: «Perché i nostri figli, fratelli, nipoti, si sono ridotti così?». Com’è stato possibile «che li abbiamo resi schiavi e complici di una dittatura del vuoto che li ha trasformati in turisti della vita?».
Domande non marginali. Che s’inabissano con l’avvento del nuovo tormentone sorto nell’austera Torino, inusitata capitale delle corna social. Massimo Segre, uno stimato professionista raduna gli amici per annunciare la data di matrimonio con Cristina Seymandi, avvenente collega, consulente e già portavoce di sindaci progressisti. Invece, dopo aver sciorinato i tradimenti subiti, proclama la rottura del fidanzamento. Il video diventa virale e lava in piazza (virtuale) i panni sporchi. In realtà, le corna Vip sono quanto di più interclassista. E i sessi, stavolta solo due, si schierano. Fosse stata una donna la vittima cosa sarebbe accaduto? Il nuovo temporale riempie di sociologi, psicologi, matrimonialisti, wedding planner le numerose pagine e i talk pomeridiani.
Mai quanto avviene con intellettuali e testimoni vari dopo la morte a soli 51 anni di Michela Murgia – riposi in pace – scrittrice militante dei diritti civili, avvenuta pochi mesi dopo la rivelazione in una coraggiosa intervista di essere malata di tumore. Sui giornali amici, praticamente tutti i maggiori, tracima il sentimento di orfanità dell’intellighenzia migliore. Si intervistano fratelli, amici, medici, appartenenti vari alla di lei famiglia queer, qualsiasi cosa voglia dire. In giacca e con una mano nella cintura dei pantaloni, Roberto Saviano pronuncia l’orazione funebre nella basilica di Santa Maria in Monte Santo a Roma. Nasce il murgismo e si tentano paragoni con Pier Paolo Pasolini. La manifestazione di qualche perplessità scongiura quelli con Leonardo da Vinci. Ma ci pensano «figli e marito», sempre queer, della defunta a esigere allineamento: «Siamo offesi a morte da chi, invece di ricevere il discorso di Roberto (Saviano ndr) come il dono lucido, intelligente, sincero e necessario che è, sta cercando di gettarvi un’ombra estranea con metodi e retoriche fasciste», scrivono sul Corriere della Sera. Murgia, rivendica l’autore di Gomorra, aveva la schiettezza di «prendere posizione» senza ipocrisie e infingimenti, dando addosso «alle parti avverse… menando duro e in pieno volto», scrive su Dagospia Giampiero Mughini. Il quale, invece privo di certezze, osserva che «quelli che sostengono la primazia del “prender posizione” in realtà vogliono dire che la posizione che va presa è la loro e guai a prenderne una diversa». Altra bolla afflosciata.
Avvicinandoci all’oggi, se ne potrebbero bucare altre. Tipo l’immancabile solidarietà verso le Ong della segretaria Pd Elly Schlein, ricomparsa dopo i karaoke e i like su Instagram ai bikini di Andrea Delogu. Ma subito contraddetta da schiere di sindaci dem, improvvisamente allarmati dall’accoglienza senza se e senza ma nei loro territori. Stando al maître à penser del murgismo, i migranti non erano «risorse»?
Fortunatamente, si diceva all’inizio, l’imminente ripresa dell’anno sociale passa sulle tempeste dell’effimero come il legnetto dei birrai sui boccali con troppa schiuma. Un po’ però se ne può lasciare perché esalta il gusto del malto. Sarà mica il dibattito suscitato dal Mondo al contrario, il pamphlet del generale Roberto Vannacci che dà voce al buon senso della vecchia maggioranza silenziosa? Quello che certi critici illuminati volevano soffocare e che, invece, hanno finito per fomentare?