Si son presi i pieni poteri per farci la paternale
L’altro giorno, dopo aver letto lo spericolato articolo sulle similitudini tra l’Italia di oggi e la Francia della Rivoluzione innescato dall’analogia tra il Comitato tecnico scientifico e il Comitato di salute pubblica, un caro amico mi ha inviato il programma di un dibattito della Fondazione Lanza di Padova, un ente che si occupa molto di etica. S’intitola infatti «Etica civile – parole per la cittadinanza» il convegno in calendario il 22 ottobre e ha per sottotitolo «Istituzioni pubbliche: tra responsabilità e progetto». I relatori sono l’ex presidente del Consiglio Enrico Letta, il virologo Andrea Crisanti e Antonio Autiero, teologo dell’università di Munster. Perché è significativo questo dibattito lo si evince dai contenuti: «Le istituzioni hanno visto crescere il loro ruolo e il loro impegno in questo tempo di pandemia; c’è un’esigenza di competenza e di lungimirante responsabilità in ordine alla creazione di spazi che consentano – attenzione al finale – di coltivare vite buone in libertà e giustizia».
Ecco: oltre al Covid e alle sue implicazioni nefaste sulla nostra salute e sull’economia mondiale, dobbiamo temere il moralismo montante. L’ambizione e la pretesa delle istituzioni di insegnarci a essere buoni. Virtuosi. Non serve fare tanta strada per accorgersi del gran parlare di etica che, sull’onda della nuova peste, si fa sui giornali e nei talk show, nelle iniziative di associazioni benefiche ed enti morali. E, ahinoi, ancora prima e ancora peggio, nei decreti della Presidenza del consiglio dei ministri. Che cosa sono, infatti, le ripetute «raccomandazioni» ai cittadini contenuti nei motu proprio di Giuseppe Conte se non inviti a essere sudditi bravi e disciplinati? Il premier lo ha detto papale papale: se non si tornerà a un nuovo lockdown – le speranze si assottigliano di giorno in giorno – «dipenderà molto da come sarà il comportamento di tutta la comunità nazionale».
Facendola breve: il capo del governo ha proclamato lo stato di emergenza e si è preso i poteri speciali per dirci di fare i bravi. Non per accelerare le procedure e snellire le burocrazie allo scopo di attrezzare sanità, trasporti e scuola a fronteggiare l’epidemia. O creando le condizioni perché si possa continuare a lavorare per far girare il motore dell’economia. No. Se andrà male la colpa sarà degli italiani indisciplinati. Non dei vaccini antinfluenzali che non si trovano, delle code interminabili ai drive in dei tamponi, dei vagoni della metro e dei treni strapieni di pendolari perché non è stato aumentato il numero delle corse. Secondo la narrazione cara al Comitato di salute pubblica, la colpa dell’aumento dei contagi è dell’estate dissennata dei giovanotti e delle famiglie che si riuniscono numerose per il pranzo della domenica. Sui grandi giornali si moltiplicano gli appelli delle grandi firme all’obbedienza civile fin dentro il tinello di casa, salvo poi scandalizzarsi se qualcuno obietta che sono metodi da Stato totalitario. Il dubbio che l’insistenza sulla virtuosità dei comportamenti personali serva a preparare lo scaricabarile in caso di ulteriore peggioramento della situazione è ormai una certezza. Ieri, a proposito delle prime restrizioni decise in Lombardia, il direttore dell’Ats (Agenzia tutela della salute) di Milano Walter Bergamaschi, ammoniva sul Corriere della Sera, che sono un inizio «ma è importante fare attenzione nei rapporti dentro la famiglia». Venerdì, vigilia della nuova stretta sugli orari di locali e ristoranti, girando per Milano non ho visto nessuno senza mascherina. In larghissima misura, gli italiani sono persone responsabili. E quello che non fa il senso di responsabilità lo fa la paura, quando non si tratta di terrore.
Dopo mesi di bombardamento sul fatto che il virus sarebbe una nemesi contro gli sbruffoni, chi lo contrae sente il dovere di giustificarsi, come hanno fatto il campionissimo Valentino Rossi e la capogruppo alla Camera di Forza Italia Mariastella Gelmini, proclamandosi ligi alle prescrizioni. La verità è che il virus circola parecchio anche nel resto d’Europa, tra popolazioni più sobrie della nostra. Fatta salva la necessaria dose di responsabilità personale, questo potrebbe far riflettere chi vuole stabilire una relazione diretta tra il rigore dei cittadini e la circolazione del morbo, magari dovuta alla sua stessa natura e alle temperature più fredde e umide. Il professor Massimo Galli ripete spesso che la crescita dei contagi è causata dall’estate pazza e indisciplinata. C’è da chiedersi se siano più pazzi i ragazzi che vanno in discoteca dopo mesi di quaresima o il governo che le ha riaperte? O se siano più pazzi i giovani che prendono l’aperitivo all’aperto dopo settimane di confinamento o il commissario straordinario Domenico Arcuri che, pur sapendo cosa ci aspettava, ha indetto l’appalto per le terapie intensive in ottobre?
Venerdì, nella mia giornata milanese, ho visto le persone filare in metropolitana a testa bassa. Io ho dovuto prenderla per diversi trasferimenti, anche all’ora dell’uscita dalle scuole. Nel pomeriggio sono andato dal dentista. Ma alle 18, con l’anestesia ancora attiva e le difese immunitarie presumibilmente ridotte, ho preferito prendere un taxi, non si sa mai. E chi non può permetterselo?
La Verità, 18 ottobre 2020