«I social network creano tanti egomostri»

È il più controverso opinionista del momento. Irriducibile agli schemi consolidati. Ha innescato la verve di Giampiero Mughini, il disappunto di Flavio Briatore, le critiche del Foglio e quelle di Antonio Di Pietro dicendo che «Mani pulite fu un colpo di Stato», gli attacchi di Wired, Linkiesta, Minimaetmoralia e siti vari. Pur essendo filosofo di professione, Diego Fusaro, 34 anni, nativo di Torino, autore Einaudi e Bompiani, molto presente sui social oltre che in tv, non trascende mai. Marxista e anticapitalista convinto ma al contempo sostenitore della famiglia tradizionale, è accusato di essere un intellettuale della supercazzola, depositario di tesi abborracciate. Alcuni suoi post sono fulminanti: «Hallowen, festa mondialista»; «E tutto divenne merce, anche l’utero in affitto»; «La sinistra è passata dal Quarto stato al terzo sesso».

Un altro felice aforisma è «I selfie della gleba e i nuovi egomostri». Anche lei quanto a ego non scherza.

«Spero di non essere anch’io un egomostro come coloro che critico. Credo in quello che dico e ci metto sempre la faccia, in un’epoca di pavidi che si nascondono dietro pseudonimi o frasi fatte».

 

Fusaro: «Selfie della gleba e i nuovi egomostri»

Fusaro e la cultura del narcisismo: «Selfie della gleba e i nuovi egomostri»

Si definirebbe marxista conservatore o reazionario marxiano?

«Se proprio devo farlo, mi definisco allievo indipendente di Hegel e di Marx. Secondo Hegel, il rivoluzionario è colui che supera conservando o conserva superando».

Come nasce Diego Fusaro?

«Nasco a Torino da una famiglia di umili origini. I nonni paterni erano emigrati dal Veneto per lavorare alla Fiat, i nonni materni contadini. I miei genitori fanno tutt’altro rispetto a me. Decisiva è stata la scoperta della filosofia al liceo. L’incontro con Costanzo Preve mi ha permesso di avviare una rilettura che tenesse insieme Hegel, Marx e i Greci. Vivo a Milano, dove insegno allo Iassp (Istituto alti studi strategici e politici). Ho fondato Interesse nazionale, un’associazione il cui motto è “Né mondialisti né nazionalisti”, che pubblica una rivista e gestisce una scuola filosofica».

Da Marx e Hegel ha preso l’anticapitalismo.

«La mia coscienza infelice di anticapitalista ha idee di sinistra e valori di destra».

Può dettagliare?

«Idee di sinistra: lavoro, diritti sociali, comunità solidale, attenzione per gli oppressi, uguaglianza. Valori di destra: identità, nazione, patria, famiglia, lealtà, religione. Tutte quelle cose che fanno sì che a destra dicano che sei comunista e a sinistra che sei fascista».

Il superamento delle categorie novecentesche la rende difficilmente incasellabile. Potrebbe essere una strategia: si diverte?

«Non ho mai voluto farmi incasellare in uno schema o in un partito. Non è per divertimento, ma perché amo pensare con la mia testa».

 Certe sue argomentazioni sembrano pagare un tributo al complottismo.

«Complottismo è il modo di classificare qualsiasi lettura divergente da quella dominante. In quest’ottica Socrate, Marx e tutta la filosofia che cerca l’essenza dietro l’apparenza sono complottisti».

L’origine del disastro dove va cercata?

«Nel capitalismo che dal 1989 non ha più alcun limite morale né geopolitico. L’89 è l’anno orribile della storia recente».

È l’anno in cui la democrazia si è estesa e il benessere è diventato una possibilità per tutti.

«Questa è la narrazione dell’1% di ricchi che anche il 99% ha accettato come vera. Non mi pare che il benessere sia stato messo a disposizione di tutti. Negli ex Paesi comunisti la povertà è aumentata a dismisura».

Auspica un ritorno al mondo diviso tra Est e Ovest e alla cortina di ferro?

«Ragiono dialetticamente. Non penso di ripristinare quello che è andato perduto, la polis e il comunismo. La storia procede e conviene adoperarsi per migliorare il presente, affinché l’uomo non sia vittima del mercato e ritrovi il suo posto nel mondo».

Nell’89 è finito l’inganno comunista ed è nata l’Europa, che per lei è una sciagura.

«Finito il comunismo, al capitalismo sfrenato mancava disintegrare gli stati, ultimi baluardi della difesa del bene comune. L’Europa è servita a questo».

Vorrebbe l’espansione dei sovranisti?

«Io non parteggio. Penso che la sovranità sia ineludibile per una politica democratica a sostegno anche delle classi più deboli. Senza sovranità vince il libero mercato, la competitività e quindi il più forte».

Come si sconfigge l’idolatria del mercato?

«Intanto riconoscendo che è una vera religione che minaccia tutte le altre, pretendendo d’imporre universalmente i suoi simboli. Siamo nell’epoca in cui non si possono esporre crocifissi o veli islamici, ma solo merci di qualsiasi tipo e in modo selvaggio».

Nel suo libro Pensare altrimenti scrive che «il dissenso come rifiuto dell’autorità e del potere costituisce il fondamento della civiltà occidentale». Poi è arrivata la globalizzazione. Cos’è andato storto?

«Siamo entrati nel totalitarismo perfetto che fa apparire come imperfetti tutti quelli passati».

Perché più pervasivo, più scientifico o più seducente?

«Perché riesce a colonizzare le coscienze e devitalizza la possibilità del costituirsi del dissenso, dilatando il pensiero unico».

Che si affermerebbe grazie alla dittatura del mercato alla quale servono gli «atomi seriali». Ce ne fa l’identikit?

«È il profilo antropologico dell’uomo in balia del capitalismo contemporaneo. Un tempo il dominato era il proletario di fabbrica, che aveva una sua coscienza di classe, una stabilità territoriale, dei valori e una capacità rivendicativa come raffigurato nel Quarto stato. Oggi in luogo del proletariato c’è il precariato. Una massa amorfa di atomi erranti, flessibili, senza identità, coscienza di classe e progettualità».

Ai quali vengono contestate le certezze esistenziali e psicologiche, la famiglia e le altre appartenenze.

«Sono individui sradicati, permanentemente mobili e sciolti da ogni solido legame comunitario, dalla famiglia allo stato nazionale. La famiglia è il primo bersaglio. È la comunità delle comunità, come diceva Aristotele: colpire quella per arrivare alle altre. Se hai radici sei meno gestibile dal potere».

Il Quarto stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo

Il Quarto stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo

Cito: «La sinistra è passata dal Quarto stato al terzo sesso».

«Nella mia concezione la sinistra doveva essere agente della trasformazione verso una società emancipata. Invece il progresso cui assistiamo è quello del capitale che trasforma tutto per rinsaldare sé stesso. Ci sarà un motivo se negli ultimi trent’anni tutte le conquiste della sinistra sono state contro le classi più deboli».

Esemplifichi.

«Il pacchetto Treu con la precarizzazione del lavoro, le liberalizzazioni del governo D’Alema, il jobs act del governo Renzi. Se la sinistra smette di interessarsi a Gramsci e Marx, allora conviene smettere d’interessarsi alla sinistra».

Imputa al M5s di non avere un collegamento con il mondo intellettuale.

«Il Pd ha gli intellettuali e non ha il popolo, i 5 stelle hanno il popolo ma non gli intellettuali. Questa è la tragedia della politica italiana».

E il terzo sesso? Perché attacca anche l’ideologia gender?

«Perché non è altro che la distruzione dell’identità e l’imposizione dello sradicamento sul piano della sessualità. Il tutto a beneficio del capitalismo flessibile contemporaneo che non vuole uomini, donne, famiglie e prole, ma solo atomi unisex che nell’ambito erotico danno luogo al godimento deregolamentato. Esattamente come deregolamentato è il mercato, con competitor individualizzati e senza vincoli solidali».

Facesse il consigliere politico chi sceglierebbe tra i leader in circolazione?

«Credo che se tornasse in vita anche Machiavelli faticherebbe a trovare un principe».

Se lo trovasse, per rilanciare l’Italia da dove lo farebbe cominciare?

«Dalla cultura. Che è il fondamento del nostro Paese ed è ciò che abbiamo dimenticato. Rilancerei il liceo e gli studi classici».

Come si diventa personaggio televisivo?

«Non credo di esserlo, sono uno studioso che viene talvolta interpellato in tv».

Il suo apparire antipatico sembra una scelta.

«Non credo di esserlo, lo sono?».

Arriva una certa alterigia…

«Credo nelle cose che dico perché studio. Procedo con la docile forza della ragione, non sarò trovato ad alzare il tono della voce. Mi spiace se risulto antipatico. Tra tanti personaggi buffi, mi piace non corrispondere a questo canone».

In un’epoca in cui si esulta per la fine delle ideologie, otto anni dopo riscriverebbe Bentornato Marx?

«Lo scriverei tale e quale perché le analisi di Marx continuano a essere imprescindibili per capire le contraddizioni del capitalismo contemporaneo. Solo con Marx si è miopi, senza Marx si è ciechi».

Ha letto l’intervento su Studi cattolici di suor Monica Della Volpe, nipote del grande filosofo marxista Galvano, a proposito degli ultimi giorni di suo zio? Le chiese di dettarle le riflessioni finali di un libro perché molto malato: «Alla fine non c’è più né Marx né Engels, c’è solo Gesù Cristo».

«È una questione interessante che aveva già colto Pasolini. Il contrario del comunismo non e la religione perché il comunismo stesso lo è. Il contrario della religione è il capitalismo ateo, materialista, cinico e individualista. Non c’è da stupirsi se dei comunisti guardano con rispetto a Cristo. Il dramma è quando certi comunisti aderiscono al capitalismo rinnegando Marx e Cristo. Si potrebbe fare un lungo elenco, che risparmiamo per carità di patria».

Ritenendo il dissenso la genesi della civiltà occidentale, Gesù Cristo sarebbe fuori perché fece dell’unità con l’autorità la sua forza.

«C’è un unico momento nel vangelo in cui Cristo si adira, dissente e diventa quasi violento: la cacciata dei mercanti dal tempio. Di questo oggi c’è più che mai bisogno».

C’è qualcosa che le trasmette ottimismo?

«Nulla. Nelle tendenze obiettive non vedo nulla di positivo. Sono ottimista con la volontà, come lo era Gramsci».

La Verità, 5 novembre 2017