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Bertolino antifuga cervelli Fazio e Crozza sbagliano

Fondazione Tim sull’innovazione È sbarcato ieri su La7 MeravigliosaMente, programma sull’innovazione di Enrico Bertolino e realizzato da Zerostudio’s per Fondazione Tim. A metà tra l’educational e la divulgazione scientifica, il comico visita in altrettante puntate cinque università dell’eccellenza italiana (Pisa, Genova, Padova, Milano, Torino). La prima notizia è che esistono nonostante le classifiche internazionali. La seconda è la comunicazione smart con cui Bertolino incontra ricercatori di robotica che progettano pancreas per diabetici gestibili con wi-fi, o ingegneri che studiano il trasporto con levitazione magnetica che ridurrà di 2/3 i viaggi sulle linee Tav. Il tutto in agenda «tra due anni».

Errori di programmazione/1 Il primo è Che fuori tempo che fa, il talk show di Fabio Fazio nella seconda serata del lunedì su Rai 1. Con l’eccezione della copertina di Maurizio Crozza, la tavolata con gli ospiti sembra una sorta di «avanzi» del Tavolo con Nino Frassica della domenica. In passato c’è chi ha proposto qualcosa di dignitoso con il marchio Avanzi, ma stavolta c’è da confrontarsi con lo schiacciasassi Grande Fratello Vip. E non basta il traino della Nazionale, tanto più se dopo la fine del match c’è mezz’ora di bar sport, per far superare la sensazione di già visto.

Errori di programmazione/2 L’altro svarione riguarda Fratelli di Crozza in onda su Nove al venerdì (3.5%) come nelle annate su La7, dove quest’anno c’è Propaganda Live di Zoro che gli rosicchia il pubblico militante. Più male gli fa su Tv8 la prima tv in chiaro di X Factor che lo supera regolarmente (4.5% circa). Se non si vogliono cambiare abitudini tocca rassegnarsi.

Correzione per Skroll Dopo un mese di preserale nell’illusione che facesse da traino a Mentana, Andrea Salerno ha deciso di spostare la striscia di Marco D’Ambrosio alias Makkox prima di un altro tg, quello della notte. Gli ascolti delle 19.30 erano scesi sotto l’1%, mentre la replica dopo mezzanotte resisteva attorno al 2% (e il doppio di telespettatori). I frequentatori dei social sono nottambuli.

I capolavori di Taodue L’altro giorno a proposito di Squadra mobile. Operazione Mafia Capitale di Canale 5 Aldo Grasso ha scritto che «vengono in mente tante cose». A cominciare dal «cinema dell’impegno civile (i film dei fratelli Taviani, di Germi, di Petri, di Pontecorvo, di Rosi, di Scola…) così centrale negli anni ’70 del Novecento. Le non poche serie della Taodue da Distretto di polizia a R.I.S., da Squadra antimafia a Le mani dentro la città, solo per citare alcuni titoli, affondano le loro radici culturali proprio in quella stagione in cui il nostro cinema provava a raccontare misteri e storture del nostro Paese».

La Verità, 15 ottobre 2017

Crozza gioca (non troppo) con Caschetto burattinaio

Per l’esordio della seconda stagione sul Nove Crozza si è contornato di nuovi «Fratelli». Niente Matteo Renzi e senatore Razzi. Ripescato dal repertorio il solo Beppe Grillo in occasione della travagliata investitura di Luigi Di Maio alla kermesse pentastellata di Rimini. Marco Minniti, sceriffo anti immigrati che piace più a destra che a sinistra, Giuliano Pisapia, leader imbranato e sprovvisto di carisma, Vittorio Feltri che sforna titoli truculenti e l’ineffabile maestro yoga Roberto Laurenzi intercettato su youtube che va a sostituire lo chef vegano Germidi Soia, sono le new entry della nuova collezione (venerdì, ore 21.17, share del 3.5% che diventa 5 sommando gli ascolti degli altri canali del gruppo). La share non è eccelsa e forse Crozza non è più al centro del dibattito politico mediatico come un paio d’anni fa. Però, no problem. Con navigata ironia il comico genovese ci ha giocato sopra fin dalla prima canzonetta. «Forse farei più share andando in pizzeria… Incontro molti fan che mi dicono: adesso dove sei, è un peccato che in tv non ti si veda più… Guarda che forse ti sbagli tu. Ti do le prove, anche se piove sono sul Nove, capito dove?».

Maurizio Crozza nella parodia di Beppe Caschetto

Maurizio Crozza nella nuova parodia di Beppe Caschetto, suo agente

Il colpo di teatro, però, è lo sdoganamento parodistico di Beppe Caschetto, il suo (e di molti altri) agente. Inafferrabile: «Su internet ci sono solo due foto sgranate». Potentissimo: «Tutto quello che vedete in tv, dal meteo a Sanremo, l’ha deciso lui». Luciferino: «Se fa un patto col diavolo ci rimette il diavolo». A tutti chiede: «Come state? Fatturate?». La maschera di Crozza lo presenta come un Gene Hackman in salsa emiliana. Che propone a Roberto Saviano di fare il giudice di X Factor e al capo della fiction Mediaset una serie con Geppi Cucciari nel ruolo di madre Teresa. Inarrestabile, dialoga persino con papa Francesco per suggerirgli come risultare ancor più popolare. Molto esposto a causa del discusso contratto di Fabio Fazio, in questo momento Caschetto è nel mirino della Commissione di Vigilanza e di Michele Anzaldi che scalpita per una legge che ridimensioni il ruolo dei manager, impedendo loro di operare contemporaneamente da agenti e produttori. Un tantino autoreferenziale, obiettivo della gag è smontare l’idea del burattinaio occulto. Basteranno due risate?

La Verità, 24 settembre 2017

Ps.«Sempre sul Nove ci starò ancora un po’, che voglia o no», piagnucolava ancora Crozza in quella canzoncina. Ma con qualche significativa licenza. Tutti i lunedì in seconda serate rifarà capolino su Rai 1: con un colpo da maestro il potente Caschetto è riuscito a procurargli la copertina di Che fuori tempo che fa di Fabio Fazio.

«In tivù siamo casinisti, in casa taciturni»

Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu li si può intervistare solo in coppia. Così vuole il loro manager, Beppe Caschetto. Potentissimo. Quindi eccoci in una trattoria di Milano vicino a Corso Sempione, zona Rai. Avete presente l’intervista doppia delle Iene? Per anni, complice la Gialappa’s, l’hanno inflitta alle loro vittime. Stavolta la subiscono.

Siete al timone di Quelli che… Masticate di calcio?

Paolo: «Io sono figlio d’arte. Nel senso che mio padre era dirigente di un club di tifosi genoani. Ricordo che una volta, da piccolo, quando rientrando da scuola gli chiesi cosa fosse la Sampdoria negò l’esistenza di un’altra squadra genoana».

Luca: «Anch’io sono genoano di famiglia. Erano tutti uniti e compatti, non avevo alternative».

Il momento più bello da tifosi?

Luca: «Nei quarti della Coppa Uefa del 1992, quando battemmo 2 a 1 il Liverpool. Siamo l’unica squadra italiana ad aver espugnato Alfield Road».

A Quelli che… la squadra deve ancora amalgamarsi.

Luca: «Abbiamo praticamente fatto un numero zero in onda. I collegamenti non erano mai stati provati. Con Mia Ceran siamo in tre a condurre una trasmissione che è molto radiofonica perché le partite di cui parliamo tutto il tempo non si vedono».

Com’è dirigere un’orchestra per dei solisti come voi?

Paolo: «S’impara facendo. Saremo un po’ meno coppia. Ognuno avrà il proprio modo d’intervenire, anche in accordo con Mia, cercando di capire quando è il momento di smettere».

Un’orchestra di strumentisti che provengono tutti dal conservatorio di Caschetto.

Luca: «Nella prima puntata c’era molto caschettismo. Al tavolo dei commentatori, però no».

Paolo: «Il cuore del programma è nei collegamenti con gli stadi. Se funzionano quelli funziona tutto. Direi che è un’orchestra jazz».

Luca: «Per dire, Giorgio Mastrota non è di Caschetto. È un amico che sa stare al gioco».

Beppe Caschetto, manager di Luca e Paolo

Beppe Caschetto, manager di Luca e Paolo e non solo

Avete trovato quel musicarello dove debuttò come attore…

Paolo: «Merito degli autori guidati da Massimo Venier che sono la vera ossatura del programma».

Avete detto: faremo come i jazzisti. Conoscete il jazz?

Paolo: «Diciamo che nasco chitarrista… e muoio presto. Ascolto dal be bop alla fusion. Però l’improvvisazione teatrale è un’altra roba».

Giass su Canale 5 non vi portò fortuna.

Luca: «Ah, ecco dove volevi arrivare. Ma Giass stava per ghiaccio in milanese, per Great Italian Association, e sì… per jazz. Era tante cose».

Tornando al calcio: voi siete come Bonucci che ha lasciato una squadra dove ha vinto tanto per diventare il leader di una in cerca di rilancio?

Luca: «Semplicemente abbiamo lavorato tanti anni in un’azienda facendo cose belle e qualcuna meno bella. A un certo punto Ilaria Dallatana, direttore di Rai 2, ci ha chiesto se volevamo lavorare insieme. Ci siamo trovati d’accordo sull’idea di rifare Camera cafè. Poi si sono aggiunte altre cose. Il nostro lavoro non cambia, cambia solo la piattaforma».

Paolo: «Comunque, presto su Canale 5 partirà Immaturi, la serie tratta dal film. Se avessimo mantenuto anche la copertina di DiMartedì avremmo fatto bingo. Magari la rifaremo».

Di Bonucci ci si chiede se sia un fuoriclasse, un campione o un ottimo giocatore: voi come vi sentite?

Paolo: «Fuoriclasse no. Siamo buoni giocatori che hanno la fortuna di lavorare molto. Quando andiamo bene, come accadde al Festival di Sanremo, c’è sempre un pizzico di stupore, figlio dell’incredulità: sorprende che riusciamo a buttarla dentro».

Luca: «Siamo degli underdog, poco considerati che superano le attese. Crozza è un fuoriclasse, noi dei jolly. Come quei giocatori che possono cavarsela in ruoli diversi, e che fanno la gioia degli allenatori».

Come vi siete lasciati con Mediaset? Avete lavorato con tutti i big del gruppo…

Paolo: «Ci siamo lasciati benissimo, ricevendo tanti in bocca al lupo. E certamente non è stato un addio».

Luca: «Si abbiamo lavorato con grandi personalità, Fatma Ruffini, Antonio Ricci, Davide Parenti e anche Maria De Filippi. Poi ognuno ha il proprio carattere. Con Ricci, che ci ha sempre dimostrato affetto e stima, la sintonia è massima».

Antonio Ricci, Maurizio Crozza e prima Beppe Grillo, poi Fabio Fazio, Carlo Freccero, Enrico Ghezzi, voi: perché in tv siete tutti liguri?

Paolo: «Perché siamo un po’ zucconi, tenaci. A Genova sei schiacciato tra mare e monti. Se non vuoi implodere o fai il cantautore triste o il comico. Poi allo Stabile c’è stata per vent’anni una delle migliori scuole di recitazione d’Italia».

Luca: «Noi, Crozza, Ugo Dighero, Maurizio Lastrico, siamo tutti usciti da lì. A Genova c’è sempre stato gran fermento, spero che ritorni. Comunque, la questione geografica è fondamentale».

Non avete bisogno di fare molta strada per andare in vacanza.

Luca: «Dipende. La mia vacanza ideale è nella Comunità di Bose, quella di Enzo Bianchi. Mi hanno detto che c’è l’obbligo del silenzio».

Non sarete persone taciturne?

Luca: «Muti o quasi. Facciamo lunghi viaggi in treno senza scambiarci una parola. Manco ciao».

Paolo: «Per due che si conoscono da 25 anni non serve parlarsi per sapere cosa pensiamo. Siamo genovesi: esiste una comunicazione che prescinde dal parlare».

Che significa essere genovesi?

Luca: «Tra il clamore e il silenzio un genovese preferisce sempre il secondo. Perché non ne ha paura, ne avverte l’urgenza di riempirlo. Meglio ascoltare che parlare».

«Le parole sono sopravvalutate», dice un personaggio di Tracks, un film di John Curran sulla storia vera di una ragazza che nel 1977 attraversò il deserto australiano.

 Luca: «Mio zio era un camallo del porto. Quando telefonava e alzavi la cornetta udivi un verso gutturale che conteneva tutto: ciao, sono lo zio, passami la mamma».

Vi facevo logorroici chiacchieroni.

Paolo: «Tutt’altro. Perciò Quelli che il calcio, dove bisogna chiacchierare tre ore, è una sfida vera».

Giorgio Gaber nel Teatro canzone che ispirò Luca e Paolo

Giorgio Gaber nel Teatro canzone che ispirò Luca e Paolo

Dove vi siete conosciuti?

Luca: «Alla scuola dello Stabile. Finita la quale io ho continuato lì, lui è andato al Teatro della Tosse. Fu Gaber a consigliare di metterci insieme. Venne in tournée a Genova, prima con Il Grigio, l’anno dopo con Il Teatro canzone. Feci una specie di voto: dato che mi scartavano sempre, se avessi superato il provino della scuola sarei andato a vedere tutti i suoi spettacoli. Stanca di vedermi, la bidella mi combinò un incontro con lui».

Paolo: «Il nostro primo spettacolo fu una specie di plagio degli ultimi vent’anni del suo Teatro canzone».

Il meglio e il peggio della televisione, secondo voi.

Paolo: «Mi ha piacevolmente sorpreso la serie di Rocco Schiavone che ho appena recuperato. Quando ho visto che il regista è Michele Soavi ho capito. In genere, le serie mi smuovono la testa. Con i reality invece m’impigrisco».

Luca: «Non guardo molta tv. Cioè, non come riempitivo. Non riguardo neanche me stesso. Però non sono schizzinoso. Pio e Amedeo di Emigratis mi fanno molto ridere. Anche se non è la prima cosa che salta agli occhi, ci vedo una tristezza e un’intelligenza rare».

Il film della vita?

Luca: «Sono indeciso tra Amadeus e Fantozzi».

Spettro ampio.

Luca: «Un altro che mi è piaciuto è L’ottavo giorno con Daniel Auteil, la storia di un uomo d’affari in crisi che si ritrova attraverso il rapporto con un ragazzo down».

Paolo: «I miei preferiti sono Il cacciatore e La dolce vita. E anche Il gusto degli altri, un film francese scritto e diretto da Agnès Jaoui».

Libro sul comodino?

Luca: «Sto leggendo La battaglia, su Waterloo, di Franco Barbero, uno storico che adoro».

Paolo: «Mi piacciono le biografie. Adesso ho attaccato L’arte della vittoria – Autobiografia del fondatore della Nike. E certe storie di imprese estreme, tra sport e follia. Di recente mi ha preso Icarus, il documentario di un regista americano che decide di fare la Haute route, una corsa che raggruppa in cinque giorni le tappe più faticose del Tour de France. Si dopa per vedere cosa succede e scopre di andare peggio dell’anno precedente in cui era pulito».

A cena con?

Luca: «Barbero, lo storico».

Paolo: «Lance Armstrong. Per chiedergli perché ha distrutto la sua stessa leggenda».

Un politico, un intellettuale, un imprenditore di cui non perdete un colpo.

Luca: «Non perdo mai la rassegna stampa di Massimo Bordin su Radio radicale».

Paolo: «Mi affascinano i grandi imprenditori. Sono amico di Cremonese, proprietario di marchi sportivi. Mi domando come fanno a essere così tranquilli gestendo aziende con 5000 dipendenti».

Avete un progetto rimasto nel cassetto?

Luca: «Per anni abbiamo sognato di portare a teatro Rosencrantz e Guildenstern sono morti. Mi sa che adesso siamo troppo vecchi, ripiegheremo su Pigna secca e pigna verde».

Paolo: «Anche portare MtvTrip negli Stati Uniti non sarebbe male. Vedere come reagiscono gli americani a due pazzi che girano su un’auto funebre potrebbe essere divertente. L’anno scorso volevamo proporlo al seguito del Giro d’Italia…».

Luca: «È un format che ha fatto scuola. Dopo MtvTrip quante inquadrature nell’abitacolo dell’auto. Come anche dopo Camera cafè, quante sit com con telecamera fissa: piloti, carcerati… In Italia se qualcuno ha un’idea, invece di farsene venire un’altra, si copia. Pensa a Masterchef».

Il momento migliore della vostra carriera?

Paolo: «Il Festival di Sanremo. Per 40 giorni sei un astronauta sulla luna… Per una cosa che in fondo è un festival della canzone. E che, un minuto dopo che è finito, ti accorgi che non era così importante».

Luca: «Anche lo spettacolo su Gaber firmato con Sandro Luporini, il suo coautore storico, è stato un bel momento. Se penso che abbiamo cominciato provando nel mio garage uno show ispirato da lui…».

Fazio è di Caschetto pure lui. Cosa pensate del suo contratto?

Luca: «In questo mondo nessuno ti regala niente. Se uno viene pagato tanto è perché vale».

Con i soldi del canone è più facile cadere in tentazione.

Paolo: «Non credo. La Rai è così. Se si finanziasse solo con il canone e facesse una sola rete come in Gran Bretagna ci sarebbero più tv commerciali e più offerta».

Luca: «E per noi artisti sarebbe un vantaggio».

 

La Verità, 17 settembre 2017

La copertina di Floris era a casa di Caschetto

Casa Caschetto. La soluzione era lì, sotto il naso, a portata di agente. La lunga ricerca tra i comici per trovare il sostituto di Maurizio Crozza che, mollando La7 per Discovery, ha lasciato orfano Giovanni Floris della copertina di DiMartedì, si è conclusa nella scuderia di Beppe Caschetto, manager del conduttore. Niente di più ovvio. Dall’altra sera e fino a fine stagione saranno Luca e Paolo gli autori della copertina del programma di approfondimento di La7 (martedì, ore 21.25, share del 4.56%). In studio se n’era appena andato il ministro per le Infrastrutture e i Trasporti Graziano Delrio (un habitué dei talk show, che abbia qualche ambizione?), era comparso Alessandro Di Battista (pure lui molto assiduo) e Floris aveva approfittato del cambio d’ospite per lanciare la nuova copertina dei comici genovesi (come il loro predecessore, anche lui by Caschetto). I quali, però, semplici comici non sono: il curriculum parla di cinema, di partecipazioni al Festival di Sanremo, di Striscia la notizia e via snocciolando a un livello medio alto, sempre sul filo della satira intelligente, con qualche scivolata sul crinale tra irriverenza e volgarità. Anche l’altra sera un paio di passaggi sono apparsi un tantino oltre, ma nel complesso l’esordio ha funzionato. Luca e Paolo hanno evidenziato un buon controllo della politica e della risata. Perché, in fondo, lo scenario è chiaro. Prendiamo la questione immigrati: «Renzi vuole più immigrati, Berlusconi vuole meno immigrati, Salvini zero immigrati. E Grillo?». Più, meno, non si sa: «Vabbé, deciderà il web». Idem sull’Europa: Renzi, Berlusconi, Salvini. E Grillo? Idem sui matrimoni gay. Lo sberleffo era buono per smontare l’enfasi della democrazia della rete, mettere in mezzo l’ospite e fornire materia al conduttore. Dopo la prima uscita c’è ancora qualcosina da registrare in regia. Il volume degli applausi fin troppo ribaditi, per esempio, che finiscono per coprire le voci facendo perdere la scia delle gag e l’inquadratura a tutto schermo, per lasciare agio ai due comici che si alternano sul primo piano. Dettagli. Perché in questi casi ciò che conta sono una certa sicurezza e la faccia giusta dell’insolenza. E Luca e Paolo possiedono entrambi. Così, alla fine la soluzione del rebus è arrivata alla maniera della Lettera rubata di Edgar Allan Poe. L’oggetto desiderato era lì, in bella vista e nel posto più prevedibile. Forse per questo non si riusciva a vederlo. Caschetto ha lasciato fare, concedendo un tempo congruo alla ricerca per parare l’accusa di piazzare ovunque i suoi protetti. E uscirne invece come salvatore della baracca. Evidentemente, dopo l’addio di Crozza, i rapporti con Cairo rimangono solidi.

La Verità, 6 aprile 2017

Crozza e il dubbio d’esser finito nel cono d’ombra

Tutto buio intorno, Maurizio Crozza appare cantando «Ti chiami Nove, ti amo Nove». È la sera del debutto sulla nuova rete di Discovery Channel e un brivido di trepidazione corre nelle gag del comico genovese. Il timore del salto nel buio serpeggia nei testi del nuovo Fratelli di Crozza, copione identico allo show di La7, ma personaggi completamente nuovi (venerdì, ore 21,15, share del 5,4%, 1,4 milioni di telespettatori: tanti per il nuovo canale, pochi per il comico). Crozza ricorda quand’era bambino, non c’era il telecomando e i fratelli più piccoli servivano per cambiare canale: è stato questo il motivo del boom demografico. Da quando c’è il telecomando nessuno fa più figli. Adesso ci sono tante reti, il Nove è «lo sgabuzzino della tv» e attorno non ci sono più gli amici e bersagli prediletti, il maratoneta Enrico Mentana e «Giova» Floris, sbertucciati con parodie e sit com dalla presa sicura. Nel palinsesto del Nove i programmi di punta sono Alta infedeltàUndressed e Adamo ed Eva e «io sono l’unico che va in onda vestito, in diretta e che non fa sesso». Perciò, giusto chiedersi «perché l’ho fatto? Per Soldi», contrattacca. Ma Soldi ha l’iniziale maiuscola e di nome fa Marinella, amministratore delegato di Discovery Italia, «una che ha detto no a Renzi» quando l’aveva chiamata per fare il direttore generale della Rai. La trovata funziona e serve a fugare le dicerie sulla reale motivazione dell’addio a La7: basta chiedere a Urbano Cairo se i soldi con la esse minuscola c’entrano nulla.

Maurizio Crozza nella caricatura di Maurizio Mannoni

Maurizio Crozza nella caricatura di Maurizio Mannoni

Qualche volto noto però c’è anche sul Nove e allora, per familiarizzare con il pubblico, si può cominciare con Giunte da incubo, parodia di Cucine da incubo, in cui Crozza-Cannavacciuolo va in missione per risollevare le sorti dell’amministrazione Raggi. Il pubblico sottolinea certe risate fragorose ma, con l’eccezione di Michele Emiliano, l’imitazione più riuscita, Crozza non sembra perfettamente a suo agio. Non ancora a fuoco le caricature di Maurizio Belpietro, conduttore di Dalla vostra parte esageratamente razzista, e di Maurizio Mannoni, gestore di Linea Notte che dialoga tra gli sbadigli con Giovanna Botteri a New York e Federico Rampini a San Francisco. «Criticare l’informazione di destra è facile, si sa come sono Feltri, Belpietro e Sallusti, la schiuma esce dalla bocca. A sinistra invece… la schiuma esce dal flûte…». E così ce n’è anche per Paolo Mieli, Eugenio Scalfari e Andrea Scanzi. Il capitolo dedicato ai giornalisti è il più corposo della serata. Quasi che Crozza voglia sollecitare l’attenzione, anche polemica, del mondo della comunicazione per giocare di sponda, trarne visibilità e non finire nel cono d’ombra. Si vedrà.

La Verità, 5 marzo 2017

La lampada di Carlo e la erre francese di Maria

L’inversione dei ruoli. Carlo e Maria o Maria e Carlo. Ci ha giocato tutta la settimana Maurizio Crozza nelle copertine a distanza per il Festival di NazaRemo. Naza è Maria, ovviamente (madre a Nazareth). E Remo è Carlo. «I promessi sponsor, vi chiamerebbe Alessando Manzoni» (sempre Crozza). Però, lì all’Ariston, si è visto il rovesciamento dei ruoli, una messa a fuoco originale. Dicendola semplice: è come in certe famiglie dove il padrone di casa è lui, ma i pantaloni li porta lei. Non è così in tante case, ancor più ora che, sebbene smentito dal persistente gap salariale, il sesso in ascesa è quello femminile? Insomma, l’autorità riconosciuta, era Carlo Conti, ma l’autorevolezza pendeva dalla parte di Maria De Filippi. Chi non l’ha visto? È anche un fatto fisiognomico. Senza infilarci in stucchevoli considerazioni tra politicamente corretto e scorretto, stando solo ai fatti: tra una faccia lampadata e una erre francese l’autorevolezza da che parte sta? E ancora: Maria ha ridacchiato meno di Carlo e irradiavava più sicurezza. È stata più trattenuta, meno garrula. Lui esprimeva il lato nazionalpopolare, lei quello istituzionale, da servizio pubblico si potrebbe dire, forse osando, ma neanche tanto. Nemmeno la faccenda della trattativa con Mediaset ha particolarmente giovato a Conti. Vera o inventata che sia (di sicuro qualcuno, non Dagospia, ha inventato un incontro ad Arcore con Silvio Berlusconi), ha finito per distrarre il conduttore. Conti era il padrone di casa ospitante. Ma la De Filippi su quel palco si è mossa come se lo calcasse da sempre, con disinvoltura e senza impacci visibili. Per dire: all’inizio della terza sera, dopo le canzoni dei giovani e l’esibizione del coro dello Zecchino d’oro e tutto il resto, alle 21,35 la serata delle cover non era ancora partita e Conti smaniava per l’allungarsi dei tempi. De Filippi, manco una piega. Non so se avete notato, l’ultima sera, dopo avergli portato i fiori, ha voluto accompagnare dietro il palco Francesco Gabbani, poi vincitore. Casi della vita. E del televoto al Festival.

Maria ha portato i fiori a Gabbani prima di accompagnarlo nel retropalco

Maria ha dato i fiori a Gabbani e lo ha accompagnato nel retropalco

La famosa «conduzione per sottrazione» comporta asciuttezza, essenzialità, sintesi: tutti ingredienti dell’autorevolezza. Quando Maria The Queen, com’è stata ribattezzata, presenta l’ostetrica novantaduenne o l’impiegato senza un giorno di assenza ci si chiede che cosa pensa mentre dice poche parole. Ci sono le pause, s’intuisce (e incuriosisce) il non detto. Quel qualcosa di trattenuto produce un magnetismo proprio perché non si palesa. Un po’ come la caramella che teneva in bocca: non si nota ma, in qualche modo, influenza la dizione. Tutto ciò non significa che lui «gli ha fatto da valletto» come si è volgarmente scritto. Conti è così, sincero, semplice, un buon mediano della televisione. Maria è un’altra cosa: «Non sono una conduttrice, ma un’autrice che conduce». Stature diverse.

Incantevole. Marica Pellegrinelli, moglie di Eros Ramazzotti

Incantevole. Marica Pellegrinelli, moglie di Eros Ramazzotti

Ospiti allo sbando. Conti, invece, è un conduttore che fa anche il direttore artistico. Riuscendoci fino a un certo punto, come si è visto in quest’edizione del Festival. Eccettuate un paio (Fiorella Mannoia e Paola Turci) le canzoni non sono state di gran livello. Ancor più modesti gli ospiti. Tutti impaginati maluccio. Le cose peggiori si son viste con quelli internazionali. La malinconica intervista a Keanu Reaves, il villaggio turistico di Ricky Martin, le inutili Anouchka Delon, figlia di Alain, e Annabelle Belmondo, nipote di Jean Paul, l’ennesima LP, fissa in tutti i varietà che passa la tv. Impacciato e fuori parte anche Raoul Bova. Mentre, a proposito di sex symbol, ha incantato per fascino e dolcezza Marica Pellegrinelli, ex modella e moglie di Eros Ramazzotti: una scoperta per il grande pubblico. Per il resto, unici a salvarsi, Francesco Totti e Mika, entrambi talenti naturali e dunque non bisognosi di copione. Perché questo è il punto: è mancato il copione, un racconto che potesse includere e dare logica a queste passerelle. Senza narrazione.

Comici col freno a mano. Con l’eccezione di Checco Zalone, altro sconfinato talento naturale, non ha spaccato nessuno, nemmeno Maurizio Crozza che si affacciava da Milano. L’ultima sera ha rotto la scatola per spuntare all’Ariston nella maschera di Antonio Razzi. Perché, mica facile graffiare incorniciati dentro una finestra floreale. Il comico genovese ci ha provato, ma gli sono mancati Andrea Zalone e Giovanni Floris. Ancora di più, è stato il contesto di Rai 1 a frenarlo. Ci si può spingere fino a un certo punto. E allora Crozza ha tentato di giocare sull’attualità politica, assente nel resto della kermesse, ricamando sulle disavventure di Renzi e Virginia Raggi, sulla modestia di Gentiloni, sugli eccessi di Matteo Salvini, su Trump, sulla caricatura di Nando Pagnoncelli. Una performance onorevole, ma priva di acuti. Lo stesso tocca dire della molto attesa esibizione di Virginia Raffaele, discutibile già nella scelta dell’ottantaquattrenne Sandra Milo, figura piuttosto periferica nell’immaginario attuale. Sarà che avrà voluto conservare altri bersagli per le sue prossime serate su Rai 2 o sarà quello che volete, fatto sta che per la prima volta la vulcanica imitatrice non ha convinto. Sottotono anche Luca e Paolo, che hanno proposto una sequenza di situazioni di cui hanno paura: più un corsivo alla «Quello che non ho» che un monologo di satira. Anche a loro è mancata l’abrasività che ci si aspetta da un duo comico, se si fa eccezione per l’unico graffio al volgere di serate farcite di partecipazioni omosessuali: «Dopo Tiziano Ferro, Ricky Martin e Mika, Luca e Paolo… Ci vuole coraggio… noi siamo diversi, siamo fuori linea: ci piace la patata». Per il resto, il perbenismo corretto ha avvolto anche i comici. Spuntati.

Maurizio Crozza in versione Antonio Razzi

Maurizio Crozza in versione Antonio Razzi

Overdose sociale. Assente la politica, la narrazione più studiata si è vista nelle storie affidate a Maria De Filippi. I volontari e le forze di soccorso del terremoto e dell’Hotel di Rigopiano, l’ostetrica novantaduenne tuttora in servizio, l’impiegato che ama il proprio lavoro e non sa cosa siano le assenze, l’Orquesta dei Reciclados di Cateura in Paraguay, il nonno e il nipote superstiti della strage di Nizza, i Ladri di carrozzelle. Lo scopo era evidente: rappresentare l’Italia vera, la vita reale, gli eroi del quotidiano. Le esperienze di vita basta metterle in scena, non serve romanzarle. Parlano da sole. Se poi le introduce una che è «un’autrice che conduce» va ancora meglio. Emotainment.

Mostri da Twitter. L’infortunio di Caterina Balivo che con un tweet ha attaccato Diletta Leotta per poi scusarsi pubblicamente è stato solo l’ultimo esempio di polemica via social network. Prima e più ancora che di haters di professione, Twitter trabocca di maestrini di cinismo e supponenza, narcisi convinti che i lettori bramino di conoscere i loro coriandoli di saggezza e di spocchia. Abbonati alla stroncatura da ipertrofia dell’ego. In un’intervista a Silvia Truzzi del Fatto quotidiano De Filippi ha detto: «Chi fa questo mestiere ha un estremo bisogno di gratificazione, che alla fine è patologico… Mi auguro che questa malattia non mi prenda». Purtroppo, sembra abbia già preso certi osservatori che stanno fuori e per i quali la tv è tutta uno schifo. (Fortuna che tra tante patologie c’è uno come il cardinale Gianfranco Ravasi che nel suo profilo twitter ha postato, senza commenti, due versi di Che sia benedetta di Fiorella Mannoia e di Ora mai di Lele.) A-social.

Perché il presenzialismo televisivo di Renzi è un autogol

Se un confronto tv tra due politici può esser preso come test, per Matteo Renzi «la situazione non è buona» (Celentano). Se poi colui che lo batte negli ascolti è il probabile principale competitor alle prossime elezioni, quando saranno, allora son proprio dolori. È andata così, l’altra sera (perdonate qualche cifra). Il premier, ospite su Rai 3 di Politics – Tutto è politica, ha raccolto tra le 21.22 e le 21.41 il 5,78 per cento di share e tra le 21.52 e le 22.15 il 5,72. Luigi Di Maio del Movimento 5 Stelle, invitato da La7 a DiMartedì, ha ottenuto il 6,19 nel primo blocco e il 7,12 nel secondo. In sostanza, l’esponente grillino e La7 hanno prevalso durante tutta la sovrapposizione, al netto della copertina di Maurizio Crozza, inserita come intervallo tra il faccia a faccia Floris-Di Maio e la conversazione allargata a Massimo Giannini e Maria Latella. Se si considera anche l’innesto comico, invece, la forbice è superiore a un punto percentuale.

Matteo Renzi e Luigi Di Maio, futuri avversari alle prossime elezioni a Palazzo Chigi

Matteo Renzi e Luigi Di Maio, futuri avversari alle prossime elezioni a Palazzo Chigi

Per il presidente del Consiglio lo smacco è doppio. La settimana dopo la puntata di DiMartedì che non aveva generato «una corrispondenza d’amorosi sensi» (Mentana) col premier, la sua decisione di partecipare al talk concorrente poteva suonare come un dispetto collaterale, oltre che un favore alla coppia Bignardi-Semprini. Invece, audience non mente e il piano si è rivelato un autogol. È vero che Politics è cresciuto dal 2,5 per cento di settimana scorsa al 6,4, risultando vincente su DiMartedì (6,1). In sostanza: il programma di La 7 ha mantenuto il proprio pubblico e, con la presenza di Renzi su Rai 3, si è allargata la platea dei talk show. Ma è ancor più vero che il sorpasso tra i due si è registrato soprattutto perché Floris s’indebolisce nella seconda parte, mentre nella prima, clamorosamente, Di Maio batte Renzi.

Scintille tra Matteo Renzi e Bianca Berlinguer durante l'ultimo «Politics»

Scintille tra Matteo Renzi e Bianca Berlinguer durante l’ultima puntata di «Politics»

Smacco politico e smacco mediatico, dunque. Eppure, come avviene per ogni presenza tv dall’inizio della campagna referendaria, il disegno era stato studiato nei minimi particolari dallo staff del premier. Anche la Rai ci aveva investito parecchio, mandando Semprini ad annunciare la prestigiosa ospitata a Che fuori tempo che fa appena due ore dopo la lunga intervista concessa da Renzi all’Arena di Massimo Giletti. Si era messa al lavoro pure la direttrice di Raitre per studiare la scaletta e chiamare i giornalisti giusti: l’agguerrita Bianca Berlinguer, Stefano Feltri, vicedirettore del Fatto quotidiano, e l’habitué della casa Claudio Cerasa, numero uno del Foglio. Infine, c’era l’asso nella manica: le leggendarie domande di Facebook, alle quali il presidente del Consiglio avrebbe risposto in tempo reale. Tanta carne al fuoco, dunque, forse troppa. Che lo chef Semprini non è stato in grado di cuocere adeguatamente.

Discutibile compromesso calcistico tra Renzi e Giletti all'«Arena» di Rai 1

Discutibile compromesso calcistico tra Matteo Renzi e Massimo Giletti all’«Arena» di Rai 1

Tanto per cominciare, Renzi troneggiava su uno sgabello davanti al pc, rubando al conduttore il controllo del verbo dei social. Poi, sopraffatto dalla reciproca ostilità tra la Berlinguer e il premier, il giornalista non è mai riuscito a dare un filo logico alla serata. Quanto all’ospite, ci ha messo del suo per complicarsi la vita. Prima rivolgendosi alla giornalista con un «direttore Berlinguer» che, considerate le motivazioni del recente siluramento, è suonato strano. Poi replicandole sul caso Marino che l’ex sindaco di Roma «si è dimesso lui, poi ha ritirato le dimissioni… Il suo tg ne ha dato ampia informazione con due o tre servizi in apertura…». «Dovevamo ignorare la notizia?», ha provocato l’ex direttrice del Tg3. «Ha mai ricevuto una telefonata da me su come fare il tg?», è stata la replica del premier. «No. Da lei personalmente no», ha chiuso la Berlinguer lasciando chiaramente intendere di averne ricevute da qualcuno a lui vicino. Un’allusione chiara, pur nel bailamme di voci che si sovrapponevano. Ma un’allusione complicata da gestire e subito sopita da Semprini che ha dirottato la discussione su temi economici. Nel frattempo, delle imprescindibili domande di Facebook si erano completamente perse le tracce.

Insomma, complessivamente una serata storta. Ancora più storta dev’essere stata la mattinata post televisiva, per il premier, una volta appreso il responso dell’Auditel: battuto da Di Maio, probabile candidato dei pentastellati. Già finora tutti i sondaggi dicevano che a un eventuale ballottaggio i grillini potrebbero prevalere. Ora, questo risultato è un’altra, piccolissima, ma fastidiosissima conferma. Avrà di che riflettere la task force della comunicazione composta da Jim Messina, Filippo Sensi e Simona Ercolani che analizza tutto, comportamento dei giornalisti, linguaggio, situazioni, programmi e curve di ascolto per definire ogni presenza televisiva. Chissà, forse tra le variabili da inserire nell’algoritmo c’è anche quello riguardante la sovraesposizione mediatica e il suo, indesiderato, effetto collaterale. Chiamasi saturazione. Anche perché una parte di pubblico può cominciare a chiedersi: ma è giusto che il premier sia sempre in tv per la campagna referendaria, con tutto quello di cui ha bisogno questo Paese? Non dovrebbe pensare a governare più che a promuovere le ragioni dell’«abolizione» del Senato?

Crozza pesca «Meraviglie» nel subconscio collettivo

Maurizio Crozza è tornato in ottima forma nel suo Paese delle meraviglie per l’ultima stagione su La7 (venerdì, ore 21.20, share del 7,3 per cento con 1,8 milioni di telespettatori): da gennaio sarà sul canale Nove. In verità, l’altra sera l’avvio è stato un po’ lento – «devo rompere il ghiaccio, raga» – con le quattro sfumature di Alessandro Di Battista, nuovo supereroe del Movimento Cinque Stelle: quella patetica, quella precisina, quella sbarazzina, quella accorata, tutte varianti della paraculaggine. Dopo un passaggio sulla tendenziosità del quesito referendario si è soffermato sul presenzialismo televisivo di Renzi («in confronto Berlusconi era Mina»). Mano leggera, però: il Crozza militante è quello della copertina di DiMartedì, dove si è ritagliato uno spazio da editorialista satirico (esempio: «Renzi ha detto che il referendum si vince con i voti di destra. Una cosa che avrebbe potuto dire Brunetta. Allora, Renzi, vuoi fare il Ponte sullo Stretto, il tuo migliore amico è Verdini e parli come Brunetta: ma nel Pd ti hanno adottato? Qualcuno ti ha abbandonato in una cesta sulla porta del Nazareno?»). Nel Paese delle meraviglie, invece, servono un registro narrativo e una galleria di finzioni che rappresentino lo spirito del momento.

Maurizio Crozza, alias Napalm 51, un hater del web che non abbandona mai il pc

Maurizio Crozza, alias Napalm 51, un hater del web che non abbandona mai il pc

Il primo pezzo forte della serata è stato Paolo Sorrentino, il regista premio Oscar de La grande bellezza, nel quale Crozza accentua l’aria annoiata e un certo atteggiarsi intellettuale: l’incomprensione «per questo filone di film con la trama», la parlata lenta, le dita che stropicciano gli occhi. Alcune espressioni sembrano destinate a diventare tormentoni («c’è una suora nana che fuma»). Ancora più indovinata, forse, la parodia di Napalm 51, nome d’arte di un hater del web, il «webete» di conio mentaniano, che se la prende con tutti, da Morandi a Jovanotti, da Gino Strada ad Alex Zanardi. Il comico lo interpreta come un reduce di guerra («modero la pagina Facebook degli ex combattenti in Iraq»), manganellatore rabbioso, capello color rame e baffi a manubrio, immerso nella bolla della Rete e pronto a sfoderare l’alibi di qualche complotto appena tenta di passare dalla realtà virtuale alla realtà reale. Sono forzature, in qualche caso neanche tanto, come devono essere le caricature. Ma la genialità di queste maschere sta nella fantasia con cui vengono individuate. Di Battista, Sorrentino, Napalm 51 come il cuoco vegano o Joe Bastianich non sono personaggi pop, ma appartengono a un pantheon colto e laterale, adatto al pubblico di La7. L’originalità sta nel pescarli dal subconscio collettivo grazie a una buona dose di curiosità e di stupore, mix vincente delle «meraviglie». Rendendoli poi caricaturalmente credibili con l’esasperazione dei tic, la forza dell’esagerazione, il gusto del grottesco. Vedremo come andrà quando il contesto sarà diverso, sul canale Nove.

 

La Verità, 9 ottobre 2016

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