Tag Archivio per: D’Urso

Ballando con la D’Urso fra commedia e realtà

Che farà e dirà Barbara D’Urso dopo un anno e mezzo di esilio dalla tv? Sapientemente dosata e centellinata in tutta la serata, ricompare su Rai 1, a Ballando con le stelle, programma rivale di Tu sì que vales di Maria De Filippi, sorprendentemente battuto otto giorni fa (ma sabato si è preso la rivincita per un punto di share: 25,4 a 24,4 per cento di share). Già nella prima pillola la desaparecida si toglie un sassolone dalle décolleté: adesso che sono fuori dalla tv, in tv è sparito il trash. Il secondo ciottolo spunta quando, parlando dell’attrazione per la danza, dichiara che il sabato guarda Ballando, «dico davvero», una scuola, una seduzione. Si vedono le foto di lei in tutù alle lezioni, accompagnata dalla mamma fino alla sua prematura scomparsa e, con questa, addio pure alla danza. Il vero macigno rotola prima dell’esibizione da ballerina per una notte: dopo anni di armonia nella coppia, la rottura per decisione unilaterale infrange il sodalizio di successo (polemiche e infortuni). Il bersaglio mai nominato è Pier Silvio Berlusconi.
Ma a Ballando con le stelle si balla e la moglie ripudiata se la cava a passo di salsa e bachata, prima dell’atteso confronto con l’acerrima Selvaggia Lucarelli, celata dietro il suo stesso cartonato. Tra rivelazioni annunciate, messaggi trasversali e silenzi ammiccanti lei è la Maria Teresa Boccia dello show. Che continui a ballare e smetta di presentare. Ma la vittima si ribella e butta lì che prima o poi tornerà. Essendo anche commedia, nel reality di Milly Carlucci molto si recita e non solo dalle parti della giuria. Lucarelli è la strega cattiva, Guglielmo Mariotto e Fabio Canino sono i cicisbei di corte, Carolyn Smith la preside(nte), Ivan Zazzaroni interpreta sé stesso riccioli compresi, Alberto Matano in versione Village People. Tra i concorrenti, Luca Barbareschi è un agnellino languido, Sonia Bruganelli l’antipatica di professione. Nella commedia, quella più nella parte è la ribelle al ruolo di capro espiatorio. Si vede che l’ha studiata parecchio. Nella realtà, la cessazione del rapporto con Mediaset è il primo atto di emancipazione di Pier Silvio dal padre. Altri ne sono seguiti.

Post scriptum Intervistato dal Corriere della Sera, Fabio Fazio ammette e omette. Ammette, finalmente, che il meglio del suo programma è il Tavolo, «vero jazz televisivo», omaggio ad Arbore. Omette, tra le persone con cui ha lavorato, il nome di Carlo Freccero, savonese anch’egli, cui deve Quelli che il calcio e Anima mia; e, tra coloro che non gli «hanno rinnovato il contratto», il nome di Carlo Fuortes. Scherzi della memoria.

 

La Verità, 7 ottobre 2024

«Tra le reti generaliste Rai è davanti a Mediaset»

Dopo lungo corteggiamento, Roberto Sergio, dal maggio scorso amministratore delegato della Rai, mi ha chiesto di preparare una decina di domande: «poi vediamo come fare!». Una volta pronte, mi ha invitato a mandarle via mail e, sebbene abbia ripetutamente proposto un confronto telefonico, ciò non è stato possibile. Quello che segue è lo scambio di domande e risposte, avvenuto in due riprese, con il massimo dirigente della tv pubblica.

Dottor Roberto Sergio, qual è il suo bilancio dei primi nove mesi alla guida della Rai?

«Molto positivo. Assieme al direttore generale Giampaolo Rossi e con il forte supporto del Consiglio di amministrazione abbiamo portato l’azienda a una chiusura 2023 con una riduzione dell’indebitamento finanziario netto da 650 a 560 milioni, meno 90 milioni, e un pareggio di bilancio con uno stanziamento importante per favorire il ricambio generazionale in logica digitale».

La Rai ha perso leadership nella vita del Paese? I programmi che creano dibattito vanno in onda su altre televisioni?

«La Rai è e continuerà a essere leader nella vita del Paese e continuerà a contribuire alla costruzione dell’identità nazionale, consentendo ai cittadini di riconoscersi dentro una memoria che appartiene a tutti. Non mi pare affatto che Report, Presa Diretta, Far West, Agorà fino ad Avanti popolo non creino dibattito, anzi, direi il contrario».

Tuttavia, sembra che l’agenda sia dettata da programmi di altre televisioni. Per esempio, dopo il ritorno in tv di Beppe Grillo di qualche settimana fa, domenica papa Francesco sarà ospite di Che tempo che fa sul Nove. State pensando a qualche volto, a qualche giornalista che possa ridare leadership al servizio pubblico?

«La leadership del servizio pubblico non è in discussione tantomeno ora. Papa Francesco lo scorso 28 maggio per la prima volta ha visitato uno studio televisivo, partecipando a una trasmissione Rai. Lo scorso primo novembre il direttore del Tg1 ha realizzato una lunghissima intervista con il Pontefice».

Avete un po’ subito la perdita di alcuni volti importanti e rappresentativi come Fabio Fazio o Bianca Berlinguer? Si poteva contrattaccare come fece Biagio Agnes quando chiamò Celentano per rispondere al passaggio di Pippo Baudo e Raffaella Carrà a Canale 5?

«Erano altri tempi e Biagio Agnes un gigante. Comunque, Monica Maggioni, Francesco Giorgino, Geppi Cucciari e il ritorno di Renzo Arbore e Pippo Baudo oltre ai possibili arrivi di Piero Chiambretti e Massimo Giletti mi paiono una risposta della Rai interessante».

A quanto si legge Massimo Giletti è già rientrato: c’è un progetto che lo vedrà nuovamente protagonista?

«Stiamo lavorando. Le idee non mancano».

(Qui avrei voluto chiedere: Ci può anticipare quella più interessante?)

Pino Insegno al Mercante in fiera e Nunzia De Girolamo con Avanti popolo sono due tentativi di «riequilibrio» non riusciti?

«Nel primo caso la fretta e un posizionamento sbagliato non hanno reso giustizia a un artista con 40 anni di lavoro e importanti successi realizzati. Il format di Avanti popolo aveva necessità di tempo per affermarsi in una giornata, il martedì, difficilissima, e con Nunzia, bravissima conduttrice come si è visto a Ciao maschio ed Estate in diretta, pronta a reinterpretarsi in una veste nuova. In entrambi i casi una pretestuosa e preventiva campagna stampa e politica ha sicuramente contribuito a rendere più difficile il loro lavoro».

I palinsesti autunnali sono stati preparati in poco tempo, quali sono le idee di punta di quelli dell’inverno-primavera 2024?

«In considerazione dei positivi risultati di ascolto, assieme al direttore generale Rossi abbiamo ritenuto di andare, in gran parte, in continuità con gli attuali e in aggiunta la programmazione dedicata ai 70 anni della Tv, celebrati a partire dal 3 gennaio».

In realtà, nel 2023 si è registrato il sorpasso nell’ascolto medio giornaliero di Mediaset sulla Rai.

«Lei dice? Bisognerebbe fare un ragionamento molto articolato e complesso. Posso solo dirle che se si considerano le generaliste Rai mantiene la leadership. Non andrebbe mai dimenticato che la Rai ha meno canali del maggiore competitor e soprattutto canali che non sono commerciali, ma di servizio pubblico».

(Qui avrei voluto sottolineare che da tempo «la Rai ha meno canali del maggiore competitor», ma finora il sorpasso non si era verificato. Inoltre, non si può trincerarsi dietro la funzione di servizio pubblico e contemporaneamente chiedere l’innalzamento del tetto di raccolta pubblicitaria come l’azienda si accinge a fare)

Fiorello è il più grande intrattenitore italiano, uno che andrebbe tutelato dall’Unesco come patrimonio del buonumore, ma la sua cifra è la leggerezza: in questo clima serve anche qualcuno che mostri capacità di indirizzare l’agenda anche con altri linguaggi?

«Fiorello, come amo dire, è unico e irripetibile ed è difficile parlare di personaggi in grado di reggere il passo con altri tipi di linguaggi. Questa prossima stagione il compito sarà affidato a titoli di fiction e documentari di altissimo livello e siamo certi di importanti risultati di ascolto».

Ne ha in mente qualcuno in particolare?

«I titoli sono tanti, così come le produzioni che offriremo, tutte di altissimo livello».

Come tutti gli anni la Rai riguadagnerà centralità con il Festival di Sanremo. Amadeus ha detto che la politica non deve entrare all’Ariston: visti i trascorsi, è da considerare un avvertimento o un pentimento?

«Io non posso rispondere del passato. Nel caso del festival 2024 la politica non è e non deve essere all’ordine del giorno. Poi, ogni cantante, ospite, co-conduttore ha la propria storia e la propria identità».

(Lei che cosa si aspetta dal prossimo Festival?)

Cosa c’è di concreto nei contatti con Piero Chiambretti e Barbara D’Urso?

«Con Chiambretti c’è una trattativa in corso, che mi auguro si chiuda presto. Con la D’Urso nulla, non la conosco».

Cosa c’è di vero nell’accusa che viene fatta alla cosiddetta TeleMeloni di aver progettato una fiction filofascista?

«Innanzitutto, non esiste TeleMeloni, esiste la Rai Radio Televisione Italiana che quest’anno celebra i 100 anni della radio e del servizio pubblico e mai come ora è pluralista e rappresentativa delle identità culturali, politiche e di genere del nostro Paese. Non so quale fiction filofascista possa avere progettato Maria Pia Ammirati, direttrice Fiction dall’11 novembre 2020».

Quanto è sicuro che il faccia a faccia tra Giorgia Meloni e Elly Schlein andrà in onda sulle reti Rai?

«Non lo sappiamo, e comunque sarebbe logico che fosse ospitato dalla rete ammiraglia Rai».

Chi potrebbe condurlo?

«E se fosse una giornalista? Quando sarà il momento prenderemo la miglior decisione possibile».

(Quindi la vostra candidata è Monica Maggioni?)

Nel mondo dell’informazione in generale nota una certa ipersensibilità derivante dal fatto che si vorrebbe che la Rai suonasse sempre il solito spartito?

«Nel mondo della disinformazione, vorrà dire. Chi afferma che la Rai perde ascolti, che i tg e in particolare il Tg1 va male, che io e Rossi siamo ai ferri corti, dice il falso. Nel tentativo, fallito, di delegittimare gli attuali vertici che hanno l’obiettivo di ridare lustro, immagine e orgoglio alla Rai. E soprattutto di rendere l’azienda libera e plurale con quel riequilibrio reso necessario da una visione passata miope e di parte».

 

La Verità, 12 gennaio 2024

 

Bianchina, una Berlinguer alla corte di Berlusconi

La notte bianca di Bianca. Le… notti bianche. Per l’ex conduttrice di #Cartabianca, più che i sogni e le passioni di Dostoevskij a San Pietroburgo, c’entra un calcolo professionale, seppur venato dal dubbio. Restare fedeli all’azienda di una vita o assicurarsi un allungamento di carriera alla corte della concorrenza? Eccola, è Bianca Berlinguer al bivio (acronimo: BBab). Praticamente un format: la conduttrice chiede un supplemento di riflessione per sciogliere la riserva. Accendiamo la telecamera e spiamo le notti insonni e i petali consumati dal dilemma: resto o vado, vado o resto? Di qua lo status quo, di là la freccia che indica Mediaset. Alla fine, l’ex direttore della Telekabul ereditata da Sandro Curzi ha scelto la nuova avventura nelle reti del Biscione. «Bianca Berlinguer ha comunicato le dimissioni da ogni incarico in Rai e dalla conduzione del programma #Cartabianca. La giornalista», si legge nella nota di Viale Mazzini, «ha ringraziato l’azienda per 34 anni di lavoro, svolti sempre in piena autonomia sia in qualità di direttore che di conduttrice di programmi di approfondimento».

Stasera alla presentazione dei palinsesti se ne avrà conferma ufficiale. Berlinguer avrà l’abituale prima serata del martedì su Rete 4 al posto di Veronica Gentili destinata alle Iene, con lo spostamento di Fuori dal coro di Mario Giordano al mercoledì. Mentre si alternerà una settimana a testa con Nicola Porro alla conduzione della striscia quotidiana finora condotta da Barbara Palombelli. Ne sapremo di più al gala di Cologno monzese, dove si capirà anche quale ruolo potrà avere Mauro Corona, l’alpinista scrittore da anni sparring partner di «Bianchina». Restando in casa Mediaset, sempre stasera si avrà conferma se il posto di Barbara D’Urso a Pomeriggio cinque verrà preso da Myrta Merlino. Se così sarà assisteremo a uno spostamento a sinistra del Biscione a compensazione del riposizionamento a destra della Rai, con conseguente rimescolamento di parte dei pubblici rispetto agli editori di riferimento.

Intanto, ieri il Cda di Viale Mazzini ha rinnovato il contratto di servizio fino al 2028, mantenendo gli spazi di giornalismo d’inchiesta – quanti allarmismi del giornalone unico – e approvato i palinsesti del prossimo autunno (presentazione venerdì a Napoli). Al termine della riunione, l’amministratore delegato Roberto Sergio ha comunicato che «al momento la trasmissione #Cartabianca non è presente in palinsesto». Sabato Berlinguer aveva chiesto ancora una notte per pensarci. Poi il pensamento si era prolungato, mettendo alla prova la pazienza dei massimi dirigenti (Giampaolo Rossi, direttore generale) che avevano già fatto di tutto per trattenere la giornalista, assicurando grande promozione all’unico talk politico di prima serata, budget e libertà nella scelta degli ospiti che la precedente gestione aveva provato a mettere in discussione. Non è bastato. Al suo posto, alla conduzione di #Cartabianca, su Luisella Costamagna sembra averla spuntata Monica Giandotti, in uscita da Agorà e moglie di Stefano Cappellini, capo del politico di Repubblica. Loro testimone di nozze è quel Mario Orfeo, già direttore generale, attuale guida del Tg3 e tuttora, curiosamente, molto influente in Viale Mazzini.

Ora, però, la telenovela della «zarina» è finita. Era stata lei a inaugurarla, impuntandosi contro la programmazione di Rai 2, ritenuta concorrenziale al suo programma. «Bianchina» non gradiva Belve di Francesca Fagnani e nemmeno Boomerissima con Alessia Marcuzzi, previste al martedì. E pazienza se quei programmi erano già andati in onda nello stesso giorno di #Cartabianca in passato e l’ufficio marketing di Viale Mazzini aveva documentato che i loro target erano diversi.

Non con Discovery come si era ipotizzato all’inizio, BB giocava di sponda col Biscione (acronimo: BBB), felice di puntellare il palinsesto all talk di Rete 4 con un volto storico, anche se non più così ortodosso, della Rai di sinistra. L’obiettivo di Berlinguer era allungare la carriera in prima linea. Così, anche lei ha rischiato di accodarsi alla lista dei conduttori presunti censurati dalla Rai meloniana. I quali, in realtà, seguono principalmente l’odore dei soldi. A Fabio Fazio, Luciana Littizzetto (contrattualizzata sia da Discovery che per Tu sì que vales di Canale 5), Lucia Annunziata e Massimo Gramellini, negli ultimi giorni si è aggiunta Serena Bortone che, salutando i telespettatori di Oggi è un altro giorno, li ha retoricamente esortati a essere «liberi e autentici, a qualsiasi prezzo», neanche fosse una paladina dei diritti a Weimar. Dove, per altro, difficilmente le affiderebbero una prima serata e un access primetime su Rai 3. Più o meno sulla stessa frequenza d’onda si è sintonizzato Alberto Matano che, pur confermato per il 2023/24, si è portato avanti con il lamento: «Non so cosa farò dopo la prossima Vita in diretta», ha detto in telecamera all’ultima puntata della stagione. Lesa maestà anche di Luca Bottura e Marianna Aprile per la sospensione di Forrest su Radio uno, non confermato dal nuovo direttore Francesco Pionati. I censurati immaginari rivendicano il diritto inalienabile al video e al microfono. Non si tratterà anche, e forse più prosaicamente, delle cospicue indennità relative? O magari dell’impagabile appagamento di essere un volto noto? No, sembra che chi va in onda sia esente dalle logiche di mercato. E che un nuovo direttore che arrivi in Rai non possa scegliersi i propri collaboratori come un qualsiasi nuovo direttore di giornale. Andava così anche con le maggioranze di centrosinistra?

 

La Verità, 4 luglio 2023

 

«L’agenda di Draghi mette in mora gli ex comunisti»

Claudio Velardi ha un passato diverso dal presente. È stato uno dei Lothar di Massimo D’Alema (gli altri erano Fabrizio Rondolino, Marco Minniti e Nicola Latorre) che sussurrava all’allora potente premier, mentre negli ultimi tempi si è avvicinato a Matteo Renzi. Napoletano, 66 anni, fondatore ed editore del quotidiano Il Riformista, tiene il blog Buchineri.org, presiede la Fondazione Ottimisti & razionali e insegna comunicazione politica alla Luiss (Libera università internazionale degli studi sociali Guido Carli). Citando Fiorella Mannoia, ha appena pubblicato Come si cambia. Cronache dall’anno zero (Colonnese).

In un suo tweet di qualche giorno fa scriveva che il Pd, «che sarebbe naturaliter più vicino all’agenda Draghi», è invece attraversato da lacerazioni. Perché?

«Penso che Draghi ponga al Pd una scelta drastica: se si riconosce nel piano di lavoro del governo vuol dire che ha un carattere liberal democratico, se gli fa venire il mal di pancia significa che è preso da pulsioni di una sinistra che ha fatto il suo tempo».

La causa delle lacerazioni è la segreteria di Nicola Zingaretti?

«Sì, perché seguiva quelle pulsioni passatiste. Un processo teorizzato da Goffredo Bettini che sosteneva la necessità di far diventare il Pd e i 5 stelle la gamba di sinistra della coalizione. Mentre Renzi e Calenda avrebbero dovuto rappresentare la gamba liberal con cui allearsi».

Il decisionismo e l’operatività di Draghi hanno evidenziato l’inconsistenza del dibattito interno al Pd?

«Draghi ha rovesciato l’agenda Conte, fatta di continue esternazioni che nascondevano l’assenza di decisioni. Il governo Conte è stato il più indecisionista della storia d’Italia, non solo non ha deciso nulla di significativo durante la pandemia, ma neanche prima. Infatti, andava bene ai partiti».

Invece ora?

«L’agenda la fa Draghi e i partiti perdono equilibrio. A cominciare dal Pd, il più innervato nel sistema. Negli ultimi 26 anni ha governato per 17. Si parla del berlusconismo, ma Berlusconi ha governato una legislatura e poco più. Per il resto, il Pd c’è sempre. Per questo è un partito conservatore».

Le ultime esternazioni d’interesse pubblico di esponenti dem riguardano Barbara D’Urso, il direttore d’orchestra Beatrice Venezi e le sardine.

«L’involucro che avvolge la struttura del Pd è fatta di politicamente corretto. Serve a coprire con il belletto il fatto di essere un partito saldamente innestato nel sistema del potere che, intendiamoci, non è di per sé qualcosa di cattivo. Solo che bisogna saperlo gestire, il Pd lo sa fare».

Però la D’Urso, il vocabolario gender…

«Quando va bene si parla di disuguaglianza e di poveri, sebbene il consenso lo si trovi nelle Ztl. Altrimenti si gioca con la D’Urso e le sardine».

Sono fatti casuali o sintomo del distacco dalle emergenze reali?

«Il Pd è insediato nel sistema non nella società. Quello che sta a cuore alla società gli arriva dopo perché non ha le antenne. Si può pensare tutto il male possibile di Matteo Salvini, e personalmente non lo apprezzo, ma gli va riconosciuto che ha battuto il Paese palmo a palmo. Come pure Giorgia Meloni e persino i grillini. Hanno raccolto le domande della società e le hanno trasferite in politica. A mio avviso, commettendo l’errore di non correggerle e di non governarle, come dovrebbe fare la politica».

Il Pd è il partito dell’establishment?

«Dell’establishment diffuso, che comprende le burocrazie statali, locali, gli apparati pubblici, sindacali e delle categorie. La cosa è seria, non sia mai che il Pd sparisse. Berlusconi e il M5s hanno provato a eliminare gli apparati e le burocrazie, ma non ci sono riusciti».

Perché non parla più di lavoro?

«Essendo legato agli apparati non sa che il lavoro è cambiato. Chi si occupa dei rider oggi in Italia? Il Pd è legato a un’idea di lavoro superata che non guarda ai giovani, ma ai protetti, ai garantiti, ai più anziani».

Non parla nemmeno di scuola.

«Se proteggi le corporazioni degli insegnanti, compresi quelli che non vogliono lavorare, non puoi far passare il principio meritocratico. I sindacati vorrebbero estendere a tutti i premi di produttività, questa è la logica… Se sei legato a queste forze non riesci a dare la scossa».

Nominando commissario per l’emergenza il generale Francesco Paolo Figliuolo al posto di Domenico Arcuri Draghi ha messo in mora anche Massimo D’Alema?

«D’Alema è più intelligente della media della classe dirigente del Pd. Il suo limite è che si è fermato alle analisi di trent’anni fa. A volte riesce a rientrare in gioco attraverso qualche persona vicina. Ma le operazioni di potere devono rispondere a un disegno e il suo disegno è sbagliato. Ha detto che l’uomo più impopolare, un uomo del 2%, non poteva eliminare l’uomo più popolare d’Italia. Abbiamo visto com’è andata».

D’Alema, Bettini, Conte: un’intera filiera di potere è finita ai margini?

«Attenzione, Conte appartiene a un’altra filiera. Gli ex comunisti guardano una fotografia seppiata dell’Italia, per questo le loro strategie falliscono. Se un uomo del 2% rovescia l’Italia come un guanto vuol dire che ha il polso della società. Poi non è amato e non sarà votato… ma anche D’Alema non è che abbia i voti».

Conte apparterrà a un’altra filiera, ma si è giovato dei consigli di D’Alema e dell’appoggio di Bettini.

«Conte appartiene a un’altra filiera: non ha l’ideologia ex comunista. Tanto che ha potuto fare il populista duro nel Conte 1 e poi il populista gentile nel Conte 2. Ha le antenne nella società più degli ex comunisti. Anche se ora, fuori da Palazzo Chigi è molto indebolito».

Si rafforzerà candidandosi a Siena?

«Campa cavallo. Draghi ha un’autostrada fino a ottobre, quando ci saranno le amministrative. Certo, deve portare a casa dei risultati, ma i partiti oltre a entrare nei pastoni dei tg non faranno. Se scendi in strada, la gente ti dice: chissenefrega di Salvini e Zingaretti, fate lavorare Draghi».

In un altro suo tweet scrive che «la scelta di domenica riguarda unicamente la piena, totale e incondizionata adesione del Pd all’agenda Draghi». Lei ce l’ha?

«Sì perché sono una persona normale. A un certo punto arriva l’italiano più stimato nel mondo, uno che dà del tu ai capi di Stato e che ha salvato l’euro, certo che gli do fiducia: che problema c’è? Magari tra due mesi mi avrà deluso e cambierò idea».

Draghi ha cambiato i ruoli apicali di gestione della pandemia: ha sbagliato a confermare il ministro Roberto Speranza e la politica delle chiusure?

«La sfida di Draghi si concentra sui vaccini, è una sfida organizzativa, non sanitaria. Ha cambiato i vertici della Polizia, della Protezione civile e il Commissario straordinario: significa che l’impegno è innanzitutto logistico. Sulla parte sanitaria e le chiusure mantiene una continuità che alla fine è secondaria. Gli italiani sanno che per abbassare i contagi bisogna stare un po’ chiusi. Certo, ci vogliono i ristori per le categorie in sofferenza. Ma Draghi guarda oltre, ai provvedimenti per la ripartenza, allo sviluppo quando le vaccinazioni avranno completato il loro corso. Non serve riaprire per qualche settimana e poi essere costretti a richiudere».

Su Letta è molto fiducioso?

«È un liberal democratico, niente a che vedere con gli ex comunisti. Credo che il suo ritorno sia un bene per il Pd e per tutto il sistema».

Quanto resisteranno gli ex renziani?

«Temo che dentro il Pd si stia stringendo un patto che tende a strangolarli in una logica vendicativa. Se accetteranno questa logica, sbaglieranno. Dovrebbero riuscire a resistere provando a incidere con le loro idee. Se usciranno accelereranno la loro fine».

Anche confluendo in Italia viva?

«Se vanno lì non trovano voti. Renzi dovrà aspettare a lungo prima di risalire. Il caravanserraglio del Pd è importante perché, nonostante tutte le crisi, parliamo sempre di consensi su cifre notevoli. Per questo, forse, è stata sbagliata anche la scelta di Renzi di andarsene».

Con Letta segretario la saldatura con il M5s non sarà più ineluttabile?

«Credo di sì. Conte e Letta saranno competitor e si dovranno distinguere. Conte capo dei 5 stelle è la conferma che Zingaretti e Bettini hanno sbagliato i calcoli ed è uno dei motivi principali delle dimissioni di Zingaretti».

Di cosa è sintomo il fatto che 5 degli ultimi 6 segretari (Walter Veltroni, Pierluigi Bersani, Guglielmo Epifani, Matteo Renzi e Maurizio Martina) sono usciti dal Pd o hanno lasciato la politica?

«È accaduto perché il disegno veltroniano del partito a vocazione maggioritaria è fallito. Il bipolarismo è naufragato e alcuni ex segretari hanno creato nuove formazioni, dando vita a una disseminazione pulviscolare della sinistra che è il derivato del clima di rissa permanente che c’è nel Pd».

Degli ex segretari resiste solo Franceschini perché punta al Quirinale?

«Non credo. Franceschini è un dirigente post dc molto laico che gestisce il potere con intelligenza e duttilità».

Franceschini, Letta, Mattarella: si consolida l’asse della vecchia sinistra Dc?

«Che nel Pd le culture Dc siano sopravvissute meglio delle culture ex comuniste è un dato di fatto».

Ha ragione Alberto Asor Rosa quando dice che la connotazione «di sinistra» nelle forze politiche attuali è assente perché hanno smarrito il «rapporto con le classi popolari»?

«Apprezzo Asor Rosa come studioso, ma politicamente non ha mai ragione. Le classi popolari non esistono. Esistono i poveri, i disagiati, gli sfruttati, ma ognuno è un singolo soggetto che ha a che fare con il proprio bisogno. Se si pensa di classificarlo in uno schema si ha una visione ottocentesca. Se fosse così semplice, basterebbe trovarle le classi popolari, per organizzarle. Ma nessuno le trova».

Ha da poco pubblicato Come si cambia. Cronache dall’anno zero, una riflessione sull’anno della pandemia che ha modificato il nostro vivere. Com’è cambiato Claudio Velardi?

«Rifletto molto di più su me stesso e do meno importanza agli aspetti pubblici dell’esistenza. Anche questa è una forma di emancipazione dalla sinistra, la quale tende a pensare che le cose della politica siano più importanti di quelle che riguardano la quotidianità delle persone. Mi curo di più di ciò che conta, la mia salute, la mia famiglia. Di politica mi occupo per diletto, ma sempre di meno».

 

La Verità, 13 marzo 2021

L’ultrash di Barbarella fa scappare gli sponsor

Ultrash. Volevamo stupirvi con effetti speciali e ci siamo riusciti. Ecco a voi l’ultrash. Il trash a oltranza. Senza remore, senza controlli. Oltre i limiti e i record. Ma anche oltre la sopportabilità. L’edizione numero 15 del Grande Fratello ha battuto tutti i primati. La ricerca dell’eccesso si è tramutata in un boomerang. Perché, quando lo stupore è troppo, l’eterogenesi dei fini è in agguato. La fuga degli sponsor dal reality di Canale 5 è un caso senza precedenti. Si vedrà se Barbara D’Urso e gli altri responsabili del format riusciranno a riprenderne in mano le redini. Ma appare difficile che i vari Nintendo, Bellaoggi, Acqua Santa Croce, Screen e gli altri brand che hanno comunicato «l’interruzione con effetto immediato della sponsorizzazione» a causa dei comportamenti nella casa (oltre a quelli che si sono formalmente dissociati), possano ripensarci. I buoni ascolti non compensano la diaspora degli sponsor. Lo scopo della tv commerciale è fornire platee di pubblico agli investitori pubblicitari, attraverso i quali si finanzia. Ma se gli investitori se ne vanno, i telespettatori restano desolatamente soli e le casse vuote. Non a caso ieri qualcuno ventilava il rischio di chiusura anticipata.

La richiesta della D’Urso, con tanto di minacce, di maggior autocontrollo ai concorrenti dopo la rissa sfiorata tra Baye Dame e Aida Nazir è parsa un rimedio tardivo e ipocrita. Fino a qualche giorno fa la conduttrice gioiva per lo share e a Pomeriggio cinque e Domenica live cavalcava l’onda trash tracimante dal reality. Il rientro di Baye Dame appena escluso ne è una piccola riprova. Da autrice, la D’Urso ha curato in prima persona il cast. Una volta scelti un nero gay con problemi di aggressività, un esponente di CasaPound che sostiene il bullismo sul Web, una persona evidentemente affetta da dismorfofobia (la mancata accettazione patologica del proprio aspetto) e altre figure borderline, è difficile non prevedere il peggio. Ora non è detto che basti tagliare qualche concorrente più eccessivo degli altri per normalizzare la situazione.

Anche l’ultima Isola dei famosi, con il famigerato cannagate, aveva creato parecchi grattacapi ai vertici Mediaset. Viene da pensare che il difetto sia all’origine. Se il palinsesto consiste nel reality permanente (Isola, Grande Fratello, Temptation island, Grande Fratello vip), la deriva ultrash è inevitabile. Creando un’abitudine, il pubblico ne chiederà dosi sempre maggiori e disturbanti.

Per la cronaca, ieri il Grande Fratello ha dovuto scusarsi per una telecamera installata erroneamente nel bagno femminile che ha mandato in onda una concorrente seduta sulla tazza del water.

La Verità, 13 aprile 2018