Buttare la disabilità in politica? O anche no
Alla fine la cosa migliore di O anche no, il programma dedicato alla disabilità, ideato e condotto da Paola Severini, in onda la domenica mattina su Rai 2, sono le facce dei ragazzi e le loro storie. Le facce dei componenti della band I ladri di carrozzelle, interpreti di stacchi musicali colorati (Le mille bolle blu, Il cielo è sempre più blu), e quelle di camerieri e aiutanti di cucina della Trattoria degli Amici gestita in cooperativa dalla Comunità di Sant’Egidio di Roma. «Da vicino nessuno è normale», dice la sigla che è un invito ad andare oltre i luoghi comuni: «I siciliani sono tutti mafiosi, i genovesi sono tutti tirchi, i partiti sono tutti uguali: o anche no». Appunto. La nuova stagione è iniziata il 20 settembre e non è certo una passeggiata allestire mezz’ora di testimonianze con portatori di handicap e ragazzi down rispettando le indicazioni sanitarie, dal distanziamento all’assenza del pubblico fino all’uso della mascherina. Paola Severini sollecita gli interventi e interloquisce con ospiti e collaboratori come Mario Acampa, conduttore della Banda dei fuoriclasse, programma di Rai Gulp che durante il lockdown si è occupato di aiutare i ragazzi con handicap, impossibilitati a seguire la didattica a distanza. Un’altra collaboratrice è Rebecca Zoe De Luca, studentessa disabile, la prima allieva carrozzata del liceo Berchet di Milano, nonché collaboratrice di testate glamour. Racconta di un ragazzo autistico che siccome faceva le bolle di sapone e bagnava la terrazza della vicina di casa si è visto arrivare gli uomini della polizia che l’hanno richiamato all’ordine. La seconda storia è ambientata nella Trattoria degli amici dove lavorano persone con qualche disabilità, tra i quali un sommelier curiosamente astemio. «Noi vogliamo creare un luogo integrato», spiega uno dei responsabili del progetto, «perché le cose migliori si fanno insieme». Purtroppo, in alcuni momenti, un certo afflato si sovrappone alla spontaneità schietta e senza sovrastrutture dei veri protagonisti delle storie. Come si coglie da un certo abuso dei termini «inclusivo» e «inclusività». Forse tollerabile perché, in un ambiente così, difficilmente sono sinonimo di omologazione e appiattimento delle differenze. Un po’ più fastidioso è quando si tende a buttarla in politica e sul «clima d’odio» con la famosa narrazione. Come nel caso di Stefano Disegni a proposito della polizia e del bambino che faceva le bolle: «Basta con gli immigrati che ci tolgono il lavoro e ci portano pure le bolle di sapone?». «Sì, ma quello era un bambino autistico», ha fortunatamente precisato Paola Severini.
La Verità, 22 settembre 2020