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Il Paese crolla e il Pd si spacca. Non ci resta che ridere

Intervistato da Giovanni Minoli domenica sera nel consueto Faccia a Faccia di La7 Andrea Orlando, candidato segretario della terza via che dovrebbe salvare capra e cavoli di renziani e minoranza Pd, si è arrampicato sugli specchi. Come spesso capita con Minoli, la domanda era quella che tutti, in modo più confuso, ci poniamo: «Che cosa porta la politica a chiudersi in problemi così interni a se stessa, difficilissimi da capire per le persone normali, mentre tutto il mondo cambia all’intorno?». «Lo spiegava Gramsci, la chiamava irrequietezza… le categorie non sono più sufficienti, non sei più in grado d’interpretare le cose e ti chiudi nell’immobilismo», ha replicato Orlando mentre si sentiva lo stridore delle unghie sul vetro. La sinistra, anche quella illuminata, è così: autoreferenziale, tutta protesa a spaccare il capello su questioni di principio, a palleggiarsi torti, veti, ricatti e responsabilità. Ancora Minoli: «Com’è possibile pensare che il futuro del Pd, il partito centrale della politica italiana, dipenda dalla data del congresso, un mese prima o un mese dopo?». Orlando: «Infatti, non l’ho capito nemmeno io».

Del Paese alla deriva, dei ragazzi che non trovano lavoro, di quelli che si suicidano, delle città divenute piazze di spaccio, della scuola senza insegnanti, dell’immigrazione ingestibile e tutto il resto: chissenefrega. Tutta questa situazione ha dell’incredibile. È uno spettacolo deprimente, che istiga la rabbia dei ceti più colpiti dalla crisi che, in giro per il mondo, si allontanano dalla sinistra dell’establishment. Verosimilmente, anche in Italia i conti saranno aggiornati alle prossime elezioni, quando si faranno. Nel frattempo, tutta la vicenda del maggior partito nostrano sta finendo in burla. Col Tapiro consegnato a Renzi da Valerio Staffelli di Striscia la notizia. E con Enrico Lucci che si presenta all’assemblea del Pd travestito da Stalin con baffoni e colbacco. Respinto da Bersani e invece accolto da Enrico Mentana nel suo Tg speciale. Tutt’altra reazione rispetto a quella di Michele Serra, già direttore di Cuore, che sulla sua «Amaca» ha invitato a distinguere «tra gentiluomini e no». Sulla scissione del Pd, insomma, bisogna fare giornalismo serio, compunto. È un dramma vero, da maneggiare con cura. Invece no, caro Serra, niente moralismi, niente guanti bianchi e trattamenti di favore. Perché, guardando a tutto quello che succede là fuori, mentre il Pd s’incarta nelle sue beghe e nei suoi distinguo e nei suoi congressi perenni, verrebbe solo da piangere. E allora, proprio per non abbandonarsi alla depressione o alla rabbia (che sarebbe pure peggio), non ci resta che ridere…

I «magnifici 7» di La7 vogliono una fetta di canone

Carte scoperte. L’obiettivo di La7 ormai è chiaro: conquistare una fettina di canone di abbonamento al servizio pubblico radiotelevisivo. Prima le maratone elettorali di Enrico Mentana. Poi i confronti referendari, sempre con la stessa firma, tra esponenti del Sì e del No, molto istituzionali. Infine, la maratona in occasione delle elezioni americane, coronata da un discreto successo di ascolti. Anche l’innesto di Faccia a faccia, il nuovo programma di Giovanni Minoli, ha consolidato il profilo da servizio pubblico della rete di proprietà di Urbano Cairo. È da un annetto che l’editore di Rcs fa rotta sul canone Rai. La Tv di Stato dispone anche della pubblicità, ma il ruolo di servizio pubblico non è più suo monopolio esclusivo. E dunque una fetta potrebbe essere ridistribuita.

Enrico Mentana, direttore del Tg La7 e dei programmi giornalistici della rete

Enrico Mentana, direttore del Tg La7 e dei programmi giornalistici della rete

La rete all talk di Cairo ormai può vantare un profilo che, oltre al tg di Mentana e alle sue importanti appendici, annovera un programma come Otto e mezzo di Lilli Gruber che potrebbe stare benissimo su una rete pubblica. Lo stesso si potrebbe dire della fascia di morning news della rete. Poi ci sono i talk show di prima serata come DiMartedì, che batte puntualmente e con distacco il concorrente di Rai 3, e Piazza pulita. In fondo, non c’è da meravigliarsi se la prua di La7 punta dritta al canone. Tutti i volti principali, giornalisti, anchorman e anchorwoman sono ex di Mamma Rai. Da Giovanni Floris a Corrado Formigli, da Gianluigi Paragone a Lilli Gruber, da Myrta Merlino, nata televisivamente a Mixer, creatura dell’ultimo innesto Giovanni Minoli, fino allo stesso Mentana, nato e cresciuto al Tg2 prima di fondare il Tg5. Inevitabile che linguaggi e formule dei «magnifici sette» siano quelle del servizio pubblico, ancor più se, com’è naturale, alimentati da un certo spirito di rivalsa nei confronti dell’azienda di cui sono figli. «Se con il canone di abbonamento in bolletta la Rai incasserà 280 milioni in più, allora bisogna rivedere le quote di pubblicità della tv pubblica, magari togliendo gli spot da due reti», ha dichiarato in più occasioni il patron di La7. Intanto ha ulteriormente implementato la rete di volti e contenuti da servizio pubblico per rendere plausibile lo storno di denaro proveniente dal canone. Dopo una prima proroga che risale alla scorsa primavera, la convenzione che regola il contratto di servizio pubblico tra la Tv di Stato e il ministero delle Poste e Telecomunicazioni è scaduta il 31 ottobre scorso ed è in discussione in questi giorni. Ovviamente, in viale Mazzini c’è fibrillazione nell’attesa del rinnovo.

 

La Verità, 16 novembre 2016

«Faccia a faccia», l’intervista diventa performance

Partenza rock, a tutta velocità: dalla sigla, in verità più jazz, a Born in the Usa, per introdurre gli endorsement al contrario di Bob De Niro versus Donald Trump, e Susan Sarandon, anti Hillary Clinton. Faccia a faccia di Giovanni Minoli si gioca sul ritmo, marchio di fabbrica del conduttore dai tempi di Mixer (La7, domenica ore 20.35, share del 4,11 per cento, di solito a quell’ora non raggiunge il 3). Anche la grafica cita la matrice: schermo bianco e nero diviso in due per simulare il duello tra i protagonisti ripresi in primissimo piano, con i volti che si alternano sullo sfondo. I capelli di Minoli sono più radi, ma il piglio è sempre incalzante. Matteo Renzi è appena uscito dalla settima Leopolda, ma è ancora immerso nella bagarre con la minoranza Pd. Ritmo, dunque, pure troppo. E sintesi nelle risposte, più corte delle domande, perché arriva subito quella successiva. E perché bisogna riconoscere che, in fondo, il giornalismo è l’arte di fare domande. Per esempio: «Lei viene dalla Leopolda. Una Leopolda a cinquant’anni dall’alluvione di Firenze e contemporanea al terremoto. Sembra la foto di un’Italia in cui passato e presente coincidono. La prevenzione si fa o no?». Renzi si barcamena, dice che ha coinvolto Renzo Piano e Giovanni Azzone, rettore del Politecnico di Milano, per la ricostruzione e per la prevenzione «che non è né di destra né di sinistra». Minoli, l’uomo che ha trasformato l’intervista in una performance di velocità e non solo, fa le domande della gente comune. Ma naturalmente è più documentato e più diretto. «Negli ultimi tempi sua moglie è sempre più presente con lei. Ha desiderio di apparire?». Il riferimento è a un presunto consiglio di Obama di mostrarsi in pubblico con lei. L’onda cresce e trascina a valle tutto, dalle elezioni americane al debito pubblico, dal sindaco santo La Pira, a papa Francesco aiuto o intralcio sui migranti, dai campioni del No ai filmati su Facebook. È una raffica dalla quale Renzi si difende come può, ed è già tanto che non si spazientisca. Ma non si ricorda una sua risposta incisiva. Tranne quando ammette di «essere cattivo e impulsivo». Ma è sull’essere cattivo che «devo lavorare di più». E forse anche sul dire la verità. Perché, parlando di terzo settore e società civile, si azzarda a dire che «comunico meno bene di come governo».

Finita l’intervista, c’è lo spazio La storia siamo noi, con una ricostruzione dell’assassinio di Giorgio Ambrosoli così sincopata da risultare quasi inintelligibile. Arriva Pietrangelo Buttafuoco, un alieno nel contesto, a narrare con un pezzo teatrale la vigilia del voto per la Casa Bianca. Finale in satira con Help dei Beatles rivisitata da Sora Cesira. Faccia a faccia, un programma da servizio pubblico.

 

La Verità, 8 novembre 2016

 

 

 

Renzi protagonista del «Faccia a faccia» con Minoli

Sarà Matteo Renzi, reduce dalla chiusura della Leopolda, l’ospite protagonista del Faccia a faccia con Giovanni Minoli, stasera alle 20.35 su La7. Per il conduttore di Mix 24 l’esordio sulla rete di Urbano Cairo con il presidente del Consiglio è un buon viatico. Ed è un colpo niente male anche per il premier, già ribattezzato in passato «tagliatore di nastri» di nuovi programmi perché sempre presente agli avvii di stagione (di Invasioni barbariche, Che tempo che fa, Porta a porta). Del minacciato boicottaggio ai programmi scomodi di La7 non c’è più traccia: la tv serve, tanto più se i sondaggi referendari non sorridono. Dopo il confronto, perso, con De Mita e l’ospitata con irritazione di Maria Elena Boschi a Piazza pulita di Corrado Formigli, ecco l’intervista chez Minoli.

Giovanni Minoli, da stasera conduttore di «Fccia a faccia» su La7

Giovanni Minoli, da stasera conduttore di «Fccia a faccia» su La7

Sarà un bel test. Per misurare la «giusta distanza» del conduttore, un maestro delle interviste, e la sua padronanza del mezzo dal quale è assente dal 2012. E sarà un bel test anche per Renzi, stavolta con un interlocutore giornalistico, si presume non condiscendente, anziché con qualche stagionato rappresentante del No al referendum. In chiusura, un corsivo di Pietrangelo Buttafuoco. Buona visione.