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«Il successo? Con Striscia, l’emozione con la pittura»

Quarant’anni di carriera e non tirarsela. Anzi, trattandosi di Dario Ballantini, figura storica di Striscia la notizia, il tg satirico di Canale 5, quarant’anni di carriere. Al plurale.
Dario Ballantini, uno e trino?
«Quasi quaterno».
Cosa mi sono perso?
«Nelle mie attività ci sono sempre io. La pittura pesca nel mio inconscio, in televisione sono truccato da qualcun altro, in teatro anche. Il Ballantini normale rimane un po’ nascosto».
Vedremo di scoprirlo. Le piace l’aggettivo poliedrico che ricorre nei profili e nelle recensioni?
«Sì. Ho sempre convissuto con diversi aspetti e modi espressivi. È un buon modo per non annoiarsi».
Televisione, teatro, pittura e scultura: si può fare una graduatoria emotiva?
«L’emozione di un quadro quando è finito è inarrivabile. Se davvero mi soddisfa quello che ho fatto, sono il primo spettatore a meravigliarsi. Non nascondo che mi appaghi pure il successo di un’imitazione. Anche quando Dario scompare e rimane quello lì sono il primo a stupirmi. Diciamo che, essendo cresciuto in una città piena di artisti, la pittura smuove qualcosa di ancestrale. E rimane più a lungo, rispetto alla televisione che è sempre più usa e getta».
La tv è più effimera?
«Si consuma su sé stessa. Si ripete, cancella e rifà. Un’opera compiuta ha un altro tipo di profondità».
Quarant’anni di carriera, lei ora ne ha 59: tutto cominciò a scuola?
«Al liceo sperimentale di Livorno scelsi il ramo artistico perché volevo già diventare pittore. Poi ho condiviso con i miei compagni questo sogno che un insegnante, un pittore espressionista autodidatta, incoraggiò».
Un insegnante particolarmente significativo?
«In quel liceo molti insegnanti sperimentavano un modo moderno di proporsi e dialogare, tipo il professore dell’Attimo fuggente. Proprio lì sono nati i primi spettacolini di cabaret, le prime imitazioni, la passione per Lucio Dalla».
Cosa comporta essere cresciuto in una famiglia di pittori, attori, cantanti?
«A dir la verità, era una famiglia di artisti mancati. Mio padre aveva smesso di dipingere, mio nonno anche, mio zio tenore aveva perso la voce. Mi sono ribellato a queste carriere incompiute, buttandomi subito con determinazione. Così adesso ho una lunga carriera, ma lunga è stata anche la gavetta».
In quale campo?
«Il successo è arrivato con Valentino che ha imposto l’idea delle imitazioni in strada, riprese con la telecamera a spalla. Era il 1998. Poi il pubblico si è accorto della mia pittura attraverso l’esposizione televisiva. Avevo già partecipato ad altri eventi, ma non era successo niente. La prima mostra importante fu a Verona, dove Giancarlo Vigorelli recensì i miei lavori».
Suo padre era un pittore neorealista, suo zio un post-macchiaiolo, lei come si definirebbe?
«Qualcuno ha parlato di esistenzialismo cosmico, nel solco del neo neo espressionismo».
Due volte neo?
«Sì, perché il neo espressionismo è precedente».
Ho letto da qualche parte che la accostano a Egon Schiele o è una bufala?
«Non è una bufala, la mia è una pittura un po’ nordica. In Italia l’espressionismo non ha avuto grande successo. Dai primi anni Ottanta ho iniziato a dipingere figure sofferenti che ricordavano le anatomie di Schiele».
Chi sono gli artisti che l’hanno influenzato?
«Sono appassionato di tanti pittori: Mario Sironi, Ennio Calabria, Fernando Farulli, tutti espressionisti. Poi Livorno è la città di Amedeo Modigliani. Chi ama un’arte che viene dalle viscere non può non fare i conti con lui».
Una pittura della psiche, dell’identità interiore?
«Un esercizio che non ha fine. L’interiorità è talmente un abisso imperscrutabile da essere una grande avventura».
Quello che ritrae è un uomo incompiuto, tormentato?
«Tormentatissimo».
Da che cosa?
«Mi pare che perdiamo tempo per cogliere perché siamo al mondo. Se non c’è un senso è un guaio. Se invece c’è, mi sembra che non si cerchi abbastanza. Secondo me, i miei quadri raccontano questo».
Una pittura con un grido dentro?
«Sì».
L’urlo è il titolo di una serie di opere di Edvard Munch che però, forse, esprimono più disperazione.
«Non è proprio la stessa cosa. Alzo la voce anch’io, ma internamente. Quella non è più il tipo di disperazione che avevo nei primi anni».
È venuto prima l’attore, il pittore o l’imitatore?
«Di poco, il disegnatore. Già da bambino avevo Ia passione per i fumetti della Marvel, ne avevo disegnato uno a otto anni. A parte il fatto che l’ho perso, la cosa interessante e che il protagonista era un supereroe che si mascherava».
Una cosa profetica?
«Una piccola rivelazione».
Poi si presentò con un suo compagno di classe a Corrado. Tra quel provino e Striscia la notizia cosa c’è in mezzo?
«Anni e anni di gavetta. Concorsi, spettacoli, esibizioni ovunque. Anche nei night club».
Era sicuro di sfondare o assalito dai dubbi?
«Ero abbastanza convinto e determinato. Sono un perfezionista e capivo che le cose erano fatte bene, anche se forse i tempi non erano maturi».
Le sue sono imitazioni, caricature o prove d’attore?
«Sono un’evoluzione dello stile di Alighiero Noschese. Però hanno una componente dinamica, l’idea di farle in strada. Il movimento, l’affiancarsi a qualcuno, dà una nuova percezione. Non è l’imitazione eseguita in studio, statica, c’è l’imprevisto, il dialogo mentre si cammina».
Senza tradire l’anima dell’imitato ne enfatizza un aspetto?
«Tiro fuori quello che loro hanno già dentro. Non li stravolgo».
Una vita di trucco e parrucco?
«Ore di preparazione. Partecipo attivamente perché sono stato truccatore anch’io. Poi ho conosciuto le professioniste che adesso si occupano di me e partecipo senza annoiarmi».
Valentino, il suo personaggio icona è anche il più riuscito?
«È stato quello che ha funzionato di più nell’immaginario. Quindi anche il più riuscito, insieme ad altri».
Quello venuto meno bene?
«Angelino Alfano».
Le vittime sono sempre idee sue?
«Per Striscia la notizia sono anche suggerite da Antonio Ricci, bisogna stare sull’attualità ed essere funzionali al racconto. Quelle che porto in teatro, e scelgo personalmente, non hanno l’urgenza dell’attualità».
Sono i mostri sacri?
«Sono le mie passioni: Lucio Dalla, Zucchero, Petrolini».
Quello che la diverte di più?
«A Striscia, in questo momento, Ignazio La Russa».
Molto aderente.
«Lo proposi già nel 1995 in chiave grottesca, usciva dalle fiamme».
Come le è venuto in mente papa Francesco in vespa?
«Nacque poco dopo l’elezione. Fu un’idea di Ricci che un po’ mi mise in crisi perché mi sembrava un azzardo. Poi, siccome già nei primi tempi se ne andava in giro a piedi, si decise di dargli un mezzo giovanile. Ora la vespa è un accessorio irrinunciabile».
Di Giuseppe Conte cosa l’ha colpito?
«Nel timbro della voce e nel modo di parlare forbito ho visto i tratti del gagà. Ho pescato dal personaggio di Enrico Montesano che a sua volta si riferiva al Totò di Signori si nasce. È una maschera precisa, la voce impostata e l’espressione forbita la rendono molto buffa».
I politici se la prendono?
«Mah… Sono così affetti da protagonismo televisivo che secondo me sono contenti».
Imitazione uguale consacrazione?
«Non sono io a far loro un danno. Semmai se lo fanno da soli».
Sempre andato d’amore e d’accordo con Ricci?
«Per la verità sì. È un rapporto di lunga durata. Nell’89 feci un concorso per giovani talenti che si chiamava Star ’90 e Ricci era presidente di giuria. Io vinsi e lui fu colpito da alcune imitazioni desuete di Dario Fo, Enzo Jannacci e Gino Paoli. Scoprii che c’era un filo comune tra Livorno e quella parte della Liguria».
Paoli e Jannacci erano un mondo che Ricci conosceva bene.
«Ha capito che ero un soggetto un po’ strano. Mi trovava grezzo e un po’ inquietante. Ma mi ha tenuto lì, sperando che ci fosse l’esplosione, che arrivò molti anni dopo».
Un attore comico esistenzialista?
«Dipingendo ritratti tento d’impadronirmi delle anime altrui. E anche per le imitazioni scavo dentro i personaggi».
Ricci accetta il suo esistenzialismo?
«Ha sempre detto che il mio essere macerato produce cose. Si figuri che lui preferisce i miei quadri in bianco e nero, che sono ancora più enigmatici».
Quali sono «le conseguenze di 40 anni nei panni di altri»?
«Le racconto nello spettacolo a teatro. In contesti internazionali è capitato che mi scambiassero per il personaggio vero. Per esempio, al Festival di Cannes sono stato annunciato in Eurovisione come monsieur Nanni Moretti, invece ero io».
E cos’è successo?
«Si sono molto arrabbiati, non hanno accettato la presa in giro delle nostre incursioni».
Altre conseguenze?
«Un anno sono stato per 300 giorni vestito da Valentino. Praticamente ho fatto la vita di un altro. Ora accade di meno».
Dario Ballantini è come i soggetti dei suoi quadri?
«Sono quasi degli autoritratti. Forse ho messo anche troppa carne al fuoco, perciò sfuggo alle identificazioni».
Il quarto Ballantini è poliedrico ed eclettico?
«A Jannacci, quando andava in ospedale dicevano “vai a cantare che è meglio”, quando cantava “vai in ospedale”. Il pubblico non è abituato all’eclettismo. Invece, io penso si possano avere più risorse artistiche. In qualche modo, il mio percorso inizia a dimostrarlo».

 

La Verità, 30 marzo 2024

A Sono le venti striscia l’intesa M5s-Sardine-Pd

Una striscia quotidiana, un veloce talk show, un tg con approfondimenti. Sono le venti, il nuovo programma di e con Peter Gomez, dal lunedì al venerdì alle 20 sul canale Nove, è un po’ tutto questo. Un programma contaminato, come si dice in gergo, share all’1% nei primi due episodi. Comunque, anche se non è un vero tg perché fa vacanza nel fine settimana, mezz’ora d’informazione che vorrebbe essere di contro-informazione, alternativa ai telegiornali classici. In realtà, la nuova creatura ideata e condotta dal direttore del Fattoquotidiano.it si presenta come un tg di opinione e opinioni. Nel senso che, sebbene gli ospiti interpellati in qualità di competenti delle varie tematiche siano numerosi, alla fine, risultano piuttosto allineati al mood del conduttore. Che poi è 5 stelle e dintorni perché, sia la scelta dei temi che le inchieste, battono i temi cari al movimento e al governo. Lunedì, a tagliare il nastro dell’esordio, è intervenuto il premier Giuseppe Conte, per dire che no, non ha invitato le Sardine, ma sarebbe contento di riceverle. Però.

In piedi in camicia bianca e munito di tablet, seduto alla scrivania solo per le interviste agli ospiti, in uno studio con grandi pannelli interattivi dominato dall’affresco della Painted Hall di James Thornhill, Gomez snocciola titoli telegrafici, l’esatto opposto di quelli del tg di La7. Si parte dall’agenda politica di giornata, illustrata dai collegamenti di Francesca Martelli che sottolineano l’ostruzionismo di Italia viva alla legge sulla prescrizione, la cui abolizione viene sostenuta dalla testimonianza successiva. Poi si va a Bibbiano con un servizio firmato ancora da Martelli, e si torna in studio interpellando una giornalista che ha seguito il caso dalla parte delle Sardine. Si prosegue con le inchieste originali. La prima, sullo sfruttamento delle cameriere negli hotel di lusso milanesi, è conclusa dal sociologo Domenico De Masi che esalta il reddito di cittadinanza e la necessità del salario minimo per combattere la povertà; la seconda, su un’opera incompiuta e l’inquinamento a Porto Marghera, è commentata dal ministro per l’Ambiente Sergio Costa. In chiusura «la playlist delle notizie di giornata». Chi lamentava l’assenza di un altro programma sostenitore dell’intesa 5 stelle-Sardine-Pd l’ha trovato.

Realizzato da Loft produzioni, Sono le venti è firmato da Duccio Forzano, già regista del Festival di Sanremo e dei programmi di Fabio Fazio e qui direttore artistico, Marco Posani (Quelli che il calcio e Vieni via con me) e Luca Sommi (autore e conduttore di Accordi & disaccordi).

 

La Verità, 23 gennaio 2020

Finalmente la Rai dà «Carta Bianca» alla Berlinguer

S’intitolerà Carta Bianca la nuova, travagliata, striscia quotidiana di Bianca Berlinguer, su Rai 3 dalle 17.30 alle 18, dal 26 ottobre prossimo. Dopo la lunga attesa per avere il numero di matricola e la separazione consensuale da Michele Santoro («Se chiami un architetto per avere un’idea è una cosa, ma se lo chiami e poi il progetto vuoi disegnarlo tu è un’altra»), il programma è stato finalmente inserito in palinsesto. Se quel «bianca» vada scritto con la B maiuscola del nome proprio della conduttrice o con la b minuscola dell’aggettivo non è chiaro. In ogni caso si auspica che la Rai conceda la carta del colore giusto all’ex direttrice del Tg3.

L’eleganza della Ercolani Non è partito benissimo Week end con il nonno, il nuovo format lanciato dalla Rai 4 di Angelo Teodoli. Ma l’idea è buona e l’esperimento merita di proseguire. Piuttosto, fa riflettere il fatto che sia firmato dalla Stand by me di Simona Ercolani, consulente per la comunicazione del premier, in cabina di regia nel Comitato per il Sì al referendum. Di regie se ne intende…

Ilary Blasi conduce «Grande Fratello Vip»

Ilary Blasi conduce con autorevolezza e scanzonato pragmatismo «Grande Fratello Vip»

E quella di Ilary Blasi Sempre in tema di donne, a Mediaset sono in ascesa le quotazioni di Ilary Blasi, alla guida del Grande Fratello Vip, sempre vincente negli ascolti con La Catturandi di Raiuno. La moglie di Totti ha scelto mise minimaliste e senza gioielli, ma regge il timone del reality con piglio scanzonato e autorevolezza quando si tratta di dissociarsi dalle intemperanze di Clemente Russo e Stefano Bettarini. In più, ogni settimana una polemica spinge la serata: prima l’intervista alla Gazzetta dello Sport, poi le sparate dell’ex marito di Simona Ventura. Per gli amanti del genere…

La Rai vince a Lampedusa Buon risultato di ascolti per Fuocoammare, il film di Francesco Rosi vincitore del Festival di Berlino, candidato italiano nella corsa agli Oscar: proiettato su Raitre nell’anniversario della strage di profughi al largo di Lampedusa, dove la Rai ha organizzato l’ultimo Prix Italia, il film ha ottenuto l’8,8 per cento di share (2,2 milioni di spettatori). A seguire l’inchiesta Lontano dagli occhi di Domenico Iannacone si è assestata al 7,4 per cento.

Sì o No, match generazionale Tra le tante cose scritte attorno all’imperdibile dibattito tra Matteo Renzi e Gustavo Zagrebelsky chez Enrico Mentana su La7, il dettaglio delle capigliature è stato, a suo modo, rivelatore delle biografie dei tre protagonisti. Pettinatissimo e un po’ laccato, il premier cresciuto nel pieno degli anni Ottanta; semicalvo il professore, uomo che ne ha viste tante; scarmigliato e un tantino arruffato il giornalista, passato attraverso i conflitti dei Settanta.

La Verità, 5 ottobre 2016

 

Maurizio Costanzo e il prestigio da proteggere

Questo è un post difficile da scrivere, roba delicata. Però, ragazzi… Intanto c’è la notizia. E poi, le difficoltà arrapano. Dunque, la notizia. Dal 14 marzo, salvo improbabili cambiamenti dell’ultim’ora, Maurizio Costanzo condurrà una striscia quotidiana su Rai Premium (decisione del precedente direttore, Roberto Nepote). Dal lunedì al venerdì, alle 13,30, dialogherà per una mezz’oretta con qualche ospite su un fatto o un personaggio di giornata. Ennesima rubrica dopo Tutte le mattine e Buon Pomeriggio su Canale 5, Stella su SkyVivo e altre varie, tra le quali il gioiello intimista S’è fatta notte con Enrico Vaime, su Raiuno. Titolo della nuova quotidiana: Parliamone. Niente d’impegnativo, ma molto di confidenziale, com’è nel suo stile. Un modo per entrare in famiglia, per stabilire quella complicità del buon senso che è da sempre la cifra di gran parte della sua televisione. Rai Premium è la rete di fiction della tv pubblica, dove già nell’autunno Costanzo aveva proposto Memory, sei puntate sui grandi sceneggiati dagli anni ’50 a oggi. La striscia quotidiana, però, è un’altra cosa. Soprattutto per l’impegno e l’energia che richiede. E che all’età di 77 anni Costanzo mostra ancora di avere. Soprattutto, mostra di avere ancora fame di visibilità. Lui stesso si è sempre dichiarato “bulimico”, quasi famelico di presenza in video.

Vedremo come sarà questo Parliamone. Ma le ultime apparizioni del grande giornalista non sempre sono state all’altezza del suo blasone. Le serate autunnali su Retequattro del Maurizio Costanzo Show sono andate così così (3,5-4,5 per cento, con chiusura al 5,6 per la puntata finale) e per la nuova serie bisognerà attendere aprile-maggio, forse non di domenica sera, come lui preferirebbe. Anche perché, va ricordato, proprio nel giorno festivo, Costanzo firma Domenica in, il programma di punta della concorrenza, come capo degli autori. Tornando alla striscia, l’inventore del talk show italiano ne firma anche un’altra su TgCom24, tutte le mattine verso le 10,30. S’intitola Sussurri e grida durante la quale legge e commenta tre dati di ascolto dei programmi della sera prima che l’Auditel ha appena diffuso (oggi per esempio ha letto gli ascolti di The Voice, di Chi l’ha visto? e de La Gabbia di “Gianluca Paragone”, che in realtà si chiama Gianluigi, a chi non capita di sbagliare un nome…). Si tratta di una cosa molto breve, una pillola, poco più. Di sicuro insufficiente a saziare la dipendenza dalla luce rossa della telecamera che colpisce molti mostri sacri (da Baudo alla Carrà), tanto più trattandosi di un collegamento telefonico.

E qui viene la parte difficile del discorso che, con affetto e senza presunzione, mi limito a porre in forma interrogativa. È sicuro Costanzo, padre storico della televisione italiana, che tutte queste apparizioni siano all’altezza del suo prestigio? Non gli converrebbe rispettare maggiormente la sua autorevolezza, privilegiando la qualità sulla quantità?