Jeeg Robot con i superpoteri dei David
Dopo il trionfo ai David di Donatello (sette statuette tra cui quelle per tutti e quattro gli attori, protagonisti e nonL, e quella per miglior regista esordiente e miglior produttore che sono la stessa persona, Gabriele Mainetti) Lo chiamavano jeeg robot, distribuito da Lucky Red, è tornato in 200 sale totalizzando in appena 7 giorni 800mila euro che si aggiungono ai 3 milioni e 300mila già registrati alla prima uscita, superando ampiamente i 4 milioni totali. Intervistato qualche giorno fa da Pedro Armocida per il Giornale ha ricrodato un episodio di gioventù (anche se ora è solo poco più che trentenne): “Facevo parte di un gruppetto di pseudo intellettuali. Una sera dissi che andavo a vedere E.T. l’extra-terrestre di Spielberg e loro inorridirono. Queste visioni mi hanno salvato perché non ho bisogno di autorializzare quello che faccio“. Così, ora ripubblico il colloquio con Gabriele Mainetti realizzato il 6 marzo scorso, pochi giorni dopo l’esordio nelle sale del film.
Un supereroe nella periferia pasoliniana. È, in sintesi, la storia che sta prendendo in contropiede il cinema italiano. Non un film d’autore, né una trama pop. O forse entrambi, senza l’intellettualismo del primo e la prevedibilità della seconda. I suepereroi e Pasolini: due mondi più distanti tra loro non ci sono. Eppure Lo chiamavano Jeeg Robot è il film di culto del momento, opera prima del trentenne Gabriele Mainetti, romano con studi e frequenti soggiorni americani che hanno certamente ispirato il mix, esperienze da attore di fiction e autore di corti (Basette con Valerio Mastandrea, e Tiger Boy, selezionato dall’Academy nei dieci ma non nei cinque migliori per l’Oscar 2013), qui anche nelle vesti di produttore e autore della colonna sonora.
Jeeg Robot è il film che inaugura il cinecomics italiano, una scommessa ardita. “Ma noi non abbiamo paura di niente”, scherza da supereroe Mainetti. “Sì, c’ho messo un sacco di tempo…”. L’idea del 2009, è arrivata in porto all’ultima Festa del cinema di Roma. Fortissimamente voluta… “Io e Guaglianone avevamo in mente questa cosa di raccontare un supereroe in Italia. Ma anche se non quagliavamo, ci credevamo. Poi nel 2010 Nicola ha vuto la pensata e l’idea è diventata una sceneggiatura”.
Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria) è un ladruncolo coatto e solitario che vive in uno scalcinato appartamento di Tor Bella Monaca, divorando budini alla vaniglia e dvd porno. Quando, in fuga dalla polizia, nel Tevere scivola dentro un bidone radioattivo, tutto cambia. Eroe suo malgrado, si trova a difendere la ragazza della porta accanto con la fissa di Jeeg Robot (Ilenia Pastorelli) dalle violenze dello Zingaro (Luca Marinelli), isterico capo-gang con gli occhi bistrati, l’ossessione di Anna Oxa e della fama di criminale più temuto di Roma.
Una storia che non ha trovato un produttore che ci credesse. “L’abbiamo cercato a lungo, fin quando RaiCinema ci ha dato cinquantamila euro per la start up”. E il resto? “Li hanno messi delle società private, il Banco Popolare di Bari, 300mila euro il Ministero per i Beni culturali, la Regione Lazio. Poi sì, io ho messo insieme tutti i pezzi e ho chiesto delle fideiussioni con la mia società (la Goon Films). Perciò son qui che prego tutti i giorni perché la gente vada al cinema. Certo, l’altra sera ha giocato la Roma…”. Però il film va bene anche nel resto d’Italia. “Sì, c’ha messo un po’ di più a attecchire…”. Le stamberghe del canile, i vicoli del centro, i sotterranei dell’Olimpico: Roma è il quarto personaggio… Sembra la faccia opposta de La Grande Bellezza. “No, Jeeg Robot non è anti qualcosa. Lo sguardo di Sorrentino è unico, basta un’inquadratura per cogliere l’anima della decadenza. Quando è uscito La Grande Bellezza noi avevamo già scritto la sceneggiatura. Roma ha talmente tante facce, noi ne raccontiamo una. La periferia pasoliniana che resiste a fatica, con la purezza d’animo dei suoi personaggi. Non con lo sguardo pietistico e superiore della borghesia, tipo guarda questi come sono conciati. Jeeg Robot è una sorta di Pasolini Sci Fi…”. Contaminazione tra due mondi lontani. “Per questo era un gran rischio. Ma ci ha aiutato la nostra storia. Abbiamo conosciuto ragazzi così, certi spacciatori senza famiglia sono diventati la nostra back story. E poi Tor Bella Monaca, la piazza di spaccio di coca più tosta di Roma. Qui c’è questo delinquente che sopravvive più che vivere e ha paura di buttarsi nella vita perché teme che, dopo le delusioni e le perdite, gli tolga tutto di nuovo. Jeeg Robot è l’educazione sentimentale di un misantropo. Anzi, la ri-educazione. Che avviene tramite la purezza di Alessia. Lui è uno che anestetizza quotidianamente il dolore con i budini e i film porno, budini e film porno… Ma è un buono che cerca l’amore, l’amicizia. E lei, che pure soffre, gli apre il cuore…”.
La forza del film è anche il profilo dei protagonisti ben definito. “Sì, tante cose li rendono credibili. C’è l’idea di portare il supereroe in Italia, contaminandola con il neorealismo e il cinema anni ’60. Poi c’è la nostra cultura con le sue icone pop. Lo Zingaro potevo farlo come un toro incazzato con le narici sparate. Invece ha la nevrosi di mettersi in vetrina. È la vetrinizzazione del sociale, la dittatura dei like, di cui siamo tutti prigionieri. Ed è l’antitesi di Enzo che si rifugia nell’ombra e nell’oscurità, non vuole essere visto, non vuole compromettersi per paura di soffrire ancora, diventa una star contro il proprio volere, costretto dai murales sulle sue imprese in stile Bansky. Invece quell’altro ha ancora il narcisismo di quando voleva sfondare in tv e trasferisce questa voglia di fama e visibilità nella vita criminale. Una contraddizione irriducibile… Ricordo che mentre stavamo scrivendo la sceneggiatura il mio direttore della fotografia mi mostrò alcuni criminali messicani che postavano su Facebook le foto con i corpi delle loro vittime”.
Lo chiamavano Jeeg Robot è anche un piccolo fenomeno multitasking. Nei giorni scorsi è andato esaurito nelle edicole anche l’omonimo fumetto uscito in contemporanea al film e firmato da Roberto Recchioni, Giorgio Pontrelli, Stefano Simeone e ZeroCalcare, un ipertesto che non spoilerizzava nulla. E, a proposito di ipertesti, si comincia a paventare l’idea di un Continuavano a chiamarlo… Ma questo, Mainetti, giustamente non vuole dirlo.