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Jasmine Trinca ha il volto per reggere La Storia

In fondo, non c’è da stupirsi. Sono andati in onda i primi due episodi de La Storia (Rai 1, lunedì, ore 21,40, share del 23,5%, 4,5 milioni di telespettatori) e c’è già chi le attribuisce grandi funzioni pedagogiche. Una fiction nel segno del bel film di Paola Cortellesi e contro la violenza sulle donne, ammonisce Vanity Fair. Per rieducare quelli delle braccia tese di Acca Larentia, sentenziano i benpensanti dei social. Gli accostamenti sono tutti legittimi, un po’ meno le strumentalizzazioni. Dopo quella di Luigi Comencini del 1986, la trasposizione di Francesca Archibugi del romanzo di Elsa Morante, pubblicato nel 1974 da Einaudi in edizione tascabile per volere dell’autrice, è la prima di una serie di opere di Rai Fiction che vogliono riflettere sulla storia italiana (arriveranno Mameli, sulla giovinezza dell’autore di Fratelli d’Italia, e La lunga notte – La caduta di Duce, per la regia di Giacomo Campiotti). Prodotta da Picomedia di Roberto Sessa e sceneggiata da Giulia Calenda, Ilaria Macchia, Francesco Piccolo e dalla stessa Archibugi, La Storia ha tutti i diritti di non essere strattonata da una parte e dall’altra, ma di restare fedele alle intenzioni dell’autrice e, per quanto possibile, alla qualità del prodotto televisivo.

Allo scoppiare della guerra, nel quartiere San Lorenzo di Roma, dove l’inascoltata Vilma (Giselda Volodi) anticipa sciagure e l’oste Remo (Valerio Mastandrea) offre dosi di buon senso e la cantina-rifugio, Ida Ramundo (Jasmine Trinca) è una maestra elementare vedova e madre di Nino (Francesco Zenga) con due segreti da nascondere: essere ebrea e aver subito la violenza di un soldato tedesco dalla quale è nato Useppe. Mentre Nino si arruola nella gioventù fascista, al primo bombardamento vien giù la casa e non resta che sfollare verso Pietralata insieme ad altre famiglie distrutte e a un giovane comunista idealista (Elio Germano). A sua volta, dopo l’infatuazione adolescenziale per il Duce, Nino abbraccia la Resistenza, senza però mai dimenticare l’amato fratellino…

Scrive Archibugi nelle note di regia: «I personaggi di questo grandioso libro sono creature senza nessun potere, attraversate da forze collettive, piccole figure che tentano di sopravvivere nel decennio di un secolo che ha attraversato l’orrore assoluto». Un’enorme sproporzione, insomma, che doveva essere resa soprattutto dalla qualità del cast. Scommessa vinta: gli attori sono tutti perfettamente nella parte. In modo particolare Trinca, che ha la postura e lo sguardo per incarnare la timidezza di una donna senza protezioni e la preoccupazione per gli eventi che incombono.

 

La Verità, 10 gennaio 2024

Di seriali ci sono solo i figli extra matrimonio

Ora che su Romanzo famigliare sono sfilati i titoli di coda si possono tirare le somme di una delle serie che ambivano a rinnovare la fiction Rai. Il bilancio è perlomeno controverso. Anche nella società bene, alta borghesia ebraica imprenditorial finanziaria, con tanto di elicottero in giardino, autista e domestici in servizio permanente, esistono le famiglie disfunzionali. Prima di arrendersi alla malattia degenerativa e finire congelato nella cella frigorifera che l’esperta colf non ricorda di aver trovato aperta e sventatamente chiuso allorché tutti ci si interroga su dove sia scomparso, il capostipite (Giancarlo Giannini) aveva già allestito un rosario di invidie e inimicizie tra mogli, amanti, figli e figliastri, alcuni dei quali di origine Est europea. L’unica figlia nata all’interno del matrimonio (Vittoria Puccini) resta precocemente incinta e, maltrattata dall’invadente genitore, fugge con il compagno (Guido Caprino), ufficiale di Marina a Roma. Anche la figlia e nipote (Fotinì Peluso) si trova gravida a sedici anni, ma ci pensa la zelante ostetrica (Anna Galiena), a sua volta madre extra matrimonio in età avanzata di una ragazza down, a guidarla nel mistero di mestruazioni che vanno e vengono, e nella raffica di ecografie, una ogni mezz’ora di trama. Emblematiche un paio di scene degli episodi finali. Ora che il parto si avvicina sarebbe bene che anche il padre della creatura nella pancia della sedicenne si palesasse, e mentre la dottoressa sta scrivendo il nome di quello naturale, si spalanca la porta della sala d’attesa sull’altro amichetto della puerpera: basta accartocciare il modulo con il nome giusto (o sbagliato?) e compilarne un altro per cambiare la paternità del nascituro. Mezz’ora dopo, al nuovo malore, la solita ostetrica accorre con la figlia down, spiegando che quest’ultima è frutto di una relazione con un uomo sposato, che «gli adulti non esistono» e che siccome lei si è «sentita» di tenerla ugualmente nonostante ne conoscesse l’handicap, ritiene che ognuno debba «sentirsi» libero di scegliere. Insomma, meglio premunirsi, perché il romanzo sarà famigliare con la «g», ma tutti i figli vengono concepiti fuori da rapporti coniugali. Per il resto, oltre che sul terreno affettivo, la famiglia inanella una serie di tradimenti e ricatti senza requie e senza uno straccio di giudizio, anche in materia di beni mobili e immobili. Ci penserà il figliastro ucraino, fino a quel momento ritenuto il più bastardo della congrega, a salvare villona e burattini rivelandosi un genio della finanza dal cuore buono.

Se questa è la nuova fiction di Rai 1, quasi quasi conviene tenersi quella vecchia. Romanzo famigliare è una produzione Wildside, con la regia e la sceneggiatura di Francesca Archibugi. La share della puntata finale è stata del 19.8%.

 

La Verità, 31 gennaio 2017