Così hanno boicottato il film sui radical chic
Quante doppie vite hanno gli intellettuali francesi, il demi-monde letterario e cinematografico in particolare. Tante, come quelle dei loro gemelli italiani, scrittori e artisti engagés (tutto il mondo è paese). E quanti diversi piani di lettura ha Double vies – Non fiction, film di Olivier Assayas presentato ed elogiato all’ultima Mostra del cinema di Venezia. Un film che avrebbe meritato sorte molto migliore di una programmazione silente e ultra residuale. Invece, di doppia vita, e di angolazione di ripresa, ne è stata colta solo una. Così, quest’opera sull’editoria, gli scrittori e la tv – in pratica, su un certo fazismo d’Oltralpe – scritta e diretta da un regista da festival nonché figlio d’arte, uno che dice che «fare cinema significa ascoltare le proprie budella», ecco, un’opera come questa è stata intitolata Il gioco delle coppie; proprio così. Finendo inevitabilmente nella disambiguazione di Wikipedia con lo storico programma televisivo, condotto negli anni da Marco Predolin e Corrado Tedeschi.
Se la furbata del titolo doveva servire ad attrarre il pubblico, il risultato è più che sconfortante. Poche decine di migliaia di euro sono l’incasso del primo weekend di programmazione. Così le domande vengono al pettine. Il titolo piatto e fuorviante è, infatti, solo la prima delle riduzioni cui è stato sottoposto Double vies. La seconda concerne la distribuzione (I Wonder cinema) in sole 12 sale (ora salite a 29, sempre poche) in tutto il territorio nazionale. Anzi, per la verità nel territorio del centro nord, essendo che da Roma in giù non se ne ha notizia. Infine, terzo e ultimo colpo di grazia sulla visibilità, l’uscita dilazionata in due tempi, una prima parte il 27 dicembre e una seconda il 3 gennaio 2019. Spiazzando giornali e tv con il risultato di poche recensioni e zero promozione. Non che le cose sarebbero cambiate granché. L’overdose di filmoni natalizi spinti dalle corazzate avrebbe comunque schiacciato un film d’essai. Ma perché programmarlo in questo periodo e non scegliere un tempo meno congestionato e più propizio? Perché acquistarlo se poi non lo si promuove adeguatamente? Sciatteria? Volontà di affossare una pellicola dissonante? Misteri del sistema cinematografico nostrano. A ben vedere, un mondo non molto diverso da quello raffinato e snob descritto in Double vies.
Le doppie vite sono tante, si diceva. Quelle dei protagonisti, innanzitutto. Editori, scrittori, attrici, ognuno con l’amante segreto o con qualche progetto più o meno confessabile. Poi quella dei libri, che con la rivoluzione digitale incombente si stanno sdoppiando in e-book e in audiolibri narrati da qualche star del cinema. È il tema centrale, la trama principale che alimenta i dialoghi nelle case, nei bistrot, nelle cene informali seduti in poltrona e non a tavola come si usa, tra il fascinoso editore Alain (Guillame Canet), lo scrittore narciso Léonard (Vincent Macaigne), l’attrice di serie tv e moglie dell’editore Selena (Juliette Binoche), e Valerie (Nora Hamzawi), la compagna dello scrittore nonché assistente di un politico emergente. Qui gli interrogativi sono elementari. Resisteranno i libri su carta o la letteratura e la saggistica saranno «dematerializzate» online? Fra l’editore geloso della tradizione e del feticismo libresco e la sviluppatrice digitale di vent’anni più giovane che crede nel futuro radioso della Rete il dibattito si accende appena usciti dalle lenzuola. Ma in fondo è quasi pretestuoso della cosa che sta davvero a cuore ad Assayas: l’ipocrisia che serpeggia tra gli intellettuali e nei salotti di cui sopra, intrisi di bon ton e frustrazioni. Ai quali il regista stesso appartiene, motivo per cui bisogna essergli ancor più grati per la riflessione con autodenuncia incorporata. È un’ipocrisia diffusa e radicata, che si mimetizza nell’autocommiserazione degli artisti incompresi (il mondo è ancora paese). Nel narcisismo delle presunte scelte antisistema e da splendido isolamento che poi splendido non è affatto. Nel sottoscala dei messaggi cancellati o spiati di whatsapp. Anche questa è doppia vita: quella vera è solo apparente e convenzionale e ci pensano le chat a smascherarla. Ecco perché Double vies è stato presentato come la risposta francese al molto più fortunato precursore Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese, che però di tutti noi parlava.
Qui invece siamo nei circoli letterari e il vero protagonista è uno scrittore bambinone e opportunista che si vende come ribelle irriducibile, ma insegue la pubblicazione dall’editore potente (il mondo è sempre paese). E che nei libri camuffa appena le sue acrobazie erotico-sentimentali. Cosicché, con poco sforzo, amanti e compagne si riconoscono, e allora qui il gioco delle coppie ci sta alla grande. In fondo, è diverso «avere una storia» dallo «stare insieme». Come è diversa l’ipocrisia dall’«implicito», il sapere del tradimento ma conviverci senza smascherarlo o raccontarlo in giro. Distinzioni trasparenti che duplicano la stessa materia. Come quelle tra «romanzo» e «autobiografia romanzata», utili a puntellare la superiorità morale di un certo milieu. Assayas merita dunque gratitudine per la perfidia con cui racconta questi interpreti della gauche caviar in cammino verso il 2.0. I quali, se vanno anche loro a vedere Star Wars – Il risveglio della forza, preferiscono scrivere nei loro libri che era Il nastro bianco di Michael Haneke, che fa più chic.
Sembra un dettaglio. Invece c’è dentro tutta la storia. E chissà, forse anche il fatto che un film così sia rimasto ai margini. Per sciatteria e ottusità o per qualche altro curioso motivo?
La Verità, 3 gennaio 2019