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«Il Collegio», docureality tra paternalismo e sadismo

È un esperimento interessante Il Collegio, adattamento di un format internazionale di Magnolia per la rete diretta da Ilaria Dallatana, sua ex capo. Lo chiamano docureality pedagogico: 18 adolescenti di età compresa tra i 14 e i 17 anni vengono catapultati con la macchina del tempo in un convitto del 1960 (il Celana di Caprino Bergamasco) per sostenere, davanti a severi professori e controllati da arcigni «sorveglianti», l’esame di terza media come si sosteneva all’epoca, latino compreso (Rai 2, ore 21.20, share dell’8,28 per cento). Il tuffo indietro di oltre mezzo secolo è alquanto brusco: via piercing e internet, requisizione di mp3 e cellulari e investigazioni per rastrellare gli apparecchi bis e tris nascosti appositamente per buggerare le regole; abitudini, cibo, capigliature, biancheria, orari, studio e tutto il resto rigorosamente consoni ai sixties, assai più spartani del presente. Al punto che qualcuno, uscito la prima volta dal nido famigliare, getta la spugna e si ritira. La maggioranza invece accetta la sfida e come tale la vive, per non farsi «addomesticare» dal regime degli adulti, babbani o matusa a seconda dell’epoca. C’è anche la dose mattutina di olio di fegato di merluzzo «che serve a rinforzare le ossa», pedaggio inevitabile se si vuole accedere alla colazione. Disciplina anche nel refettorio e nelle camerate e chi sgarra sbatte contro punizioni, più o meno esemplari: scrivere 100 volte la stessa frase, lavare i pavimenti eccetera. Le occasioni non mancano, sia per l’altezzosità di qualche ragazzo, sia per l’ignoranza diffusa: qualcuno non conosce la posizione geografica delle regioni italiane, qualcun altro scambia Camillo Benso conte di Cavour per Luciano Pavarotti, tutti s’impiastricciano con l’inchiostro della penna stilografica. Per la verità anche il prof d’italiano meriterebbe un discreto ripasso per un «Io vorrei che lei rifletta» da brividi, rivolto a un’alunna recalcitrante. Tra un contrasto e l’altro si conoscono le storie dei ragazzi, le famiglie da cui provengono, la rinuncia che costa loro di più, dallo shopping ai trucchi, dal cellulare alla moto. Obiettivo dichiarato: mettere davanti alla tv i più giovani insieme ai genitori. La voce narrante di Giancarlo Magalli tesse le fila del racconto e si deve al suo tono autoironico il giusto dosaggio tra paternalismo benevolo e sadismo più nerboruto, tipo «vediamo come se la cavano questi mocciosi». E si deve a lui e alla resa di qualche concorrente il superamento del dubbio che sia tutto finto e il rischio di un certo macchiettismo. Se i ragazzi di oggi sono tendenzialmente viziati devono ringraziare genitori e professori contemporanei. Non sarà che sono loro i più meritevoli del collegio?

La Verità, 4 gennaio 2017

Su Rai 3 l’amore gay è tutto rose (senza spine) e fiori

«Arrivata la legge, abbiamo bruciato i tempi», dice Giorgio, da nove anni compagno e convivente di Michele in quel di San Giorgio a Cremano (Napoli). È la sintesi perfetta di Stato civile – L’amore è uguale per tutti (giovedì, ore 23,20, share del 5,18 per cento), il nuovo programma che la Rai 3 diretta da Daria Bignardi ha allestito alla velocità della luce. La legge che regolamenta le unioni civili è del maggio scorso e, pronti via, ecco il docureality. Alla Rai può capitare di arrivare tardi sui luoghi del terremoto, ma sugli omosessuali è molto contemporanea. Al correttismo di Rai 3 non poteva mancare la narrazione dei preparativi alla cerimonia dei matrimoni tra persone dello stesso sesso. Una narrazione delicata, però: persino troppo. Giorgio, uno spilungone di due metri, è il sindaco del paese e quindi gioca in casa. A Pineto degli Abruzzi, invece, la casa di Orlando e Bruno, la coppia che «vive in perfetta simbiosi da 52 anni», è tutta rosa, come le camicie di Orlando e le cravatte per il gran giorno. Ecco i futuri sposi scegliere la location per la festa, gli addobbi, i confetti, il bouquet, e sottoporsi alla prova abito in sartoria e alle pose per l’album fotografico. «Abbiamo voluto fare una cosa classica come sono i matrimoni, poi ci mettiamo qualcosa di nostro perché per noi è speciale», ammette con pudore Michele che di professione è architetto. La voce fuori campo assicura che le nozze tra lui e Giorgio saranno molto romantiche. E trasuda romanticismo il racconto di entrambi le storie che s’intrecciano e si rincorrono, dal «colpo di fulmine» agli anniversari festeggiati a Venezia, al coronamento dell’unione. Perché, a differenza dei rapporti tradizionali dove qualche volta si litiga e ci si manda a quel paese, tra gay sono tutte rose e fiori. Tanto più considerando che gli ultrasettantenni Orlando e Bruno che si scambiano effusioni in favore di telecamera, hanno lavorato come fioristi. Dal canto suo, la madre di Giorgio assicura che quando ha capito che tra suo figlio e Michele c’era una relazione è «stata pure contenta». Per la sorella, invece, il loro matrimonio «è un simbolo». Il padre parla di «choc… Si sa che le cose succedono nel mondo, poi succedono pure a te». Ma c’è voluto qualche giorno per metabolizzare la situazione. La nonna di 101 anni ammette che le è «molto difficile capire, però se si vogliono bene…», anche se è dispiaciuta perché non c’è stata la funzione in chiesa. Esagerando, un amico di Orlando e Bruno parla di «famiglia perfetta». L’amica fiorista invece sottolinea che «nemmeno io e mio marito ci diciamo tutto come loro». L’amore è uguale per tutti, ma per i gay è un po’ più uguale. E nel docureality le rose non hanno spine.

 

La Verità, 5 novembre 2016