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«Hammamet inneschi la riscossa della politica»

Una storia tragica che ha molto da dire all’Italia di oggi. La caduta del re. Il perdente in disarmo. La grande rimozione della politica repubblicana. È tutto questo, Bettino Craxi, oggi. Tra pochi giorni ricorrerà il ventennale della sua morte avvenuta ad Hammamet il 19 gennaio del 2000. Stanno per uscire libri e saggi. Si torna a parlare di lui e della sua eredità politica. Non del presunto tesoro nascosto chissà dove. Sono maturi, a sinistra, i tempi del perdono o, almeno, dell’assoluzione? Un film intitolato Hammamet, diretto da Gianni Amelio e con un bravissimo Pierfrancesco Favino, racconta gli ultimi sei mesi dell’ingombrante esilio del leader socialista.

Incontro la figlia Stefania nella sede della fondazione a lui intitolata dove, tra i suoi ritratti, spunta un busto di Giuseppe Garibaldi. Alle pareti si legge: «La mia libertà equivale alla mia vita», epigrafe posta sulla tomba dello statista italiano.

Signora Craxi, le è piaciuto Hammamet di Gianni Amelio?

Aspettarsi una ricostruzione storico-politica della vicenda di mio padre sarebbe stato sbagliato. Gianni Amelio è un regista dell’anima, non poteva che raccontare il dramma e l’ingiustizia profonda dell’esilio. Ritengo importante che un regista, che non proviene dal mondo socialista e non tratta tematiche politiche, percepisca questa grande ingiustizia della storia repubblicana.

Suo fratello dice che è troppo romanzato.

È un suo giudizio. Ma è un film, ovvio che sia romanzato.

Si riconosce in Anita, la figlia del Presidente come siete chiamati nella pellicola?

Anita è un omaggio a Garibaldi di cui Craxi era un estimatore, ed è anche il nome che ho dato a mia figlia. È una domanda che non mi sono posta. L’attrice è molto intensa. Ma a un certo punto mi sono detta che, forse, un piatto in più di pasta potevo lasciarglielo mangiare!

Si è trovata troppo inflessibile?

Vedendomi ho pensato: «Che rompicoglioni!». Ma poi ho dovuto ammettere che Anita a tratti mi assomiglia, su alcune cose avrei potuto mollare un po’ di più.

Come interpreta la frase «Io mio padre ho cercato di salvarlo, ma non ci sono riuscita», pronunciata dopo che Fausto, personaggio di fantasia, dice di aver ucciso il padre, tesoriere del partito, che «era un criminale ed è diventato un martire»?

Non la interpreto. È vero che ho cercato di salvarlo e non ci sono riuscita. Ho battuto tutte le strade perché fosse curato nel suo Paese o all’estero. Non ci sono riuscita. È esattamente ciò che è successo. Ho anche cercato di metterlo in guardia dai falsi amici. Invano.

Chi erano?

Tante persone a cui ha dato fiducia e ruoli e non lo meritavano. È una riflessione che ha fatto lui stesso e si trova nei suoi scritti.

Nel film Craxi è un uomo solo. In sogno, quando uno sketch tv gioca sull’assonanza milanese tra lader e leader, anche suo padre ride divertito.

Se questo film trasmetterà al pubblico il dramma e la grande solitudine dell’uomo centra il bersaglio. Ci sono straniazione e isolamento. Che cosa può portare in esilio un uomo che ha dato tutta la vita per il suo Paese?

Ha apprezzato l’interpretazione di Favino?

Non ha nulla da invidiare ai migliori attori americani. Ha fatto un grande lavoro sulla gestualità e sulla sofferenza. Mi auguro che vinca l’Oscar.

È un film più psicologico che politico?

Sicuramente non è un film politico, ma intimista. Da quanto ho letto il regista rivede nella storia gli stilemi della grande tragedia classica. Prevale in lui la tematica del capro espiatorio, mentre la lettura politica è assente e a tratti superficiale. Lo scontro di quegli anni tra la grande finanza internazionale e il primato della politica è molto complesso e ramificato. A differenza degli americani, gli autori italiani non sanno raccontarlo, leggono la tragedia ma non leggono la politica.

Anche se c’è un passaggio sulla riflessione di sua padre relativa alla differenza tra il termine rimosso, «popolo», e quello più in voga, «gente comune».

Assolutamente sì. Mio padre era molto attento. Per lui la politica doveva parlare a ciascun individuo, non genericamente alle masse. Doveva dare risposte ai suoi bisogni, alle sue necessità, premiare i meriti e i talenti. Il confronto era per idee e fatti, non per bandiere.

Amelio ha tenuto a specificare che non è un film contro Mani pulite.

Non serve Amelio per dire cos’è stata quella falsa rivoluzione. Con eroi finti e ideali finti. Basta guardare cos’è oggi il nostro Paese, quanto conta la politica, quanto conta nei consessi internazionali, qual è lo stato della nostra economica e del sistema produttivo. Ognuno, ormai, può farsi un’idea in proprio.

Nella scena in cui davanti all’aereo che deve riportarlo in Italia per farsi curare Craxi ha un ripensamento e rifiuta il rimpatrio c’è orgoglio, fierezza, solitudine?

Ovviamente quella scena è frutto di finzione. Non era a tema il suo ritorno da uomo «non libero». La scelta di non curarsi prima, e di non farsi operare in Italia, dà la cifra di un uomo per cui le proprie idee, la propria libertà erano la sua stessa vita. Un gesto ottocentesco.

È un’opera che non affronta la riflessione sul primato della politica, motivo per cui suo padre non ha voluto farsi processare nei tribunali, ma voleva dibattere del finanziamento ai partiti solo in Parlamento?

In Parlamento Craxi non fa una chiamata di correità come banalmente viene detto. Parla il linguaggio della verità e chiede una fine politica della prima Repubblica. A quella richiesta segue un vile silenzio. Tra ipocrisie e opportunismi capitola il primato della politica e inizia la deriva italiana.

Suo padre era un latitante, un esule o un contumace?

Era un esule. Nella storia dell’umanità e nel diritto internazionale l’esilio ha un posto preciso. Non a caso la Tunisia si sarebbe opposta alle richieste di estradizione. Craxi è stato dichiarato illecitamente latitante, perché se n’è andato dall’Italia esibendo il suo passaporto. Per il dizionario Devoto Oli, latitante è chi vuol far perdere le proprie tracce, nascondendosi. Craxi rispondeva personalmente al telefono, il cui numero era su tutti i giornali. Una commissione d’inchiesta parlamentare stava venendo giù per un’audizione…

Che giorni sono per lei questi?

Sono giorni di bilancio di vent’anni di ribellione verso quella che ritengo un’ingiustizia umana prima che politica. Non sapevo come riparare questa ingiustizia, ma sapevo che la mia vita sarebbe cambiata. Di questa battaglia vado orgogliosa, anche se non mi attribuisco molti meriti, questo lo rivendico. Controcorrente, spesso in solitudine e talvolta derisa ho difeso Craxi, la sua storia e la storia di una intera comunità. Di questo vorrei che i socialisti mi fossero grati. Il 19 gennaio vivremo il senso di una grande perdita, fortunatamente mitigato dai tanti amici e compagni che anche quest’anno verranno dall’Italia. Al cimitero di Hammamet ci saranno più di 800 persone.

Molti politici?

Ho invitato tutti i leader, ma al momento non ha risposto nessuno… Incombono le elezioni in Emilia Romagna… Verranno tante personalità di ieri e di oggi. Carlo Tognoli, Giorgio Gori, Annamaria Bernini, Maria Stella Gelmini ma soprattutto tante persone del mondo della cultura e dello spettacolo, come Andrée Ruth Shammah, Marcello Sorgi, Maria Giovanna Maglie, Eugenio Bennato, Costantino Della Gherardesca…

Le anticipazioni del libro L’ultimo Craxi. Diari di Hammamet di Andrea Spiri hanno svelato una lettera inedita nella quale Giuliano Amato gli suggeriva di «tornare in Italia a condizioni legittime e appropriate».

Era chiamato Dottor Sottile non a caso.

Suo padre disse che era «il peggiore di tutti» e si confessava pentito del potere dato a tanti che non lo meritavano.

Era un’amarezza che riguardava tutti quelli che dovevano difenderlo e non l’hanno fatto. Colleghi di partito e avversari che lo stimavano.

Ieri è uscito anche un libro di Craxi da Mondadori.

È una spy story intitolata Parigi-Hammamet, attraverso la quale racconta la contrapposizione di quegli anni tra la grande finanza internazionale e la politica.

Avete messo insieme alcuni suoi scritti?

È uno scritto inedito che abbiamo ritrovato nelle sue carte quando, la Fondazione che nel 2000 ho fondato, ha messo ordine nel suo «archivio».

Craxi giallista?

Il giallo è solo la forma narrativa. Lui lo presenta così: «Non è un saggio, non ha alcun valore storico politico. Prendetelo come un mio passatempo. Magari scoverete inciampi nella fantapolitica, stilemi abborracciati, intrecci indegni di John Le Carrè o Ian Fleming. Eppure, nelle trame del mio modesto tappeto narrativo, troverete nude e inconfutabili verità. E una miriade di profezie di futuri, inesorabili, disastri nazionali». Vent’anni dopo l’attualità gli dà ragione.

Vent’anni dopo la politica è ancora sotto schiaffo della magistratura, della finanza e degli apparati?

Se le sue parole non fossero rimaste inascoltate come quelle di una Cassandra, la situazione del Paese sarebbe molto diversa. L’attualità di quella visione è riscontrabile nelle sue riflessioni anche da Hammamet, quando dicevano che non era più lucido.

Come vorrebbe fosse ricordato suo padre?

Come un uomo che ha servito con lealtà e passione la sua patria. Che voleva grande tra i grandi e non certo l’Italietta ininfluente sul piano internazionale che vediamo oggi. Tra Craxi e Garibaldi ci sono molti tratti comuni, basti pensare che Garibaldi ha vissuto un anno a Tunisi e che le loro tombe sono entrambe divise dal mare dall’Italia. E basta pensare alle ultime parole di Garibaldi da Caprera: «Non era questa l’Italia che sognavo, miserabile al suo interno e derisa al suo esterno».

Come finirà la vicenda dell’intestazione di una via a Milano?

Se il sindaco di Milano vorrà dare un riconoscimento a un grande italiano e a un grande milanese, senza se e senza ma, farà una cosa giusta. Altrimenti, amen: a dire di Craxi sarà la storia.

In un momento in cui la politica italiana appare molto confusa e priva di personalità di statura, tanti ripensano agli uomini della Prima repubblica. Che cosa avrebbe da dare suo padre all’Italia di oggi?

Mi permetto di dire che Craxi era una personalità eccezionale anche tra le figure della Prima repubblica. Sia per statura politica che per la profondissima carica umana, nascosta da un tratto di ruvidezza caratteriale erroneamente scambiata per arroganza. Ma la cosa che lo rende di grande attualità è la sua capacità di capire il futuro e di cogliere modernità e innovazioni. L’eredita craxiana non è quel tesoro mai esistito, ma quel patrimonio di idee e riformismo ancora validi che può rappresentare una bussola per chi avesse la volontà di raccoglierla.

   

Panorama, 15 gennaio 2020