«Su Almasri giusto puntare sulla sicurezza nazionale»
Era uno dei lothar dalemiani. Nicola Latorre, insieme a Claudio Velardi, Marco Minniti e Fabrizio Rondolino: tutti pelati («ci radevamo perché non avevamo capelli», parola di Velardi), in fuga dal lìder Maximo, teste d’uovo. Latorre più di tutti probabilmente, tanto che, dopo varie legislature a Palazzo Madama, la presidenza della commissione Difesa del Senato e la direzione dell’Agenzia industrie e difesa (fino a fine 2023), insegna Relazioni internazionali alla facoltà di Scienze politiche dell’università Guido Carli.
Professor Latorre, che cosa pensa del fatto che da quando il comandante della polizia giudiziaria libica Najeem Osama Almasri è stato espulso l’Italia è paralizzata?
«Penso che il dibattito su questa vicenda va avanti da troppi giorni e sta facendo perdere di vista una serie di altri fatti che stanno caratterizzando lo scenario geopolitico. Ritengo sia un errore tenere in scacco le attività del Parlamento non solo perché ci sono questioni urgenti relative all’attività legislativa, ma soprattutto per una serie di avvenimenti nello scenario mondiale che richiederebbero rigore nelle discussioni, all’opposto dei toni urlati e propagandistici che trasmettono un’immagine non adeguata del nostro Paese».
Prima di addentrarci, qual è la sua opinione generale su questa vicenda?
«Ritengo che il governo potesse chiudere la discussione sulla decisione presa, che personalmente condivido, motivandola con le esigenze di sicurezza nazionale. Se, insieme alle autorità che la regolano, il governo ha ritenuto di prendere questa decisione avrebbe dovuto esplicitarla subito chiaramente. Mantenere questo pericoloso criminale in condizioni di libertà o di restrizione nel nostro Paese avrebbe potuto produrre conseguenze per la sicurezza nazionale sia sul nostro territorio, ma anche per i cittadini e le aziende italiane che operano in Libia».
Avrebbero potuto esserci ripercussioni sui nostri connazionali, sulle attività dell’Eni o nuove ondate di migranti dalla Libia verso le nostre coste?
«Il nostro rapporto con la Libia ha grande rilevanza innanzitutto sulla sicurezza interna perché è noto che, come per quelli provenienti dall’area balcanica, i flussi migratori sono utilizzati per destabilizzare i Paesi. Inoltre, è noto che nell’area del Sahel, come dell’Afghanistan, è forte la presenza di cellule terroristiche organizzate. Infine, in Libia si gioca la partita per noi decisiva dell’approvvigionamento energetico».
Come giudica il comportamento dell’opposizione?
«L’opposizione ha utilizzato la propaganda per screditare il nostro Paese e attaccare il presidente del Consiglio. Ha misconosciuto le esigenze di sicurezza e l’obbligo di misurarsi con decisioni che, se da un punto di vista etico presentano elementi problematici, sul piano della responsabilità possono essere inevitabili».
Come mai solo il 18 gennaio, dopo che aveva girato l’Europa per 12 giorni, la Corte penale internazionale ha spiccato il mandato di arresto contro Almasri?
«È una circostanza che lascia aperti molti interrogativi. Sappiamo dal suo passaporto che questo personaggio poteva godere di molte protezioni internazionali».
Disponeva anche di un visto decennale per gli Stati Uniti.
«Incuriosisce la tempistica della vicenda. Il fatto che la Germania comunichi la presenza sul suo territorio di Almasri appena prima che lasci il Paese fa pensare che la vera preoccupazione delle autorità tedesche era di liberarsi di una patata bollente».
La presenza di Almasri in Europa diviene pubblica a Monaco di Baviera il giorno prima del suo ingresso in Italia.
«Non sono un sostenitore delle teorie dei complotti, credo sinceramente che si sia presa una decisione cinica e spregiudicata tesa a scaricare su altri Paesi la gestione di una polpetta avvelenata».
Che cosa suggerisce il fatto che, secondo il ministro della Giustizia Carlo Nordio, il primo mandato di arresto abbia richiesto una seconda versione dopo sei giorni?
«Non ho elementi né intenzione di pronunciarmi su questioni di tecnica giuridica. Tuttavia, emerge un percorso pasticciato, motivo in più per cui ritengo che la priorità della sicurezza nazionale è la motivazione giusta a supporto dell’espulsione di questa persona».
Giorgia Meloni avrebbe dovuto presentarsi in Parlamento come hanno reclamato le opposizioni?
«Decidere di presentarsi o no è prerogativa del premier. Quel che conta è che il governo abbia riferito nelle aule parlamentari».
Lo scontro tra magistratura e governo riguarda anche il fronte dei rimpatri degli irregolari.
«Qui, purtroppo, il fatto che preoccupa è la contraddittorietà dei comportamenti di diverse magistrature perché questa disomogeneità di comportamenti inficia la certezza del diritto».
Cosa pensa del fatto che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che è anche capo del Csm, non si sia pronunciato su questo contrasto istituzionale?
«Penso che Mattarella, insieme alla difesa della Costituzione si preoccupa sempre di tenere unito il Paese. Le sue dichiarazioni cercano di non alimentare conflitti che possono danneggiarlo».
Dovrebbe far riflettere gli esponenti dell’opposizione il fatto che il Memorandum firmato dall’ex ministro Marco Minniti con la Libia nel 2017 è stato adottato dall’Unione europea e confermato dai governi successivi?
«Certo. Non solo dovrebbe far riflettere le opposizioni, ma continuo a pensare che quel Memorandum contiene elementi che dovrebbero orientare la nostra strategia sull’immigrazione. Il problema è che, un minuto dopo l’approvazione, di quel Memorandum è stata contrastata l’attuazione».
Non resta che sperare nel cosiddetto Piano Mattei?
«Spero che non resterà solo un titolo, ma diventi il cuore della strategia di politica estera del nostro Paese. Questo significa investire energie e risorse finanziarie in quel piano. Auspico che un contributo importante arrivi anche dall’Unione europea».
Il nostro governo ha espulso Almasri perché sotto pressione di un ricatto?
«La decisione di espellere questo signore non è frutto di nessun ricatto, ma solo di una valutazione dell’interesse della sicurezza nazionale».
Ora si scopre che una denuncia presso la Cpi risale al 2019: verranno chiamati in causa anche i ministri dei governi Conte e Draghi?
«Mi auguro che questo tipo di denunce, di ieri e di oggi su decisioni assunte per ragioni di Stato, vengano tutte cestinate».
A livello internazionale chi può aver avuto interesse a far esplodere il caso Almasri in Italia?
«Non credo ci siano Paesi che avessero interesse a farlo detonare in Italia, ma che ce l’avevano a non farlo esplodere in casa loro. In particolare credo, sulla base di una mia sensazione, che la Germania si è preoccupata di non farlo esplodere nel pieno di una campagna elettorale nella quale il tema dell’immigrazione è cruciale. Bisogna considerare che, tra le tante protezioni internazionali di cui gode questo signore, c’è quella della Turchia e sappiamo quale influenza proprio in materia di immigrazione abbia la Turchia sulla Germania».
Possiamo ricordare anche Abdullah Öcalan, il capo del PKK curdo di cui la Germania non chiese l’estradizione benché inseguito da un mandato di cattura per terrorismo. Allora il premier era D’Alema.
«Già nel 1998 c’era un mandato di cattura internazionale nei confronti di Ocalan e doveva essere estradato in Germania dove però c’erano sia una grande comunità curda che una grandissima comunità turca e, dunque, la presenza di Öcalan avrebbe alimentato tensioni sociali di complessa gestione. Il governo tedesco ha sempre evitato di chiedere l’estradizione anche quando, ricercato, riuscì a entrare in Italia. La gestione di quel caso impegnò il nostro Paese, non fu mai estradato in Germania e non mi pare abbia scatenato un putiferio come quello a cui stiamo assistendo».
Alcune cancellerie europee di Paesi in difficoltà al loro interno potrebbero gradire un ridimensionamento del premier italiano ora che appare un possibile elemento di mediazione tra le sponde dell’Atlantico?
«Se fosse vero sarebbe un errore grave prestare il fianco a questo tentativo. Il tema della difesa dell’interesse nazionale è una priorità sulla quale mi auguro che tutte le forze politiche possano convergere. Quando Silvio Berlusconi fu oggetto delle risatine di scherno di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, da vicecapogruppo dei senatori Pd e quindi esponente dell’opposizione, feci una dichiarazione, ahimè poco gradita da parte dell’opposizione, che stigmatizzava quell’attacco, offensivo per il nostro Paese. L’ho sempre pensata così».
Come vanno interpretati i toni antiamericani e contro Elon Musk di Mattarella all’università di Marsiglia?
«Credo che il capo dello Stato abbia voluto porre un problema di fondo, denunciando i rischi provocati dal ruolo che sta assumendo Elon Musk non come imprenditore ma come decisore politico in relazione al funzionamento dei sistemi democratici. Guardi, provo a fare un pronostico: tra qualche mese il vero conflitto sarà tra Musk e Trump».
Parlando di minacce per la democrazia nessuno si preoccupava quando l’amministrazione americana voleva pilotare l’informazione dei social di Meta.
«È vero. Ma oggi Musk sta assumendo un protagonismo che travalica i suoi compiti di imprenditore le cui qualità non sono in discussione».
Mattarella è preoccupato per il ridimensionamento degli organismi sovranazionali come l’Oms che, in realtà, non sono puri come si vuol farci credere.
«Concordo. Funzionano male e devono essere riformati, a cominciare dal consiglio di sicurezza delle Nazioni unite. Tuttavia, boicottare gli organismi sovranazionali ci porterebbe in uno scenario di incertezza ancora peggiore».
Mattarella non si pronuncia sullo scontro istituzionale sui Paesi sicuri, all’estero critica i governi sovranisti: siamo a due indizi?
«Posso sbagliare, ma a mio avviso sarebbe un errore interpretare il discorso di Mattarella come un tentativo di contestare una parte politica e favorirne un’altra. Il nostro capo dello Stato lancia un warning sull’affermarsi di un modello di relazioni internazionali bipolare in cui il più forte può dominare, rispetto a un più salutare sistema multipolare».
Per chiudere, che bilancio fa della sua collaborazione con Massimo D’Alema?
«Gli anni di collaborazione con D’Alema sono stati molto importanti per la mia formazione e con lui ho imparato a pensare con la mia testa. Soprattutto negli ultimi anni non ho condiviso spesso le sue analisi, ma senza per questo mettere in discussione la mia stima e la mia amicizia nei suoi confronti».
La Verità, 8 febbraio 2025