Tag Archivio per: follia

«La donna cattolica? La più potente che c’è»

Una specie di Wonder woman del matrimonio indissolubile. «Una cattolica tradizionale sotto copertura», come si autodefinisce. Una donna sposata con lo stesso uomo da quasi 25 anni, madre di tre figlie e pure una professionista che gira il mondo occupandosi di export. È Anna Porchetti, autrice di Amatevi finché morte non vi separi (Effatà), scritto con leggerezza come una lettera aperta alle mogli, fidanzate, compagne e ragazze in affannosa ricerca dell’anima gemella.

Com’è nato questo libro?

«Per caso. Eravamo chiusi dal lockdown quando ho cominciato a vedere che, proprio durante la pandemia, alcune coppie erano entrate in crisi. Anche coppie che ritenevo solide. Così ho iniziato ad appuntarmi che cosa tiene saldi i matrimoni e quali sono le trappole da evitare. Quegli appunti sono diventati un testo».

Oggi tutto cospira contro il matrimonio tradizionale: è un libro folle?

«Sì, ma credo necessario. Un matrimonio fallito è un lutto per marito e moglie. Se ci sono dei figli, è ancora più doloroso per tutti».

È partita soprattutto dalle situazioni di crisi?

«Ho pensato quali consigli potevano aiutare certi matrimoni a riprendersi anziché a interrompersi. Avevo notato che quando una coppia è in difficoltà, spesso gli amici si limitano a passare il numero di un “avvocato civilista bravissimo”. Invece, magari quella coppia ha bisogno di aiuto per provare a stare insieme non per dividersi».

Contro quante mode va un libro così?

«Soprattutto contro l’idea del matrimonio a tempo, dell’amore eterno finché dura».

Qual è l’ostacolo principale alla tenuta?

«L’incapacità di accettare la fatica di un rapporto che, per tanti motivi, può incrinarsi».

Lei punta a ripararlo?

«Sì. Anche i coniugi che si vogliono bene commettono errori. Ma siccome non siamo preparati ad affrontare queste dinamiche, se non si va d’accordo su qualcosa o l’altro ci ha deluso, buttiamo via tutto perché pensiamo che dividerci sia la cosa giusta».

Lei però non è una matrimonialista, una psicologa o un’esperta.

«Sul piano teorico sono incompetente, perciò non voglio salire in cattedra. Il mio è un manuale umoristico per far sorridere e riflettere allo stesso tempo sulla base dell’esperienza di moglie da un quarto di secolo che, come avviene a tante, ha affrontato momenti di difficoltà».

Perché propone il matrimonio in chiesa?

«È la base, per chi crede. Per chi non crede ci sono tanti posti bellissimi».

Però i matrimoni religiosi, pur triplicati rispetto al periodo della pandemia, continuano a calare.

«Se si è credenti, non si può immaginare di unirsi a qualcuno senza il sacramento. Che poi fa la differenza».

Senza l’aiuto divino il matrimonio indissolubile è impossibile?

«Succede che anche i matrimoni sacramentali vadano in crisi e si sciolgano. Ma senza il sacramento forse è più difficile durare. Un rapporto dell’Istat documenta che i matrimoni religiosi hanno una percentuale più bassa di separazioni e divorzi. Credo che un’unione tra uomini e basta sia più sottoposta alla variabilità delle emozioni e delle passioni».

Mentre il matrimonio cristiano…

«È un’unione più solida perché è un patto a tre, con Dio che opera attraverso lo Spirito Santo. C’è qualcosa più dell’umano».

Oggi va più di moda la convivenza.

«Abbassa il rischio e anche l’investimento emotivo».

L’altro giorno su Real time è partita la decima edizione di Matrimonio a prima vista.

«L’ho visto qualche volta, all’inizio ero molto curiosa».

Sei sconosciuti, tre donne e tre uomini, si incontrano e si sposano guidati da esperti, vanno a convivere e dopo un mese decidono se confermare le nozze o divorziare.

«Quasi sempre emergono l’immaturità e l’egoismo che sono le ragioni per cui quelle persone erano rimaste single fino a quel momento».

Oggi chi si prende un impegno per la vita?

«Abbiamo trasformato i desideri in diritti e ci siamo dimenticati i doveri».

Per esempio?

«Quando ci si sposa si acquisisce il diritto di stare con quella persona, ma anche il dovere di amarla, onorarla e rispettarla. Invece, pretendiamo il diritto, ma non accettiamo il dovere».

Si pensa che basti il sentimento?

«Quando l’emozione è al top va tutto bene, quando cala si comincia a pensare di aver fatto la scelta sbagliata e si vuole scappare».

Cosa ostacola di più la tenuta delle unioni?

«L’idea che se il matrimonio non tiene si può voltare pagina e ricominciare con un altro o un’altra. Va bene, hai fatto un’esperienza. C’è una visione esperienziale e non valoriale del matrimonio. Nella mentalità moderna manca la capacità di resistenza alla frustrazione, la rifiutiamo. Ci sottraiamo alla prima difficoltà. O, appena ci annoiamo, cerchiamo nuove emozioni e nuove situazioni comfort, come direbbero gli inglesi».

Puntare al matrimonio indissolubile è ambizione o presunzione?

«È una piccola follia che va contro gli appetiti umani. È un percorso di santità, per questo l’aiuto divino è importante».

Il segreto di un matrimonio che funziona è dimenticarsi d’inseguire la perfezione?

«La perfezione è un’illusione e un inganno della nostra contemporaneità. È un attributo del divino e quando ce lo attacchiamo noi umani sulla maglietta facciamo disastri. È un grande alibi ai nostri fallimenti: non siamo perfetti, perciò non possiamo amarci e stare insieme tutta la vita».

Un altro segreto è accettare la differenza dell’altro sesso. È un luogo comune disegnare le donne multitasking e gli uomini monotasking?

«Come molte formule non è detto che corrisponda alla verità. Oggi non siamo progettati per accettare la differenza».

In che senso?

«Spesso si sente dire: ci siamo lasciati perché siamo incompatibili. Ovvio, siete un uomo e una donna. La differenza va messa nel conto in partenza, non dev’essere una sorpresa che decreta la fine del rapporto».

Lei suggerisce di stimare il partner superiore a sé in qualcosa: nella mentalità comune gli uomini sono un po’ deprezzati?

«Sono maltrattati, perciò è importante che almeno le loro compagne e mogli imparino ad apprezzarli».

Si parla molto di mascolinità tossica.

«Ma anche di mancanza di virilità. C’è una svalutazione dell’uomo come maschio».

Perché si definisce «una cattolica tradizionalista sotto copertura»?

«Perché oggi c’è un astio spaventoso nei confronti dei cattolici che ammettono di esserlo».

Già l’idea dell’ammissione, quasi fosse una colpa, è sintomatica.

«Essere cattolici tradizionali è l’unica vera scelta scandalosa che c’è oggi. Tutte le altre opzioni sono state sdoganate».

Perché?

«Si pensa che cattolico sia sinonimo di bigotto, persona culturalmente e antropologicamente inferiore, di vedute ristrette. Invece è straordinario che il progresso della cultura occidentale derivi dalla cultura cristiana. La storia dell’arte, cominciando dalla possibilità di raffigurare il volto divino e umano, viene dal Concilio di Nicea. Nelle altre religioni monoteiste questa possibilità è contrastata».

Dopo questo libro la copertura è saltata?

«In realtà, salta subito. Ho un aspetto da persona normale, anche se poi mi comporto da cattolica».

Un cattolico non è una persona normale?

«Nell’immaginario, no. Le donne s’immaginano beghine con il gonnellone lungo e i capelli arruffati. Gli uomini ottusi e sessualmente repressi. Invece, anche le donne cattoliche mettono la minigonna».

Sono sessualmente libere?

«Se libertà è dire di sì o di no a seconda di come ci si sente, le uniche libere di negarsi sono le donne cattoliche. Le altre sono sottoposte a pressioni di fronte alle quali non hanno argomenti per opporsi».

È liberatorio consigliare il sesso dopo il matrimonio?

«Liberatorio e anche utile per la salute delle persone e delle relazioni».

Qual è la convenienza?

«Aver identificato la persona che si vuole amare per tutta la vita, mentre oggi il sesso è un’attività d’intrattenimento. E il partner è usato per il piacere, senza che ci sia interesse per lui o lei».

Da cattolica tradizionale disapprova aborto ed eutanasia?

«Trovo allucinante che ci abbiano convinto che il primo nemico da eliminare sia nostro figlio».

Una cattolica tradizionale è disegnata in modo non corrispondente come Jessica Rabbit?

«È una donna che si autodetermina, molto empowered, molto potente. Non riesco a immaginare una cosa più empowering che dare la vita».

Cos’ha fatto per la festa della donna?

«Non vedo tutti questi motivi per festeggiare».

Perché?

«Le donne restano soggette al giudizio dell’opinione pubblica per cui quasi tutto quello che fanno è sbagliato».

Tipo?

«Se decide di stare a casa e dedicarsi alla famiglia vuol dire che è arretrata, annichilita e priva di ambizioni».

O vittima della società patriarcale?

«Tra i luoghi comuni sulle donne che non lavorano c’è anche questo. La libera scelta è un po’ un’utopia».

Cosa vuol dire?

«Che le attività di cura della famiglia e dei figli sono considerate prive di valore. Una donna che le sceglie dev’essere per forza stata plagiata. Non che le donne che lavorano e hanno famiglia siano giudicate meglio…».

Perché?

«Si ritiene che o sono cattive madri o cattive lavoratrici o entrambe. Anche le donne che decidono di non aver figli sono considerate di minor valore, quindi non c’è scampo».

L’emancipazione della donna resta lontana?

«Il femminismo ha posto la domanda giusta, ma ha dato una risposta sbagliata. Chiedere alle donne che cosa volessero fare di loro stesse era giusto. Ma la risposta è stata deludente e ingannevole perché sembra che l’unica liberazione sia contrapporsi all’uomo e rinunciare alla famiglia. Tutte realtà che invece ci rendono felici perché abbiamo bisogno di amare ed essere amate».

Cosa pensa della parità di genere?

«Penso sia giusto e sacrosanto che uomini e donne abbiano gli stessi diritti e accesso alle medesime opportunità. Però non mi piace la tendenza a uniformare tutto, perché le vite di un uomo e di una donna comportano sfide e necessità diverse».

È contenta di Giorgia Meloni premier?

«Non m’interesso molto di politica, ma sono contenta di avere un presidente del consiglio donna, tanto più madre. Ma non penso che una persona sola possa risolvere le battaglie aperte della condizione femminile».

Non facendo battaglie femministe è un po’ meno utile alla causa delle donne?

«Ritengo un po’ sorpassate le battaglie femministe. Quando vedo che si scende in piazza per difendere l’interruzione della gravidanza mentre non c’è nessun progetto di abrogazione della legge mi sembra che siamo finiti in un corto circuito. Non serve difendere un diritto che non è sotto minaccia. Però lo sbarramento preventivo ci impedisce di fare una riflessione più profonda sull’aborto».