Tag Archivio per: Forza Italia

«Il governo è solido, ma ora serve uno scatto»

Giovanni Orsina dirige il dipartimento School of government dell’università Luiss Guido Carli. Storico e politologo di area moderata, è apprezzato anche a sinistra, non solo da editorialista della Stampa. L’ultimo suo libro, pubblicato da Rubbettino, si intitola Una democrazia autentica. Partitocrazia, antifascismo, antipolitica.
Professor Orsina, ora che si avvicinano i due anni di governo Meloni affiorano i primi segnali di logoramento?
«Non direi che siano i primi, di tensioni simili ne sono già emerse in passato. Forse dopo due anni di vita, e, superata la svolta delle elezioni europee, alcuni nodi sono più aggrovigliati che in precedenza. In ogni caso, non mi sembrano tali da far parlare di un governo in difficoltà».
Le sembra che alcuni suoi esponenti stiano perdendo la consapevolezza dell’occasione storica per incidere sul sistema di potere vigente nel Paese?
«Forse sì. Mentre non ritengo che le tensioni interne siano nuove, d’altro canto vedo un governo che stenta ancora a trovare una missione. Superata l’inevitabile e giusta euforia per aver conquistato il timone, adesso bisogna decidere dove portare la nave. Ma questo ancora non è chiaro».
Fino a qualche mese fa si sperava di modificare gli equilibri dell’Unione europea per avere più margine di manovra anche in Italia sull’immigrazione, l’ambiente e l’agricoltura. Che cosa è andato storto?
«Innanzitutto, si sapeva che gli equilibri in Europa non sarebbero cambiati radicalmente perché i sondaggi lo indicavano con chiarezza. Ci aspettavamo uno scivolamento verso destra, ma non un rovesciamento radicale. In secondo luogo, poiché quello scivolamento c’è stato, certe decisioni prese dal precedente Parlamento europeo, quello appena insediato non potrà prenderle. Quindi, in un certo senso, l’Europa un po’ è cambiata. Fatte queste premesse, Meloni a mio avviso questa partita avrebbe potuto giocarla meglio».
In che senso?
«Pur essendo il leader politico uscito meglio dalle elezioni, la partita l’ha giocata in difesa. I due perdenti, Emmanuel Macron e Olaf Scholz, hanno preso l’iniziativa, tagliandola fuori. E da quel momento in poi lei ha giocato di rimessa».
L’asse franco-tedesco si è saldato con l’alleanza Ppe-Socialisti escludendo le istanze del nostro Paese?
«Questa è la politica. Cinica e arrogante? Sì, non hanno tenuto gran conto dei risultati elettorali. Pagheranno un prezzo per questa sordità? Probabilmente sì. Ma questo è il gioco del potere, e in quel gioco loro hanno tenuto sempre in mano il pallino e lei è rimasta ai margini».
A cosa serve votare se le scelte degli eletti non sono consequenziali alla volontà degli elettori? E, soprattutto, non lamentiamoci per l’insorgere dell’antipolitica, dei populismi e dell’astensionismo.
«Concordo totalmente. C’è stato un evidente arroccamento dell’establishment».
Arroccamento è la parola chiave.
«Non c’è dubbio. Ma nell’immediato ha avuto successo, perché la von der Leyen l’hanno portata a casa. Se poi Meloni non ci è voluta stare per non partecipare all’arrocco, in linea di principio può pure essere una scelta condivisibile. Che ha comportato un prezzo, però».
Il cambio di scenario non prodotto dal voto europeo potrà venire dalle elezioni americane?
«Se verrà eletto Donald Trump ovviamente lo scenario cambierà. Dopodiché, si fatica a vedere in quale direzione. Perché, da un lato, una vittoria di Trump darebbe fiato alle destre, e Viktor Orbán e Matteo Salvini si stanno preparando. Ma dall’altro lato, The Donald è un pragmatico, un cinico – ricordiamoci il tweet su Giuseppi – non è un politico ideologico che aiuterà quelli che la pensano come lui, a meno che non gli convenga. Infine, Trump costringerà l’Europa a collaborare di più, quanto meno sul tema della difesa. Paradossalmente, l’effetto di un successo repubblicano potrebbe essere <più Europa>, il contrario di ciò che vogliono le destre europee».
Più Europa, ma diversa da quella attuale.
«Questo non sarà Trump a deciderlo. Lui chiederà più denaro per la difesa, ma poi come investirlo sarà una decisione delle cancellerie europee».
Quali sarebbero le conseguenze in Italia?
«Avremmo un Salvini ancora più movimentista, che cercherà di surfare l’onda trumpiana a scopi propagandistici. Però l’Italia è un Paese che deve avere eccellentissimi rapporti con l’America, chiunque la governi».
E se vincessero i democratici?
«Ci sarebbe continuità con gli equilibri attuali. Ma una vittoria dei democratici spingerebbe Meloni verso il centro».
Forza Italia, appartenente al Ppe, ha puntellato l’arrocco: quanto potranno influire sul governo le scelte diverse nei confronti di Ursula von der Leyen?
«Sono tre posizioni oggettivamente differenti, ma non credo che avranno grande impatto in Italia. Le due dimensioni, l’italiana e l’europea, non sono isolate, ma c’è un certo grado di autonomia fra l’una e l’altra. E meno male, perché gli elettori italiani hanno chiesto a quei tre partiti di stare insieme. Se dovessero dividersi per effetto delle scelte europee, si creerebbe una tensione grave fra la dimensione politica continentale e quella nazionale».
Dopo l’iniziativa di Marina e Pier Silvio Berlusconi che scenario si apre per Forza Italia?

«L’impressione è che i figli del fondatore abbiano voluto mettere pressione su Forza Italia, spronando Tajani ad approfittare di uno spazio al centro che indiscutibilmente c’è e che Meloni non vuole presidiare. Il problema è capire in che modo il loro intervento, che è un intervento extrapolitico, possa tradursi in una strategia di Forza Italia».
Essere un partito «di sfida», come ha chiesto Pier Silvio, vuol dire paradossalmente allinearsi al mainstream?

«Separerei le due cose. Chiedere un partito con un’iniziativa più forte, che produca più cultura e più pensiero politico, è legittimo. È indubbio che negli ultimi mesi Forza Italia abbia giocato in difesa – pure se è indubbio anche che la strategia abbia funzionato. Detto questo, che il rinnovamento di Forza Italia debba svilupparsi verso il mainstream è tutto da discutere. La mia opinione è che non sia quella la direzione giusta».
Tuttavia, sembra quella la sponda.
«Presidiare il centro rinnovandosi non vuol dire replicare formule di moda. Se si vuol essere un partito che rappresenta il mondo moderato, la strada giusta non è prendere l’agenda degli altri o replicarla meccanicamente».
Quale potrebbe essere la strada giusta?
«Domanda complessa. Forse ripartire dal partito del mondo produttivo e della competitività. Per altro, quello della competitività dell’Ue, e della sua capacità di non subire la pressione degli altri blocchi, è un tema posto anche da Von der Leyen. Il contrasto all’iper-regolamentazione è una battaglia anche di Meloni, oltre che del Ppe. Su questo fronte, che appartiene alla sua tradizione, Forza Italia può prendere l’iniziativa, contrastando l’Europa delle regole a favore di quella dello sviluppo e della crescita».
Ha ragione Giorgia Meloni a preoccuparsi per la compattezza del governo?
«Secondo me, non particolarmente. Certo, meno tensioni ci sono meglio è, ma non vedo possibilità di movimento per Salvini e Tajani oltre un certo limite. Un interrogativo più stringente sull’incisività dell’azione di governo si porrà da settembre. Nei prossimi due anni i vertici di governo devono decidere quali grandi scelte lo caratterizzeranno».
Ha anche lei la sensazione che questo governo provoca reazioni scomposte perché eversivo rispetto a un sistema di potere considerato inattaccabile?
«In realtà, una certa isteria è strutturale. Poi è vero che in alcune centrali mediatiche questa isteria è esasperata dalla speranza che l’anomalia si tolga presto dai piedi».
Eppure proprio queste centrali mediatiche lamentano di continuo la riduzione della libertà di stampa.
«L’Italia ha sempre avuto un giornalismo fortemente intrecciato con la politica e perciò tendenzioso, a destra così come a sinistra. E la Rai è il terreno di caccia prediletto dei partiti da almeno una sessantina d’anni. Queste caratteristiche poco commendevoli non nascono certo col governo Meloni, né mi pare che con Meloni si siano aggravate. Fermo restando che chiunque aggredisca i giornalisti deve essere represso e punito con la massima severità, gli allarmi sulla libertà di stampa appartengono per intero alla polemica politica: un giornalismo politicizzato a sinistra usa questo tema per attaccare un governo di destra. Credo che si possa serenamente passare oltre».
L’assegnazione del ruolo di commissario in Europa a Raffaele Fitto potrebbe rendere necessario un rimpasto: converrebbe allargarlo a qualche altro esponente per tonificare la compagine governativa?
«In astratto, un tagliando non sarebbe male. In concreto, proprio perché gli elementi di instabilità non mancano, credo che Meloni cercherà di evitarlo».
Quanto ci vorrà perché il centrodestra riesca a formare una classe dirigente all’altezza delle sue ambizioni?
«La carenza di classe dirigente del centrodestra è in parte legata al fatto che tutta l’Italia ne è carente e per un’altra parte al fatto che questo governo anomalo è estraneo ai circuiti dove per lo più in Italia si trova la classe dirigente. Poi c’è un’altra osservazione».
Dica.
«Ho l’impressione che questo governo abbia pescato da bacini molto stretti, quelli più prossimi. Invece, magari ci sono altri bacini limitrofi nei quali si può pescare bene. Infine, bisognerebbe pensare anche al futuro, a costruire le classi dirigenti dei prossimi 10-15 anni. Cioè a fare cultura, perché è facendo cultura che si costruiscono le classi dirigenti».
Se dovesse dare un consiglio non richiesto a Giorgia Meloni quale sarebbe?
«Il primo sarebbe di puntare su due o tre grandi provvedimenti che vuole siano caratterizzanti del suo governo o della sua azione politica anche nel partito».
L’autonomia differenziata e il premierato non lo sono?
«Lo sarebbero, ma siamo ancora in alto mare su entrambi. L’autonomia differenziata deve passare dalla carta alla realtà, e non mi pare che le idee siano chiarissime su questo passaggio. La via del premierato è ancora molto lunga e disseminata di trappole. Si tratterebbe di un provvedimento di certo molto qualificante per il governo, basterebbe da solo a giustificare la legislatura, ma per arrivare in fondo Meloni dovrebbe investire, e rischiare, un capitale politico consistente».
E il secondo consiglio?
«Un po’ l’abbiamo accennato: costruire una classe dirigente più ampia, che possa essere quella del centrodestra del futuro».

 

La Verità, 27 luglio 2024

«Vogliamo esportare in Europa il modello italiano»

Spalle larghe. E non solo perché Paolo Barelli, 68 anni, romano, capo dei deputati di Forza Italia, è stato un nuotatore di livello internazionale, con importanti vittorie nel delfino e nello stile libero. E nemmeno perché da presidente ha portato la Federazione italiana nuoto a essere la più vincente della nostra storia sportiva. Spalle larghe perché fronteggia l’opposizione interna al partito capeggiata da Licia Ronzulli che, per un breve intervallo, era riuscita a sostituirlo con Alessandro Cattaneo alla guida dei deputati azzurri. Ci ha pensato un mese fa Silvio Berlusconi a restituirgli il ruolo. L’altro ieri, però, è finito anche lui sotto accusa per il mancato raggiungimento della maggioranza alla Camera nel voto sullo scostamento di bilancio da inserire nel Documento di economia e finanza (Def) per aumentare di un punto il taglio del cuneo fiscale.

Perché la votazione sul Def è andata male? La maggioranza di centrodestra è già in crisi?

«Ma quale crisi! Sottolineo che non doveva accadere e che occorrerà essere più attenti a particolari votazioni nelle quali sono previste maggioranze dei presenti che non tengono conto dei colleghi in missione, cioè impegnati in ambito istituzionale. Non doveva succedere. Detto ciò, 12 ore dopo è stato colmato l’errore e il Def è stato votato con una maggioranza netta. Tutti i partiti di maggioranza sostengono il Documento di economia e finanza varato dal governo con il contributo del Parlamento. Questo documento definisce le azioni in ambito economico e sociale per il 2023, ma ben più per i prossimi anni, in ossequio alla volontà di Forza Italia e del governo di imprimere una svolta allo sviluppo del nostro Paese dopo le crisi drammatiche quali la pandemia, la guerra in Ucraina, il costo dell’energia e delle materie prime».

Che strascichi potrà lasciare nella maggioranza questo «brutto scivolone»?

«Assolutamente nessuno, in quanto, tutti i partiti della maggioranza lavorano per lo stesso obiettivo che è quello di far uscire il Paese dalla crisi nel più breve tempo possibile. Ognuno dei tre partiti su cui poggia la maggioranza ha la propria storia e le proprie peculiarità, ma la forza di questa coalizione sta proprio nel saper sommare le caratteristiche positive di ciascuno, concretizzate in un programma comune e indiscutibilmente premiate dagli elettori il 25 settembre».

Forza Italia sta superando il momento di difficoltà legato allo stato di salute di Silvio Berlusconi. Si avvicina il giorno del suo completo ristabilimento?

«I medici sono cauti e noi rispettiamo il loro giudizio. Detto questo l’ho sentito più volte in questi giorni, è attento a tutte le questioni, quelle del nostro partito così come quelle parlamentari, fornendo suggerimenti e indicazioni utili per le nostre attività. Quindi con immenso piacere lo sentiamo, come sempre, vicino e sul pezzo».

Nel momento di massima crisi qualcuno nel partito ha cominciato a fare progetti sul futuro?

«È normale sentirsi in apprensione per la temporanea indisponibilità del proprio leader. Mai però ci siamo sentiti in crisi. Che Berlusconi sia Forza Italia e Forza Italia sia Berlusconi non è una novità, e nessuno può pensare di sostituirlo. Berlusconi è un leader che da trent’anni domina la scena politica italiana e internazionale, è unico e anche gli avversari più agguerriti in questi giorni hanno lo hanno ammesso. Un protagonista ineguagliabile della vita del nostro Paese».

Quanto è opportuno parlare di una Forza Italia senza Berlusconi?

«Berlusconi c’è, questa è la realtà. È lui che detta la strada a noi di Forza Italia ed è lui che guarda al futuro indicando e discutendo con noi su come affrontare le sfide che abbiamo davanti in un periodo storico, politico e sociale molto complicato».

Carlo Calenda ha parlato anche di fine della Seconda repubblica e di una Forza Italia in fase di scioglimento.

«Calenda con quelle dichiarazioni pare abbia portato sfortuna a sé stesso. Da settimane ormai i due galli del pollaio, Calenda e Renzi, si beccano e, come sembra, non possono coesistere decretando nei fatti il fallimento del “loro” terzo polo».

Un altro passaggio chiave è stato il ritrovamento dell’unità attorno alla linea governista del partito?

«Berlusconi ha inventato il centrodestra di governo. Giorgia Meloni è stata ministro di un governo presieduto da Silvio Berlusconi. Oggi un governo di centrodestra guida il nostro Paese. Come si può pensare che Forza Italia non sia un partito governista. Lo è stato quando il presidente Mattarella ha promosso un governo di unità nazionale a causa del dramma dovuto dalla pandemia. Lo è ancor di più ora che grazie anche a Forza Italia ha vinto le elezioni lo scorso 25 settembre».

Lei è stato capogruppo alla Camera per un anno dall’ottobre 2021: che cosa ha portato alla sospensione dell’incarico dell’ottobre scorso? 

«Il mio incarico nei fatti è terminato con la fine della legislatura, quindi non c’è stata alcuna sospensione».

Le motivazioni vanno individuate negli equilibri interni a Forza Italia o c’entrano, in qualche modo, anche le vicende collegate alla sospensione da presidente della Fin?

«Gli equilibri interni li definisce Berlusconi nell’interesse del partito. E per nulla può entrarci la mia seconda passione, oltre la politica, di dirigente sportivo, perché se fosse per lo sport dovrei essere un “Superman della politica”. Basta andare sul sito della Federazione italiana nuoto per vedere il numero di medaglie e di successi organizzativi che in vent’anni sono stati conseguiti sotto la mia presidenza».

Considerando che il Coni dovrebbe esserle riconoscente per i risultati della Fin da lei presieduta, che speranze ha che le accuse sulla ristrutturazione della piscina del Foro Italico vengano definitivamente fugate?

«Le ribadisco che non esiste nessuna accusa in tal senso. È vero che nel gennaio 2014 fu avanzata dal Coni un’accusa nei riguardi della Federazione nuoto ed è inconfutabile che, pubblici ministeri e giudici seppur nella sola fase preliminare, si sono dovuti interessare al caso. Ma è altrettanto certo che ben sei magistrati hanno con chiarezza determinato “in fatto e in diritto” che la federazione ha avuto comportamenti corretti e rispettosi delle leggi. Quindi abbiamo solamente ricevuto complimenti».

Berlusconi l’ha voluta nuovamente a capo dei deputati del partito nell’ottica di un avvicinamento alla linea di Giorgia Meloni?

«Conosco Giorgia Meloni da oltre venti anni. Giovane consigliere della provincia di Roma eletta nel 1998; brava, “secchiona”, dotata di forte volontà, di evidente capacità e determinazione. La stima che ci lega proviene da quegli anni di governo di centrodestra locale romano che rappresentò la prova generale dei governi nazionali di centrodestra poi susseguitisi. Io sono un militante di Forza Italia che rappresenta un pilastro del governo Meloni, per la vocazione che il mio partito ha nel popolarismo europeo, nell’atlantismo, nel liberismo e nella cultura cristiana. È scontato che anche il mio contributo di capogruppo in Parlamento sia utile a valorizzare la coesione della coalizione che sostiene Giorgia nel cammino di governo in un periodo non semplice per l’Italia, per l’Europa e per l’intero pianeta. E le elezioni europee del 2024 già si vedono all’orizzonte».

Il coordinatore del partito Antonio Tajani ha annunciato una convention a Milano per il 5 e 6 maggio prossimi: con quale obiettivo?

«È la prima convention da quando il centrodestra è tornato al governo. I nostri ministri, viceministri, sottosegretari, parlamentari hanno grandi responsabilità ed è giusto che incontrino dirigenti e militanti per discutere su quanto fatto e su ciò che ci attende nel prossimo futuro. Oltre alle elezioni amministrative quelle europee dovranno vedere Forza Italia protagonista».

C’è il pericolo che in quell’occasione si cristallizzino le correnti, governisti da una parte e ronzulliani dall’altra?

«Ma che dice. In Forza Italia c’è un solo indiscusso leader, Silvio Berlusconi. E Berlusconi è governista. Vuole un governo forte e risoluto su ogni tema che favorisca la ripresa economica, la competitività delle aziende, il lavoro, specialmente quello giovanile, e le famiglie. Vuole un governo che porti a 1000 euro entro fine legislatura le pensioni minime. E vuole che l’Europa diventi un continente che possa competere con i mercati internazionali per favorire il futuro delle nuove generazioni».

Nei giorni scorsi si è registrato l’ingresso in Forza Italia dell’ex M5s Giancarlo Cancellieri e Tajani ha parlato di nuovi arrivi dal Pd.

«È vero, Forza Italia è molto attrattiva, se è vero come è vero che un deputato europeo del Pd importante come Caterina Chinnici ha espresso il desiderio di entrare nel nostro gruppo parlamentare a Bruxelles. Ma altri ne giungeranno».

Perché a suo avviso non riusciamo a liberarci di questo dibattito su fascismo e antifascismo?

«È davvero stucchevole. Ogni anno il 25 di aprile c’è chi vuole misurare il grado di “libertà e democrazia” del prossimo. L’opposizione, o chi per essa, facendo così dimostra di non aver argomenti seri da trattare e si perde in polemiche di altri tempi. Può essere mai possibile che Forza Italia stia al governo con chi non professa sentimenti di democrazia, comprensione e tolleranza nei confronti di chi ha idee diverse dalle nostre?».

Che problemi pone alla nascita del nuovo partito repubblicano su modello americano il fatto che Fratelli d’Italia sia nel gruppo dei conservatori e riformisti e Forza Italia nel Ppe?

«Le elezioni europee rappresenteranno uno spartiacque. Il centrodestra di governo, modello Italia, vorrà, secondo la mia opinione, esportarlo anche in ambito europeo. Non so in quale forma possa accadere, ma sono sicuro che avverrà una svolta. Forza Italia è già parte della maggioranza in Europa in quanto parte del Partito popolare europeo e un governo con conservatori e liberali sarebbe auspicabile».

Se il voto del 2024 premiasse i partiti europei moderati, una maggioranza composta da Ecr e Ppe consentirebbe una più facile gestione del patto di stabilità e dell’immigrazione?

L’immigrazione è un problema molto più complesso della valutazione dei singoli paesi e partiti. Se l’Europa non vara un piano globale e comune, che eviti di lasciare soli i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, in futuro sarà una vera tragedia. Occorrono subito politiche, in particolare riguardo all’Africa, di cui tutta la comunità internazionale deve farsi carico».

 

La Verità, 29 aprile 2023

«Si voterà nel ’23, quando tutto sarà cambiato»

Nonostante il pizzo mefistofelico i tatuaggi e gli anelli, Roberto D’Agostino, visionario titolare del sito Dagospia (3,5 milioni di pagine visualizzate al giorno), sa interpretare il ruolo del saggio, del politologo, dell’analista attaccato alla realtà e ai problemi della gente. «Davvero», dice, «pensiamo che un padre di famiglia quando torna a casa dica a sua moglie: hai visto che hanno segato l’uomo di Giorgia Meloni nel Cda della Rai? Oppure che l’operaio che si alza alle sette del mattino per andare in fabbrica abbia come primo pensiero cosa si son detti Beppe Grillo e Giuseppe Conte al ristorante? Io penso di no, penso che il distacco tra la vita dei cittadini e la narrazione dei media sia ormai abissale».

Un po’ l’ha colmata la sbornia degli Europei?

«Un po’ sì, ma non parliamo di sbornia. La politica è anche un fatto emotivo».

La politica?

«Anche lei vive di emozioni. Il Covid ci ha sconvolto anche perché è venuta a mancare la fiducia negli altri. La vittoria agli Europei rimette in circolo energie nuove».

Si parla di Rinascimento italiano.

«Più che altro una Rinascente cheap. Quello che lei chiama sbornia è un’onda emotiva che arriva dopo un anno e mezzo di afflizione, i 120.000 morti, i camion di Bergamo, le bare ammassate. La Nazionale ha fatto gridare “Viva l’Italia” a tutti, facendo tornare il senso di appartenenza e dello Stato».

Addirittura.

«Di solito quando si parla di senso dello Stato viene l’orticaria perché si pensa alle tasse. Ma dopo la pandemia si pensa anche che con le tasse si costruisce un ospedale che serve quando stai male. La vittoria degli Europei è come un integratore per affrontare il post Covid».

Tutti patrioti? Qualcuno ha scritto che è tornato il piacere abbracciarci…

«Stato vuol dire fiducia, come la Galbani della pubblicità di una volta. Si ricomincia a fidarsi degli altri anche se sappiamo di correre un rischio. Infatti, tanti portano ancora le mascherine nonostante si possa stare senza. Questa vittoria è come un tiramisù. Al contrario, i no-vax pensano solo alla loro libertà e non che può danneggiare gli altri. Io sto con Macron: la mia libertà finisce quando mette a rischio quella di un altro».

Per la Nazionale abbiamo fatto due giorni di rave e adesso ci vuole il green pass per andare al bar?

«I festeggiamenti di domenica sera erano difficilmente gestibili, anche le forze dell’ordine guardavano la partita. L’errore è ciò che è accaduto il giorno dopo, con la gente assiepata attorno al pullman e senza mascherina. La trattativa Stato-Bonucci è qualcosa d’insostenibile. Si sa che il pullman era già stato preparato, Bonucci stia tranquillo. Ma Draghi non può gestire tutto, ci sono i ministeri competenti. Toccava alla Lamorgese gestire la grana, ma non l’ha fatto».

Non l’ha infastidita un certo eccesso di retorica: la Nazionale simbolo di concordia, Mancini gemello di Draghi?

«Ognuno scrive quello che vuole. L’editoriale di un quotidiano non è le Tavole della legge».

È bastato rimettere all’ordine del giorno il ddl Zan per vedere la concordia andare in frantumi?

«Da una parte c’è la politica politicante, dall’altra 60 milioni di cittadini che dopo due anni come questi hanno ricevuto un’iniezione di fiducia e positività. Non credo che le sorti del ddl Zan incidano sulla quotidianità dei cittadini. In periferia o in un paesino nessuno s’interroga sull’identità di genere. Sono pippe dei giornali. Le persone comuni hanno altre priorità. Mio figlio troverà un lavoro? Riuscirò ad arrivare a fine mese? Sarò licenziato dopo la fine del blocco?».

Chi esce meglio dalla curva?

«I cittadini. Molto meglio della politica, che si balocca con questioni superflue. Immagino tanti lettori che aprono i giornali e mandano affanculo politici e giornalisti. La pace tra Conte e Grillo, i consiglieri del Cda Rai: chi si alza alle sette del mattino per andare a lavorare guarda a questi mondi come agli animali dentro le gabbie di uno zoo. Col mio sito lavoro in un altro modo».

Cioè?

«Il direttore è un algoritmo che mi dà in tempo reale il traffico degli articoli più letti. Così capisco gli interessi prioritari. Se il pubblico mi chiede la ricotta prendo la ricotta e la metto in vetrina. Il cliente ha sempre ragione, questo è il barometro. Ho 3,5 milioni di pagine visitate al giorno. I giornali raccontano le correnti del M5s o del Pd, mentre i cittadini si chiedono perché non si affronta il problema del debito pubblico che viaggia verso i 3.000 miliardi».

Il distacco tra popolazione e narrazione è colmabile?

«A questo punto non lo so. Fossi direttore di un grande quotidiano mi chiederei perché i lettori rifiutano il mio prodotto. Qualche anno fa Repubblica e Corriere vendevano 6/700.000 copie ora sono a 100.000. Il Fatto quotidiano era sopra le 100.000 ora è a 25.000».

Ci si informa anche in altri modi?

«In parte sì. L’edicola sta diventando un residuato bellico come la cabina del telefono. Però i giornali cartacei hanno stravenduto il giorno dopo la vittoria dell’Italia. Vuol dire che i lettori volevano avere un  ricordo del trionfo acquistando il giornale con il poster della squadra vincitrice. Se dai, in cambio ricevi».

Responsabilità dei giornali ma anche dei vari Enrico Letta, Matteo Salvini eccetera?

«Purtroppo i nostri leader non hanno un’idea seria della politica, di come sono cambiati gli equilibri geopolitici dopo l’arrivo di Joe Biden alla Casa bianca, dopo l’avvento della Brexit, dopo la crescita del ruolo della Cina che sta sostituendo gli Stati uniti e ha in mano tutta la produzione strategica, dalle auto alla telefonia. Con tutto questo, noi continuiamo a parlare del consigliere di Fratelli d’Italia in Rai».

E Draghi?

«Non pensa al Quirinale. Punta a diventare il successore di Charles Michel alla presidenza del Consiglio europeo. Invece sul piano del carisma, prenderà il testimone da Angela Merkel. Già adesso Biden parla solo con lui, anche per la debolezza di Macron.

Con questi nuovi scenari hanno ragione Meloni e Salvini a credere che dopo Draghi toccherà a loro?

«Da qui al 2023, quando si andrà a votare, vedremo cambiamenti copernicani. Già ne abbiamo le avvisaglie. Il più draghiano dei leader è Salvini, che è una sorta di pontiere del centrodestra nel governo. Quando di recente Forza Italia si è incazzata per la mediazione della Cartabia con i 5 stelle è stato Salvini a fare da pontiere. Tutto cambia. Basta guardare il patto tra i due Matteo che, con la regia di Denis Verdini, vecchia volpe democristiana, stanno lavorando a una federazione centrista con Berlusconi e Forza Italia».

Quindi l’idea della federazione resiste?

«È l’approdo futuro. Salvini non parla più di migranti e ong, ma di giustizia. La politica in Italia sta vivendo una trasmutazione, a destra nascerà un centro con Salvini, Renzi, Calenda e Berlusconi. Questo dispiacere dato alla Meloni è un segnale: tu resta a destra, al centro stiamo noi».

Conviene lasciar fuori il partito più in crescita dell’area?

«Se l’ideologo della Meloni è Guido Crosetto che è presidente dell’Aiad (Aziende italiane per l’aerospazio e la difesa ndr), apparato di Stato da Fincantieri a Leonardo, che opposizione può fare».

Al di là dell’opposizione è conveniente per il centrodestra escludere il partito più in salute?

«Questo riguarda l’ego dei leader. Non si può parlare di alleanze e poi ci si comporta da ducetti. Il problema di Salvini era che prima twittava e poi ragionava. Ora ha capito che bisogna capovolgere il processo e che la politica è mediazione. Con i fondi del Recovery in arrivo non possiamo permetterci di mandare il Paese al macero. Bisogna mediare gli obiettivi di parte con il bene del Paese. E poi c’è un altro discorso…».

Prego.

«Oltre allo Stato c’è il Deep State, lo Stato profondo. Burocrazia, magistratura, servizi segreti, macchina dei ministeri: tutte realtà che sia Renzi che Salvini in passato hanno trascurato. Pagandone il conto».

Nel centrosinistra niente rivoluzioni copernicane?

«L’idea di Goffredo Bettini che vedeva Conte punto di riferimento dei progressisti è entrata in crisi».

Infatti Bettini sta tornando in Thailandia.

«Per Letta il governo Draghi è il governo del Pd. Ma Conte è contrario alla riforma Cartabia mentre il Pd è a favore. Perciò anche quest’asse è in discussione. Cosa siano oggi i 5 stelle nessuno lo sa».

Quanto crede alla pace di Bibbona?

«Ah, saperlo…».

Conte è andato a Canossa?

«Non so. Se Conte piazza una persona sua in un posto di rilievo Grillo potrà sfiduciarla. Mi sembra una diarchia che non ha grande futuro».

Invece Letta ce l’ha?

«Con il 18% come fa a tornare a Palazzo Chigi? Tanti gli consigliano di aprire a Salvini, così che in futuro ci possa essere un’alleanza con la federazione di centro. Che nel Pd potrà essere appoggiata dalla corrente maggioritaria, formata da ex renziani».

Letta è la persona giusta per aprire a Salvini?

«Credo che le amministrative del 20 ottobre daranno una botta a tante posizioni ideologiche. Si capirà se l’alleanza con i 5 stelle ha un futuro. E se ce l’ha Letta. Nei grandi Paesi europei governano le grosse coalizioni. In Germania i socialdemocratici con i democristiani, in Francia i gaullisti con Macron. In Italia potrà nascere un governo di centrosinistra con la federazione di Verdini, Salvini e Berlusconi alleata al Pd: un governo fattuale, che toglie di mezzo troppe battaglie di bandiera».

Chi è messo meglio in vista delle amministrative di ottobre?

«Credo che il risultato lascerà molti a bocca aperta. Dopo due anni di Covid non sappiamo come si orienteranno gli elettori. Molti sondaggi sono apertamente taroccati e io vorrei avere la palla di vetro per capire cosa ci aspetta. Abbiamo ancora un Parlamento con il 32% di grillini eletti…».

E tra poco inizia il semestre bianco in preparazione alla successione di Mattarella?

«Il copione del Quirinale è tale e quale a quello usato per Napolitano. Mentre Mattarella continuerà a dire di voler tornare a dedicarsi ai nipotini, dopo le prime fumate nere tutte le forze politiche andranno in fila indiana a dirgli di restare. E lui accetterà. Poi nel 2023, con il nuovo Parlamento, si deciderà in base al voto dei cittadini».

E i vari Casini, Veltroni, Franceschini, Berlusconi?

«No future».

 

La Verità, 17 luglio 2021

«Non riusciranno a dividere Giorgia e Matteo»

Ragazza nell’associazionismo cattolico, attrice, conduttrice televisiva, un passato prossimo in Forza Italia come portavoce nazionale e parlamentare europea e un presente in Fratelli d’Italia, membro dell’esecutivo nazionale del partito più in crescita del momento. Padovana, in politica dal 1994, Elisabetta Gardini ha diverse stagioni da raccontare. Non è una che sgomita per mettersi in evidenza come tante sue colleghe, ma quando va, raramente, in tv, lascia il segno. Qualche giorno fa, ospite di Agorà su Rai 3, ha sotterrato la povera Barbara Lezzi, 5 stelle, sulla riforma della prescrizione: «Siete un movimento giustizialista, massimalista, manettaro, vorreste mettere tutta l’Italia sotto processo in eterno».

Che cosa disapprova maggiormente della riforma del ministro Alfonso Bonafede?

«Come ha scritto l’ex procuratore della Repubblica Carlo Nordio è una riforma aberrante, che stabilizza lo stato di imputato e viola diritti fondamentali come l’equo processo, la presunzione di innocenza, i tempi ragionevoli. I tempi eterni rendono ingiusta qualsiasi sentenza. L’Italia è già stata condannata più volte dall’Unione europea per la lunghezza dei processi. Sono convinta che sarà sonoramente bocciata».

Il governo cadrà o, pur di non andare a votare, troveranno un accordo?

«Come abbiamo visto eravamo su scherzi a parte. Faranno di tutto per andare avanti, ma non credo arriveranno a fine legislatura».

Ricominciamo: suo padre era pittore.

(Mostrandomi i suoi quadri sul telefonino) «È mancato sei anni fa. Presto, finché c’è mia madre, organizzerò una retrospettiva con le sue opere. Al liceo, con un tema su di lui ho preso uno dei più bei voti in italiano. Raccontavo che il nostro rapporto era conflittuale, ma attraverso i suoi quadri scoprivo un padre diverso».

Che cosa le ha lasciato?

«Un grande amore per l’essere umano e un esempio di coerenza. Diceva che chi crede in un principio non deroga. Che se lo scalfisci, il principio è destinato a scomparire. Negli anni della contestazione non era un concetto facile da accettare. Anche lui ammetteva debolezze e fragilità, ma diceva che il principio non deve essere intaccato».

È di formazione cattolica?

«Ero dell’Azione cattolica. Frequentavo le associazioni del volontariato, gli scout, Operazione Mato grosso. Stavo lontano dalla politica, negli anni Settanta non era salutare. Ho avuto compagni di classe finiti in galera. A Padova abbiamo visto Franco Freda e Giovanni Ventura, le Br, il sequestro Dozier, l’attentato alla Sinagoga. La politica faceva paura e non attraeva i giovani. Come anche adesso».

Le sardine non sarebbero d’accordo.

«Ma sono giovani? Se guardiamo l’età media di quelle piazze… Il capo ha 32 anni. In Italia lo consideriamo giovane, all’estero sono padri di famiglia».

Quasi un anno fa ha lasciato Forza Italia: che cos’ha trovato in Fratelli d’Italia?

«La casa dove ci sono i miei valori. Quelli che Forza Italia ha abbandonato, diventando un partito privo d’identità, con un leader che tenta di resistere, ma è circondato da un gruppo di persone, a cominciare da Antonio Tajani e Mara Carfagna, che poco hanno a che fare con la cultura del centrodestra. Fdi è un partito coerente, guidato da una leader come Giorgia Meloni, che interpreta al meglio la passione per l’uomo e per la famiglia che mi ha trasmesso mio padre. Poi ho trovato anche la collocazione internazionale nell’Alleanza dei conservatori e riformisti dove, fin dal 2009, speravo di portare il Pdl».

Invece?

«Vinse la linea di Tajani che volle rimanere nel Ppe. Era più utile alla sua carriera».

Da allora all’uscita da Forza Italia sono trascorsi dieci anni.

«Nel 2012 Berlusconi promise le primarie poi si ricredette. Allora Guido Crosetto, Ignazio La Russa e la Meloni s’inventarono le primarie delle idee. Io ero con loro su quel palco e in un’intervista dissi che alle primarie avrei votato per la Meloni. Già allora serviva un ricambio».

Però è rimasta con Berlusconi fino all’aprile dell’anno scorso.

«Perché credevo nel lavoro che ho portato avanti fino alla fine del mandato».

In che cosa consisteva?

«Nell’azione di riduzione del danno. Non si può imporre una legge che vada bene da Stoccolma a Lampedusa. Ogni Paese deve difendere le proprie specificità. Ci sono tanti campi in cui l’Italia può vantare delle eccellenze, dall’economia circolare alla pesca, dalla meccanica agricola all’alimentazione. Ho difeso le piccole e medie industrie e tante categorie produttive. La Brexit è stata un’occasione persa per rivedere il sistema dell’Unione rispetto al quale tanti Paesi iniziavano a mostrare insofferenza. Ma la Francia e la Germania si sono chiuse a riccio per non ammettere di aver sbagliato».

Come spiega la crescita di consensi del suo partito?

«Il declino di Forza Italia ha creato uno spazio e il lavoro di Giorgia Meloni, Crosetto e La Russa ha attratto tanti elettori critici verso gli eccessi della globalizzazione e l’invadenza delle religioni laiche in conflitto con la natura dell’uomo».

Per esempio?

«La formula genitore 1 e genitore 2 è quello più lampante. Oppure la religione ambientalista. Tutti vogliamo proteggere il pianeta, ma da questo a fare dell’ambientalismo una nuova religione ne passa. Ora l’essere umano è diventato il pidocchio della terra. Un altro esempio è il diritto a emigrare. Credo che il primo diritto sia stare bene dove si è nati. I cosiddetti nuovi diritti sono tutti imposti dall’alto».

Dov’è la differenza?

«I moderati e i conservatori difendono i principi del 1948, i progressisti hanno una concezione contrattualistica. E, guarda caso, quelli che propugnano sono diritti di morte o negativi: il diritto all’aborto, all’eutanasia, al suicidio assistito, il diritto a emigrare».

Anche il diritto all’adozione delle coppie gay attraverso l’utero in affitto è negativo?

«È un diritto per pochi privilegiati, a scapito del più debole, cioè il bambino. Sono pratiche di sfruttamento delle donne più povere, il cui corpo viene bombardato di ormoni per vendere gli ovuli o avviare le gravidanze. Non a caso i movimenti femministi americani che non sono di sinistra continuano a denunciarle. Ci sono studi, pubblicazioni, documenti, ma l’informazione mainstream li censura in modo che sembri che tutto il mondo femminile è favorevole all’utero in affitto».

Come spiega la crescita di popolarità di Giorgia Meloni?

«È brava. Se la ascolti le riconosci passione politica, competenza e coerenza. E tutto questo, nonostante sia donna. Checché se ne dica, in politica è ancora penalizzante».

Anche nel suo caso?

«È un’eccezione. Ci sono ministre, presidenti della Camera, ma i leader di partito sono sempre uomini. Giorgia Meloni è lontana dai vezzi della casta. Nel 2006 era già vicepresidente della Camera e l’ho sempre vista girare con la sua automobilina, senza scorta, accompagnata da qualche militante».

Perché da qualche tempo la grande stampa la elogia?

«Per seminare zizzania nel centrodestra».

Per creare una rivalità tra lei e Salvini?

«Sì, ma è una trappola nella quale non mi pare stiano cadendo. Bastava vedere il loro tweet insieme e sorridenti di qualche giorno fa, con i commenti dei militanti leghisti e di Fdi entusiasti della coppia. Un sondaggio dice che l’80% dei leghisti come seconda opzione voterebbe Fdi».

Giorgia Meloni, Daniela Santanchè, Isabella Rauti, lei: siete un partito a trazione femminile?

«Non direi. Siamo un partito dove ci sono donne con una propria storia e una propria visibilità che non sono frutto delle quote rosa, un’espressione mi provoca l’orticaria».

Oltre a lei, se ne sono andati Raffaele Fitto e Giovanni Toti, mentre Irene Pivetti e Alessandra Mussolini sono rientrate. Perché questo andirivieni in Forza Italia?

«Vedo più il percorso di andata che di ritorno. La Pivetti si è candidata, ma con il suo movimento, Italia madre. Alessandra è un’irrequieta, non credo sia un ritorno emblematico. Forza Italia arriva sempre seconda: dopo le Madamine torinesi, i SìTav, dopo i gilet gialli, i gilet azzurri. La maggior parte delle donne di Forza Italia sono di sinistra: la Carfagna è più attenta al Gay pride che alla famiglia, Michela Brambilla conduce battaglie animaliste estreme».

È così difficile creare un partito unico del centrodestra?

«Non mi sembra una prospettiva imminente. L’Italia è il Paese dei comuni e dei campanili, ci sono tante personalità spiccate. Il merito dei grandi leader è amalgamare le diversità in armonia. Com’era riuscito a fare Berlusconi e come ora ci fa intravedere quel tweet di Giorgia e Matteo».

Come si risolverà il contrasto sulle candidature per le elezioni in Puglia, in Campania e in Toscana?

«È un contrasto amplificato dai giornaloni che puntano a creare divisioni. Sono convinta che si troverà un accordo».

Cosa c’è di vero nei rumors che la vogliono candidata sindaco nel 2022?

«È un ritornello che ricorre da vecchia data. In politica ciò che avverrà fra 3 anni è fantascienza. Non c’è dubbio che io ami la mia città, più te ne allontani e più quando ci torni riscopri un rapporto unico e irripetibile».

È contenta che Padova sia Capitale europea del volontariato per il 2020?

«Molto. Credo sia il riconoscimento del senso di appartenenza a una comunità che in Veneto resiste e che si vede nelle eccellenze nella sanità, nell’istruzione e, appunto, nel volontariato. È una ricchezza che fa da filtro all’invadenza delle religioni laiche e che la politica deve proteggere e valorizzare, come sta accadendo in questa occasione».

Come fa una persona che milita in un partito di destra ad apprezzare il volontariato che, generalmente, guarda a sinistra?

«C’è il volontariato vero e c’è quello delle Ong che è una professione spesso pagata con stipendioni. Carola Rackete è una professionista. Gli alpini o la protezione civile devolvono gratuitamente tempo ed energie. Invece molti professionisti non agiscono per risolvere il problema, ma per perpetuarlo perché il loro lavoro arriva da lì».

 

La Verità, 16 febbraio 2020

«Berlusconi punti su Toti, Forza Italia non c’è più»

Alla fine dell’intervista Paolo Del Debbio mi regala i suoi libri di etica economica e fiscale. «Scrive parecchio», commento. «È il mio hobby, i figli sono grandi…». Toscano, 61 anni, studi filosofici e teologici, tra i fondatori di Forza Italia, Del Debbio è un intellettuale prestato alla televisione. A Rete4, in particolare, dove conduce Dritto e rovescio, talk show di politica e attualità con l’interazione del pubblico. «Le mie scuole sono state il bar di un quartiere popolare di Lucca e l’università Cattolica di Roma». Gad Lerner lo ha citato insieme a Giuseppe Cruciani, Mario Giordano, Maurizio Belpietro e Vittorio Feltri tra quelli da eliminare.

Lei è il primo della lista, una medaglia?

«Questa faccenda mi ha fatto una certa tristezza. Dopo la tristezza, però, mi ha fatto anche incazzare, perché oltre a giudicare bisognerebbe conoscere. Ha ragione Belpietro: ci sono persone che scherzano con le liste di proscrizione anche se hanno superato i 60 e negli anni Settanta finì male. Ma li capisco: per loro dev’essere un cruccio digerire il capitalismo e la borghesia essendone divenuti esponenti di spicco. Hanno dentro un vulcano che esplode contro gli altri più che contro loro stessi. Gli ci vorrebbe Sigmund Freud più che Carlo Marx: qualche seduta da un bravo psicanalista li aiuterebbe».

È in atto una guerra come in piena era berlusconiana?

«Forse questa è ancora più spietata, perché quella di allora riguardava sostanzialmente la giustizia. Oggi è rinato addirittura l’antifascismo che ricompatta tutti, a cominciare da Repubblica. Essendo in difficoltà nella ricerca di alleanze certi ambienti si dedicano alla costruzione del nemico. “Ombre nere” dopo il voto europeo è un titolo che avrebbe potuto fare un ragazzo delle scuole medie».

Il fascismo è il collante di una sinistra a corto di argomenti?

«È il collante dei nipoti dei partigiani, un fiume carsico che rispunta ogni volta che la sinistra è all’angolo. Solo per pudore non diedero del fascista a Matteo Renzi, ma sono sicuro che nei loro cenacoli lo dicevano perché faceva leggi più liberali che di sinistra».

Replicando a un sacerdote ospite di Dritto e rovescio ha detto che ha studiato teologia. Quando?

«Da ragazzo. Per la verità non ho mai smesso perché è una materia che mi piace. Sto anche lavorando a un libro che uscirà più avanti».

Argomento?

«Cosa può dire Dio a proposito del senso della vita».

La teologia?

«Tra i 16 e i 18 anni sono stato in seminario e ho avuto la fortuna di conoscere persone di grande statura intellettuale. Tutto partì da Dante Alighieri. Quando m’imbattei in una citazione cercai l’indirizzo di casa di Hans Urs von Balthasar, uno dei maggiori teologi del Novecento. Gli scrissi un biglietto e lui m’invitò ad andare a trovarlo. Pochi giorni dopo presi il treno per Basilea. Parlammo della teologia del sabato santo. Avevo 19 anni, può immaginare l’emozione. Dopo Von Balthasar ho conosciuto Yves Congar, Jean Marie Roger Tillard, Marie-Dominique Chenu (teologi francesi del Novecento ndr), studiosi che credo oggi si conoscono poco, perché mi pare che nei seminari si studia tanta sociologia e psicologia».

E il suo seminario?

«Finì perché la sera mi prendeva la malinconia. E quindi capii che forse non faceva per me e tornai in famiglia».

Viveva a Lucca?

«Sì, ma m’iscrissi in Cattolica a Roma. Siccome la mia famiglia non poteva mantenermi partecipai al concorso del collegio dell’università, arrivando primo. Tenendo una media elevata pagavo pochissimo, in più facevo il cameriere».

Dopo l’università?

«Continuai a studiare all’Istituto internazionale Jacques Maritain, sempre a Roma. Fin quando, tramite Gina Nieri, che sarebbe diventata mia moglie (direttore degli Affari istituzionali, legali e analisi strategiche di Mediaset ndr), conobbi Fedele Confalonieri: “Ha studiato tanto lei… Non so cosa farle fare, però la prendo perché abbiamo bisogno di persone che abbiano letto i libri”. Facevo la rassegna stampa con dei riassuntini che piacquero a Confalonieri, che mi fece suo assistente».

Adesso insegna allo Iulm, che ci fa su Rete4?

«Insegno dal ’99 Etica ed economia, un corso seguito da 400 ragazzi, mi hanno dato anche l’aula magna».

E Rete4?

«Per me è naturale starci. Le mie fonti sono la famiglia, il bar del quartiere, e l’università».

Il bar e l’università, il dritto e il rovescio?

«Esatto. Il modo migliore per fare televisione è saperne di più di quelli che intervisti. Poi ho un pubblico popolare ed è importante essere semplici, ma non banali».

È tra i fondatori di Forza Italia.

«Ho scritto il primo programma. Ora vedo che anche Antonio Martino, Giuliano Urbani, Pio Marconi, dicono di averlo scritto. Certo, hanno collaborato».

Scriveva anche i discorsi a Berlusconi?

«A quelli ho collaborato. Li scrivevano Gianni Baget Bozzo e Giuliano Ferrara».

Che cosa pensa del regolamento dell’Agcom a tutela di donne, migranti, gay e trans?

«Hanno trovato il modo migliore per emarginarli, creando dei ghetti. Si proteggono coloro che si ritengono fuori dalla normalità. Io continuerò a esprimere come sempre le mie opinioni. Anche perché, sopra il regolamento dell’Agcom, c’è l’articolo 21 della Costituzione e quindi penso sia incostituzionale».

Matteo Salvini è un pericolo per la democrazia?

«No e mi annoia anche l’argomento. Però non possiamo esimerci perché le anime belle di questo Paese che hanno una certa influenza lo sostengono».

Ha sbagliato a baciare il rosario?

«Io non l’avrei fatto. Dietrich Bonhoeffer (teologo luterano tedesco ndr) diceva che non bisogna crearsi un Dio tappabuchi da usare quando ci serve. Però riconosco il diritto di Salvini di estrarre il rosario. Anche perché in Italia abbiamo avuto per 40 anni un partito che si chiamava Democrazia cristiana e il cui simbolo era la croce. Quel partito ci ha lasciato un debito pubblico che è il terzo al mondo e una legislazione sulla famiglia ridicola a confronto, per esempio, di quella della laicissima Francia dove, se si hanno quattro figli, non si pagano le tasse».

Stavolta Salvini ha vinto senza bisogno delle piazze di Rete4?

«Salvini ha sempre fatto un mix di tre elementi. È presente sui social e in tv, anche perché in tv rende più di ogni altro, vedi il mio risultato di giovedì scorso (oltre il 6% di share ndr). Ma rende fisici sia i social che la tv con la presenza sul territorio».

Berlusconi che cosa ha sbagliato?

«Il problema è che non c’è più il partito. E quel poco che c’è non conta. Forza Italia ha tanti amministratori locali in gamba, ma dominano i parlamentari. È presente nei social e in tv, ma gli manca il territorio che ha sempre snobbato. E poi Berlusconi, da grande innovatore del linguaggio politico ne è diventato il maggior conservatore».

In che senso?

«Mi riferisco al programma. È vero che l’Italia ha ancora bisogno della rivoluzione liberale, ma va presentata con linguaggio contemporaneo. Anche la Chiesa ha i dogmi, che sono più di un programma politico, però si sforza di annunciarli in modo aggiornato. La fontana resta la stessa, l’acqua è sempre nuova».

Concorda con le critiche di Giovanni Toti?

«Le critiche di Toti sono condivise da molti in Forza Italia che non le esternano per questioni di convenienza personale. Fossi in Berlusconi su Toti ci punterei invece di fargli la guerra. Fino a poco tempo mi sembrava ci fosse un veto di Salvini e Giorgia Meloni su Berlusconi e Antonio Tajani. Dopo l’intervista a Dritto e rovescio di giovedì non ne sono più sicuro. Un centrodestra è possibile».

Un partito della nazione di centrodestra?

«Per quello ci vorrà un po’ di tempo».

Come valuta il fatto che, parlando di Europa, Salvini cita agricoltori, pescatori, artigiani?

«È la teoria del punto di vista. Una volta cita l’agricoltore, spesso l’uomo di periferia, altre volte l’artigiano o il cittadino che ha il campo rom sotto casa. Salvini fa sentire al potenziale elettore che legge le cose con i suoi occhi».

Come si affronterà lo scoglio del rapporto con l’Europa?

«Credo che la Commissione europea non potrà ignorare la consistenza del gruppo di parlamentari conservatori e sovranisti. È vero che non si è rovesciato il blocco di potere, ma è vero anche che popolari e socialisti sono stati ridimensionati. Conterà anche la maestria politica con cui i populisti faranno valere il consenso conquistato».

La Commissione vuole il rispetto dei parametri.

«Mi spiace essere d’accordo con Mario Monti, ma credo che togliere gli investimenti dal deficit ci aiuterebbe molto».

Se dovesse migliorare i palinsesti di Mediaset che cosa farebbe?

«Per carità, ho ricominciato da poco il mio programma… Non vedo in cosa Mediaset potrebbe migliorare… Quando decido di cambiare lavoro glielo dico».

Perché il suo programma era stato sospeso?

«Berlusconi mi ha detto personalmente che la politica non c’entrava nulla. Tutta Italia pensava il contrario».

L’aggressività di alcuni suoi colleghi nei confronti di Salvini ha ottenuto l’effetto contrario?

«Come insegna Maurizio Costanzo con Uno contro tutti se l’uno è forte allarga il consenso».

Chi sono i conduttori che predilige?

«Per scelta guardo poco la tv e non giudico i miei colleghi, salvo per legittima difesa. Come nel caso di Lerner, il primo ebreo al mondo che scrive una lista di proscrizione».

Letture preferite oltre ai saggi di filosofia?

«Diabolik, un’abitudine che ho da quand’ero ragazzo».

 

La Verità, 3 giugno 2019