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«Le case green riducono il Pil e non risolvono nulla»

La svolta verde avanza. E sembra non ci sia modo di fermarla, come dimostra la recente approvazione al Parlamento europeo della normativa sulle case green. Ugo Spezia, ingegnere nucleare di lungo corso, esperto di fonti energetiche, già dirigente Sogin (Società gestione impianti nucleari) e membro della Giunta esecutiva del Foratom (Forum atomico europeo), organismo consultivo del medesimo Parlamento europeo, non si accontenta del fatto che l’ultima versione appaia più morbida delle precedenti. «È una decisione che va rivista radicalmente», afferma, «perché è un’operazione antieconomica per il Pil dei Paesi membri e per i bilanci delle famiglie e delle imprese».

Ingegner Ugo Spezia, che cosa pensa della direttiva sulle case green con cui l’Unione europea punta ad azzerare le emissioni di gas serra entro il 2050?

«È l’ennesima imposizione finalizzata, in teoria, a contrastare i cambiamenti climatici. Ma è scientificamente dimostrato che i cambiamenti climatici non dipendono dalle emissioni di Co2. Anzi, è vero il contrario: l’aumento della temperatura media globale – che peraltro, resta tutto da dimostrare -determina l’aumento della temperatura media degli oceani, che a sua volta causa la liberazione in atmosfera di parte della Co2 disciolta negli oceani. Quindi è l’aumento di temperatura a generare la Co2, non il contrario. Ma c’è un’altra considerazione che dovrebbe indurre alla razionalità anche chi di scienza capisce poco. L’Europa è attualmente responsabile del 7% delle emissioni di Co2 a livello mondiale e le emissioni del resto del mondo stanno aumentando del 7% all’anno. Quindi, anche se l’Europa azzerasse oggi le proprie emissioni, entro un anno questa riduzione sarebbe annullata da quelle del resto del mondo. Alla luce di queste cifre, le pare che la politica climatica dell’Unione europea abbia senso?».

Questo lo devono dire le persone competenti come lei e lo giudicheranno gli elettori. È realistico l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas del 16% dal 2030 e del 22% dal 2035?

«Premesso che, come detto, non servirebbe a niente, l’obiettivo è realisticamente raggiungibile. Bisogna vedere a quale prezzo. La riduzione delle emissioni ha costi elevatissimi che vengono fatti pagare alle famiglie e alle imprese. Se l’economia europea continua a essere depressa come dal 2008 a oggi, quegli obiettivi rischiamo di raggiungerli senza fare nulla: sarebbe sufficiente la chiusura, ormai dietro l’angolo, delle industrie ad alta intensità energetica, le quali, dati i costi dell’energia, già oggi non sono più in grado di reggere la concorrenza internazionale».

Non male come paradosso. In Italia circa 5 milioni di edifici dovranno essere ristrutturati. Cosa pensa del fatto che, mentre non sono previsti incentivi pubblici, la spesa media prevista è di 60.000 euro per unità abitativa?

«E dove sono i 250 miliardi che servono? È evidente che le famiglie italiane non saranno in grado di fare fronte a un impegno tanto gravoso senza un sostegno pubblico. In realtà, servirà molto di più di quanto preventivato. Le ristrutturazioni “coatte”, così come hanno dimostrato le vicende del “superbonus edilizio”, scontano prezzi di mercato gonfiati. Grazie allo “sconto in fattura” i valori a preventivo sono raddoppiati, tanto paga Pantalone… L’improvviso incremento della domanda ha fatto salire alle stelle i prezzi dei materiali, che peraltro non si trovavano più. Con il risultato che la maggior parte degli interventi di ristrutturazione è costata più del doppio dei prezzi di mercato ed è tuttora incompiuta. Le stesse imprese edilizie, dopo l’abbuffata del superbonus, oggi sono in crisi per mancanza di commesse. Vogliamo ripetere quell’esperienza nefasta, pagata ancora una volta dai cittadini italiani?».

La nuova normativa stabilisce che dal 2040 saranno bandite le caldaie a gas. Decisione corretta?

«È la fotocopia di una legge che è stata introdotta qualche anno fa in Germania e che ha causato una sollevazione popolare contro il governo e la “coalizione semaforo” di maggioranza. Anche grazie a questa politica avventurista, i partiti che la compongono perderanno le prossime elezioni e chi subentrerà dovrà per forza rimuovere una scelta tanto sconsiderata. Scelta che, nel frattempo, i tedeschi sono riusciti a esportare anche in Europa. Pensi che in Germania è vietato l’uso del carbone, del gasolio, dei termo-camini a legna e delle stufe a pellet. Vietando anche il gas, i tedeschi sono costretti a scaldarsi con le stufe elettriche e con le pompe di calore, anch’esse elettriche, scontando un prezzo dell’energia che, grazie alla recente chiusura delle centrali nucleari, è praticamente raddoppiato e costringe la Germania a importare energia elettrica di origine nucleare dalla Francia. Grazie a queste scelte oggi l’economia tedesca è in recessione. Non è certo un esempio da seguire».

È un obiettivo realistico che gli edifici privati di nuova fabbricazione abbiano zero emissioni dal 2030 e dal 2028 quelli pubblici?

«Per gli edifici di nuova costruzione è un obiettivo realistico, ma solo scontando un notevole aumento dei costi di costruzione e, conseguentemente, un incremento ancora maggiore dei prezzi di mercato dei fabbricati. Chi pagherà?».

Come valuta il fatto che i nuovi fabbricati dovranno funzionare con fonti a basso dispendio energetico con l’installazione di pannelli solari?

«Ancora una volta, è questione di costi. Un impianto solare di notte non funziona e funziona pochissimo anche di giorno quando il cielo è coperto. I dati di esercizio dimostrano che un impianto solare, anche quando è posizionato in modo ottimale, funziona solo per il 15% del tempo. Il resto dell’energia deve essere prodotto in altro modo. Servono dunque impianti sostitutivi di altro tipo. Questo è il motivo per il quale l’investimento nel fotovoltaico e nell’eolico, che sono fonti aleatorie, non è sostitutivo ma aggiuntivo all’investimento in impianti convenzionali».

La tecnologia fotovoltaica presenta punti deboli o comporta effetti collaterali?

«Scontata l’intermittenza e le diseconomie, nessuno finora ha mai detto come saranno smaltiti i pannelli fotovoltaici quando giungeranno a fine vita. Tenga presente che già dopo dieci anni di funzionamento la loro efficienza energetica si riduce del 50% e che il materiale semiconduttore di cui sono fatti contiene quantitativi non trascurabili di arsenico».

Che cosa sono le cosiddette «comunità energetiche» che dovrebbero trarne vantaggio?

«Sono associazioni, promosse da una direttiva europea del 2018 e da una legge nazionale del 2019, di enti locali, aziende, attività produttive e commerciali e privati cittadini che si consorziano per dotarsi di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Una finalità apparentemente nobile che nasconde una verità moto diversa. Siccome le fonti rinnovabili sono lautamente incentivate dallo Stato – altrimenti costerebbero troppo e non le utilizzerebbe nessuno – e siccome gli incentivi pagati dallo Stato sono posti a carico di tutti i consumatori elettrici e costituiscono circa un quarto del costo delle bollette elettriche, il risultato di questa “nobile” iniziativa è che i “nobili” membri della comunità energetica non pagano il vero prezzo dell’energia elettrica che producono. Prezzo che invece è addebitato per intero alla collettività, attraverso gli oneri di sistema».

A trarne vantaggio saranno soprattutto le aziende produttrici di questa tecnologia?

«Che si trovano in Cina e che hanno già oggi difficoltà a garantire le forniture di componenti. Ma bisogna essere giusti: anche i furbetti di cui dicevo prima hanno il loro tornaconto personale…».

C’è il rischio che la casa green si riveli una forzatura come quella dell’imposizione dell’auto elettrica?

«Non è un rischio: è una certezza. Non credo che la direttiva europea sarà attuata. Al prossimo rinnovo del Parlamento europeo certe scelte dovranno essere riviste. E spero che anche il governo italiano faccia sentire la propria voce, senza i timori reverenziali, leggasi spread, cui i precedenti governi ci hanno abituato».

È troppo malizioso pensare che siccome l’economia della Germania è in difficoltà l’incentivo che deriverà all’industria del fotovoltaico possa favorirne la ripresa?

«Sarebbe una mossa intelligente, ma anche la Germania importa le tecnologie fotovoltaiche».

È una conquista di cui accontentarsi il fatto che, rispetto alla precedente, questa nuova direttiva consente un margine di due anni ai singoli Stati per adeguarsi e presentare un proprio piano per raggiungere gli obiettivi?

«Certamente no. La direttiva deve essere comunque rivista radicalmente».

Esistono altre fonti sicure per l’approvvigionamento energetico del nostro sistema edilizio? Quali sono e perché non vengono verificate?

«Gli edifici a uso abitativo, specie quelli delle grandi città, hanno solo due modi per soddisfare il loro fabbisogno energetico: l’elettricità proveniente dalla rete, non quella fotovoltaica che costa troppo e non sarà mai sufficiente, e il gas. Quest’ultimo ha consentito di sostituire, nell’ultimo secolo, prima la legna, poi il carbone e infine il gasolio, decisamente più inquinanti. Ha assolto in tal modo anche una funzione di salvaguardia ambientale. In un Paese come l’Italia, che paga da molto tempo l’energia elettrica più cara del mondo, visto che è fatta per circa il 50% con il gas e per il 15% con fotovoltaico ed eolico incentivati, non è possibile adottare la soluzione francese. I Francesi hanno risolto il problema grazie all’elettricità nucleare. Nelle case francesi sono elettrici sia i sistemi di riscaldamento che i sistemi di cottura, che costano poco sia dal punto di vista impiantistico che nei consumi. Noi italiani invece siamo strangolati da un lato dal prezzo del gas, tutto di importazione, e dall’altro dal prezzo dell’elettricità, prodotta in modo sconsiderato. La risposta alla sua domanda è, dunque, banale: è necessario produrre elettricità nucleare e sostituire con essa il gas negli usi domestici».

Complessivamente, che cosa pensa della svolta green voluta dall’Europa?

«È una scelta di carattere ideologico, imposta dai Verdi grazie alla loro posizione di ago della bilancia nelle coalizioni di governo di molti paesi. Ma è anche una scelta antieconomica che ha effetti drammatici sul Pil dei Paesi europei e, in particolare, sui bilanci delle famiglie e delle imprese».

 

 

La Verità, 16 marzo 2024