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Dialoghi, ritmo e ironia premiano The Gentlemen

Aristocrazia e criminalità, Downton Abbey e Pulp fiction, Paolo Sorrentino e Quentin Tarantino: a forza di citare e contaminare, Guy Ritchie ha messo in piedi un suo stile personale. Confronto tra opposti, dialogo tra antagonisti, galleria di orgogliose tribù. La formula raggiunge l’alta definizione in The Gentlemen (spin-off dell’omonimo film del 2019), miniserie in otto episodi visibile su Netflix di cui, oltre a dirigere i primi due, il regista di The Snatch e RocknRolla, solito sbizzarrirsi nei territori della criminalità britannica, è creatore e showrunner.

In superficie ci sono la rispettabilità e l’eleganza della sfarzosa tenuta di campagna dei duchi di Halstead, dinastia di antico lignaggio. Ma appena si scava dietro gli stemmi nobiliari, ecco spuntare le sorprese. La prima arriva quando, alla morte del capostipite, il secondogenito Eddie (Theo James), ufficiale dell’esercito, viene richiamato dal fronte e scopre dal testamento di essere l’erede del titolo e del patrimonio. Il primogenito (Daniel Ings), infatti, è dedito alla droga e causa di guai in serie. La seconda sorpresa è che nei sotterranei, in concessione a un clan di gangster, brulica la coltivazione della marijuana, fonte di proventi che consentono il mantenimento del blasone familiare. Tuttavia, all’improvvisa dipartita del patriarca, il fiorentissimo business scatena gli appetiti di una serie di loschi personaggi, decisi a impossessarsi della magione a ogni costo. All’astuto erede non resta che accettare la pericolosa ma intrigante alleanza con la cinica Susie (Kaya Scodelario), braccio operativo del gran capo del racket (Ray Winstone) che sta scontando una pena… in un magnifico resort.

È solo una delle numerose finte contraddizioni di questa storia che inanella colpi di scena tra sette di religiosi violenti, trafficanti che brandiscono machete, zingari spietati e boxeur che alimentano scommesse in nebbiose palestre. Pur con qualche inevitabile calo, Guy Ritchie e gli altri tre registi escogitano situazioni tra il grottesco e il visionario, plausibili grazie all’originalità della trama, alla qualità delle interpretazioni e alla precisione dei dialoghi. Questi nobili criminali compiono i più efferati misfatti sfoggiando abiti sartoriali, rispettando il galateo e sorseggiando whisky a lungo invecchiamento. Ma soprattutto esprimendosi in un linguaggio consono alla loro tradizione. Così, alla fine, la raffinatezza della confezione fa dimenticare l’oggetto del contendere tra le fazioni in gioco. Al punto che anche l’erede, deciso in un primo tempo a disfarsene, inizia a prenderci gusto.

 

La Verità, 29 marzo 2024