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«Il Papa a Gaza? Ascolterà lo Spirito Santo»

Teologo, già stretto collaboratore di Joseph Ratzinger nella Congregazione per la dottrina della fede e poi durante il suo pontificato, don Nicola Bux conserva autorevolezza e lucidità di giudizio di quella stagione. Ieri ha letto l’intervista alla Verità nella quale Carlo Freccero racconta il suo sogno di vedere papa Leone XIV andare a Gaza a sporcare la sua veste bianca con il sangue della guerra.
Don Nicola, anche lei è un sognatore?
«Ho letto e sono ammirato di quanto Freccero ha espresso con singolare profondità, individuando il nodo della vicenda che credo sia non appena di Gaza, ma del mondo intero perché quello che accade lì è, in un certo senso, emblematico di ciò che accade nel mondo. Condivido soprattutto la convinzione di Freccero per il quale una nuova narrativa possa venire dalla religione».
Che cosa le fa venire in mente l’immagine del Papa pellegrino disarmato a Gaza?
«Mi ricorda il bombardamento di Roma del 19 luglio 1943 e le macerie del quartiere di San Lorenzo dove Pio XII si recò per portare consolazione alla popolazione. E mi ricorda anche Giovanni Paolo II che si recò a Sarajevo. Diciamo che entrambi gli episodi giustificano in qualche maniera il sogno di Freccero».
Al fianco di Pio XII c’era un giovane Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI. La Chiesa sta dove il popolo è sofferente?

«Questo è il suo statuto fondativo. La parrocchia di Gaza è retta da don Gabriel Romanelli che appartiene all’istituto del Verbo incarnato. Questo istituto è famoso per stare nelle situazioni più emarginate del mondo. La parrocchia riunisce anche la presenza dei cristiani ortodossi. Don Romanelli ha ribadito che loro non si muoveranno da lì».
L’immagine di papa Pacelli con le braccia allargate tra la gente di Roma è rimasta nella storia.
«È così, certo. Tuttavia, all’indomani della sua elezione, nella messa in Cappella sistina con i cardinali, papa Leone XIV ha detto che “noi dobbiamo sparire perché Cristo rimanga”. Un’espressione molto importante. Che ci deve far riflettere perché purtroppo, nell’attuale sensibilità mediatica, una visita del Papa, qualsiasi Papa, avrebbe un forte impatto mediatico, ma potrebbe avere anche un contrappeso negativo, di appagamento dello spettacolo».
Freccero non la immaginava con questa inclinazione.
«
No, anzi. Ammiro la sua idea perché egli stesso ha detto che sarebbe espressiva di una religione che si fa carico del dolore dell’umanità a differenza delle altre due religioni, l’ebraica e l’islamica, incapaci di usare la misericordia perché prigioniere della legge del taglione, occhio per occhio, dente per dente. Dicendo che si è dimenticato il comandamento “non uccidere”, papa Leone ha voluto richiamare la radice della guerra. Non dobbiamo avere paura a dire che questa radice si chiama peccato. Quando Freccero dice che la religione cristiana ha conservato una integrità dovrebbe includere che bisogna avere il coraggio di dire che la causa prima delle guerre, degli omicidi e delle violenze si chiama peccato. Proprio papa Pio XII diceva che “il peccato più grande nel mondo d’oggi consiste nel fatto che gli uomini hanno cominciato a perdere il senso del peccato”».
Che immagine sarebbe quella di papa Leone XIV tra le macerie di Gaza?
«Sarebbe l’immagine replicata di Cristo presente nel mondo e nell’umanità sofferente. Certamente avrebbe una sua efficacia. Però, in realtà, non sarebbe nient’altro che un’enfasi di quello che la Chiesa già fa a Gaza. Don Romanelli, il patriarca Pierbattista Pizzaballa e gli altri religiosi orientali dimostrano che la Chiesa non abbandona il popolo».
È vero, la Chiesa è già presente in quella tragedia. Ma l’andarci di proposito del vicario di Cristo in terra potrebbe produrre anche un soprassalto emotivo?
«Non dubito che un atto del genere avrebbe tale impatto e porterebbe a riflettere. Tuttavia, occorre valutare ciò che rimarrebbe a carico di coloro che vivono lì tutti i giorni. I padri francescani, la comunità di cui fa parte il patriarca di Gerusalemme, da otto secoli sono nella Terra santa e, grazie alla loro minorità, al basso profilo, riescono a mantenere la posizione tra gli opposti contendenti. Perché, come mi hanno detto diversi cristiani del posto, il problema non è la guerra di Gaza ma la persistenza dei cristiani in quella regione».
Che cosa potrebbe smuovere una visita di papa Prevost a Gaza?
«Realisticamente, credo quasi nulla perché le parti non guardano al Papa come a un’autorità morale, ma come a un capo politico. Dai musulmani viene percepito come il capo dell’Occidente. Anzi, dalle fasce più estremiste, come il capo delle crociate. Gli ebrei non lo vedono come il vicario di Cristo, ma con sospetto, come una presenza che potrebbe interferire negli affari del Paese. Leone XIV dovrebbe calibrare l’iniziativa con i cristiani locali, soprattutto adesso che c’è una recrudescenza degli ebrei radicali contro i cristiani. In particolare, dovrebbe confrontarsi con il patriarca di Gerusalemme che è un profondissimo conoscitore del mondo ebraico».
Un gesto così potrebbe scalfire l’insensibilità di Benjamin Netanyahu e dei terroristi di Hamas?
«Forse sì, perché è vero che qualsiasi gesto dirompente può avere effetti imprevisti. Tutto è possibile. Il Papa potrebbe sentirsi ispirato a rompere degli schemi e a osare. Quando Paolo VI andò in Terra santa nel 1964 era ben conscio che sarebbe stato strumentalizzato. Però osò farlo dopo aver accuratamente preparato quell’azione. Le problematiche sono complesse».
Sarebbe un gesto profetico, una testimonianza oltre i protocolli della diplomazia che appartiene a una Chiesa del martirio?
«Quando si dice “gesto profetico” si dice Spirito santo. In passato vescovi e preti hanno promosso marce per la pace in luoghi di guerra, ma dopo tanti anni siamo al punto di prima. Il problema è la conversione del cuore dell’uomo a Dio, all’amore per il prossimo e alla grazia. Questo è un lavoro diuturno, non basta un gesto, per quanto eclatante. La Chiesa va in tutto il mondo a far conoscere il vangelo per far conoscere Dio. Questo cambia l’uomo perché quando si conosce e ama Dio non si fa la guerra».
Questa idea è poco realistica e nemmeno ipotizzabile?
«È ipotizzabile perché il Papa è assistito in modo speciale dallo Spirito santo. Se lo farà sarà perché si sarà sentito incoraggiato a farlo. Se non lo farà vuol dire che lo Spirito santo non gliel’ha suggerito».

 

La Verità, 21 settembre 2025

 

«Sogno il Papa che sporca la veste di sangue a Gaza»

Ci penso da giorni, settimane. E non se ne va, questo pensiero. Mi chiedo: che cosa accadrebbe se papa Leone XIV andasse a Gaza? Ora. Andasse fisicamente. E la sua veste bianca si sporcasse con il sangue della guerra? Dei morti ebrei e palestinesi, i due popoli che si odiano? È un pensiero che non se ne va: che cosa accadrebbe? Forse il mondo si fermerebbe. Tratterrebbe il fiato. Forse per un momento si fermerebbe anche l’odio. Lì, in quella terra. In quelle macerie dell’umanità. Dove la ferita è più profonda e purulenta, nella carne del mondo».

Da geniaccio visionario, Carlo Freccero immagina. Segue i voli della sua mente. È molto più che un ex vulcanico direttore di televisioni. Molto più dell’ex uomo di Silvio Berlusconi e dei primi palinsesti di Canale 5 e poi di La Cinq in Francia, di Italia Uno e Rai 2. Freccero è un intellettuale non allineato. In gioventù è stato credente, poi ha letto Jean Paul Sartre e si è allontanato. Oggi è un uomo di 75 anni che continua a studiare e a interrogarsi. A non arrendersi alle lascivie del nichilismo. E a farsi domande davanti alle sciagure del mondo. Il Covid. Le guerre. Le risposte delle ideologie con le loro pretese di aggiustare i popoli a immagine e convenienza delle élite. Risposte sempre più insufficienti e che, alla fine, con le loro agende e i loro reset, producono nuove violenze come abbiamo visto con l’assassinio di Charlie Kirk. E nuovi soprusi, come vediamo attraverso la manipolazione continua dell’informazione, ultimo caso i droni russi che avrebbero provocato la distruzione di un’abitazione in Polonia e armato l’operazione Sentinella dell’Est della Nato. E allora, dice Freccero: «Solo la religione, anzi, solo il cristianesimo può, forse, rappresentare una novità».

Ripartiamo da quel pensiero che non se ne vuole andare.

«Anzi, si precisa progressivamente in forza di altri fatti».

Per esempio?

«Gliene faccio uno molto importante, che hanno visto tutti, ma che l’informazione unica ha stolidamente ignorato».

La ascolto.

«Pietrangelo Buttafuoco, presidente della Biennale di Venezia, ha concluso l’ultima Mostra del cinema invitando a parlare in un videomessaggio il patriarca di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa. Il quale ha richiamato la cronaca di tutti i giorni e le immagini continue “che parlano di morte, dolore e distruzione. Siamo talmente pieni di dolore che sembra non esserci spazio per quello di altri, un clima di odio sempre più profondo nelle popolazioni ebree e palestinese”. E poi ha detto soprattutto un’altra cosa, il cardinale».

Quale?

«Che c’è bisogno di una nuova narrativa e di nuovi linguaggi per provare a sconfiggere questo odio».

La politica non ce la fa?

«No. E questo è l’altro fatto che consolida la mia riflessione. Lo vediamo tutti i giorni. Lo tocchiamo con mano. Anche Donald Trump con tutto il suo impegno, tutti i suoi interessi e tutto il suo narcisismo, non ce la fa. È chiaro, no? Netanyahu invade Gaza con la ferocia che vediamo e lui risponde che non sa e deve informarsi. È un modo ambiguo di camuffare la sua impotenza, di fatto lasciando andare le cose. Lo stesso sta accadendo con Putin e Zelensky».

E allora?

«Allora le parole di Pizzaballa hanno approfondito il mio tarlo. Solo la religione può essere questo nuovo linguaggio, questa nuova narrativa. Che cosa accadrebbe se Leone XIV andasse a Gaza, con la sua veste bianca. A sporcarla con il sangue della guerra e dei morti. Che cosa accadrebbe se andasse lì, se si inginocchiasse tra le macerie, pellegrino inerme, nel posto dove la ferita è più profonda e lacerante?».

Le rigiro la domanda.

«Penso che saremmo costretti a fermarci. Tutti. Penso che il mondo trasalirebbe. Avrebbe un attimo di stupore. Di sospensione. Forse lo avrebbe anche Netanyahu e lo avrebbero anche i terroristi di Hamas. Lo spero. Voglio crederci».

In questi giorni il Santo Padre ha detto che a Gaza c’è «una situazione inaccettabile» e che «Dio ha comandato di non uccidere».

«Esattamente. E la sua voce è la più forte e potente. Ma io mi domando, senza voler essere né presuntuoso né invadente – lo so che il rischio di sembrarlo è molto elevato ma va bene, rischio – mi domando: perché non far seguire un grande gesto, una grande testimonianza a queste parole, a queste esortazioni. In fondo, perché è stata geniale l’idea di Buttafuoco alla fine della Mostra del cinema? Perché, invece di appiattirsi sui soliti proclami e i soliti conformismi degli attori con la kefiah o dei patetici militanti della Flotilla schierati da una parte sola, ha coinvolto uno che vive lì».

In fondo, se vogliamo accentuare la visionarietà, la suggestione della sua idea, è il metodo dell’incarnazione cristiana.

«In un certo senso sì. Leone XIV ci metterebbe il suo corpo, la sua persona fisica. Da pellegrino disarmato. A me vengono in mente anche le crociate».

Questa sarebbe una crociata disarmata.

«Come posso dire: una crociata mistica».

Ricorderebbe anche un’immagine del Vecchio Testamento, quella di Abramo che sale al monte per il sacrificio di Isacco.

«Questo lo lascio dire a a lei. Però il riferimento al sacrificio ci può stare».

Per altro, sebbene nella sua prima intervista abbia precisato che è necessario fare una «una distinzione tra la voce della Santa Sede che promuove la pace e il ruolo di mediatore, che è molto diverso e non è altrettanto realistico», papa Leone XIV si è anche detto «molto consapevole delle implicazioni di pensare al Vaticano come a un mediatore».

«Infatti, anche questo mi fa sperare. Tuttavia, il pellegrino disarmato è più del mediatore. La mediazione appartiene ancora alla sfera della politica e della diplomazia. Che, certo, può essere molto importante, in una situazione come questa. Invece, la mia provocazione ha più a che fare con la sfera della testimonianza e del sacrificio».

Però io le faccio due obiezioni. La prima: noi siamo nessuno e ignoriamo quali implicazioni avrebbe ora un viaggio del Papa a Gaza. Ricordiamoci che stiamo parlando del Vaticano, stiamo peccando di superbia.

«È vero, è così. Siamo ignoranti e possiamo apparire anche arroganti, lo so. Ma direi in un altro modo: siamo ingenui. E l’ingenuità ha una sua purezza e una sua forza».

Ha la forza bambina della speranza, direbbe Charles Péguy.

«Mi dica la seconda obiezione».

Il Papa non può essere l’aggiustatore del mondo. Lo dice e lo ripete, il suo compito è innanzitutto testimoniare Cristo all’umanità, confermare la fede nelle persone.

«E il suo andare lì, nel luogo della croce, nel Calvario contemporaneo, non sarebbe una grande testimonianza a Cristo?».

Bisogna capire che cosa ne pensa il Papa, qual è il suo primo e vero compito.

«Non tocca certo a noi suggerire nulla, ci mancherebbe. Ma a me pare che il punto sia la differenza della testimonianza cristiana in un mondo in cui le altre grandi religioni vengono piegate all’odio. Invece, il messaggio cristiano è amore. La Terra santa è la terra delle grandi religioni monoteiste, ma solo il cristianesimo conserva questa integrità. Però, forse per reazione alle crociate o anche all’Inquisizione, si è intimidito, abbandonando il pensiero forte e scegliendo il silenzio. È proprio questo il paradosso».

Quale?

«Che in una fase di integralismi e fanatismi crescenti rimane zitta l’unica fede che predica amore anziché odio. La Chiesa ha sempre dato asilo ai fedeli di tutte le confessioni. Il patriarca è rimasto a Gerusalemme, non solo come scudo delle vittime, ma anche a testimonianza dell’identità cristiana, di accoglienza e amore. Mi spingo a dire che certamente anche Pizzaballa sarebbe felice della visita di Leone XIV».

Il cui pontificato sarebbe profondamente segnato da quel gesto.

«Penso di sì. Ma ripeto, con umiltà e ingenuità, non sarebbe un bel modo di caratterizzarlo?».

 

La Verità, 20 settembre 2025