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«Il Pd? Un missile che perde i suoi tre stadi»

Claudio Velardi ha preso le distanze: dalla politica e da Roma. Privilegia la famiglia, la sua fondazione Ottimisti & Razionali e la vita sana a Napoli. Ogni tanto però, l’ex Lothar di Massimo D’Alema, ora più vicino al mondo renziano, lancia un sasso dal suo blog Buchineri.org confermando la proverbiale lucidità analitica. Per esempio, nel post d’inizio 2023 si chiede: «Moriremo meloniani?».

Corre questo rischio, Velardi?

Il rischio c’è, perché, al momento, nello scenario italiano, Giorgia Meloni mi sembra la persona più ragionevole, saggia e misurata. In un contesto più generale, questo rischio non c’è perché sono globalista, mercatista, iper-laico.

Come mai le opposizioni, il Pd soprattutto, chiedono alla Meloni di avere quelle soluzioni che in tanti anni governo loro non hanno trovato?

È un atteggiamento tipico di quando si passa dal governo all’opposizione. Nel caso del Pd si nota di più perché è un partito di iper-governo. Non è stato per poco nella stanza dei bottoni. Detto questo, da molto tempo sono pregiudizialmente dalla parte del governo, di qualsiasi governo.

Perché?

Perché chi si mette in animo di governare il nostro Paese è un pazzo. Fare opposizione è più facile. Si possono dire un sacco di fregnacce, che poi, una volta al governo, non si potranno realizzare. Basta pensare al video della Meloni contro le accise nei carburanti. Governare è il mestiere più difficile del mondo, basta pensare alle riunioni di condominio.

La legge di bilancio fatta in un mese e con l’obbligo di abbattere i costi delle bollette è così brutta?

Assolutamente no, è stata un percorso obbligato dalla crisi energetica. Poi contiene qualche contentino alle categorie di riferimento, ma questo avviene in tutte le manovre.

C’è anche qualche provvedimento che apprezza?

Certo. Trovo positivi i ritocchi al reddito di cittadinanza e l’allentamento della politica dei sussidi a pioggia.

Lo spoil system va fatto o no?

Metterlo in dubbio è una sciocchezza. Chi va al governo ha diritto a scegliere persone di cui fidarsi alle quali far realizzare ciò che ha in testa. In questa polemica si combinano due fattori. Il primo è che la casta della pubblica amministrazione si ribella per principio allo spoil system; il secondo è che questo apparato è in gran parte di area Pd. Matteo Renzi portò a Palazzo Chigi Antonella Manzione, la capa dei vigili urbani di Firenze, che naturalmente non aveva i requisiti formali per quel posto. La battaglia contro la burocrazia e il deep state è il primo banco di prova di ogni governo.

Ha ragione il ministro della Difesa Guido Crosetto quando dice che di burocrazia si può morire?

Non c’è dubbio. Lui imbraccerebbe il machete, Renzi preferiva il lanciafiamme.

Luca Ricolfi ha scritto che, contestando il governo anche quando riprende idee care alla sinistra, tipo il perseguimento del merito, il Pd finisce per contraddire sé stesso.

Quando, tra i primi, il ministro Luigi Berlinguer parlò di merito fu massacrato dai sindacati. Nel Pd credo siano scioccati dalla perdita del potere. E siccome intuiscono che non sarà un fatto temporaneo, perdono anche di lucidità. Invece, il saggio dice che quando si perde, conviene non agitarsi troppo per non peggiorare la situazione e procurare piacere all’avversario.

Che cosa prevede per il congresso Pd?

Difficile farne. Il Pd è come un missile a tre stadi. Il primo stadio è la testa, costituita dal mega-apparato, le burocrazie, gli amministratori locali, i professionisti della politica. È la struttura di potere del partito, indifferente ai posizionamenti, in possesso di una buona cultura democratica e di un formale ossequio dello Stato e delle sue procedure, almeno fino a quando non si toccano i suoi interessi.

Il secondo stadio del missile?

È la pancia del partito. Cioè i militanti, sempre da galvanizzare con discorsi de sinistra, non perché ci credano, perché sanno che spesso vincono spostandosi a destra e digerendo Lamberto Dini, Romano Prodi e Matteo Renzi che pure li prendeva a schiaffi. Ma sono in perenne attesa della rivincita, votati a una causa storicamente sconfitta. Per capirci: nelle sezioni i ritratti di Lenin stanno a fianco di quelli di Enrico Berlinguer e Aldo Moro.

Il terzo stadio?

Sono gli elettori, il popolo ingenuo e speranzoso, che fiuta ciò che accade fuori e aspetta il leader messianico. È la componente che porta i voti che sono il carburante.

Come si può far ripartire il missile?

Sincronizzando testa, pancia e cuore. Mica facile. Con la testa si conquista il centro del potere, con la pancia si muovono le truppe e con il cuore ci si mette in sintonia con il mondo reale. Volendo essere generosi, si può dire che Bonaccini è la testa, la Schlein la pancia e Gianni Cuperlo forse l’unico a tenere insieme i tre elementi. Se fossi del Pd sceglierei lui.

Dario Franceschini sta con Elly Schlein.

È un uomo di apparato che prova a congiungersi alla pancia. Il suo è il calcolo cinico di un professionista della politica.

Ha detto che una come Elly Schlein arriva ogni dieci anni.

E meno male.

La parodia di Enrico Letta proposta da Maurizio Crozza dice: «Noi della direzione abbiamo molto sentito parlare di questo esterno… Come se davvero esistesse qualcosa fuori da noi…».

La testa del Pd è una gigantesca rete di apparati. Perdere il contatto con la vita reale è un dramma reale.

Infatti il numero degli iscritti precipita.

Gli iscritti crollano perché iscriversi non dà nessun potere in più. Se ti iscrivi sei carne da macello di un capocorrente e nei momenti cruciali sei scavalcato da quelli che votano nelle primarie.

Stefano Bonaccini è seguito dall’agenzia Jump Communication di Marco Agnoletto, la stessa che cura la comunicazione di Che tempo che fa, Elly Schlein dall’agenzia Social changes che ha gestito le campagne di Barack Obama.

Rispondo da comunicatore. Quando si fa politica la comunicazione deve svolgere solo una funzione di servizio perché i soggetti della politica sono i leader non i comunicatori. Quando un politico si affida a un comunicatore è già a rischio. Lo diceva Abramo Lincoln: «Potete ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre, ma non potete ingannare tutti per sempre».

La convince di più l’azione del cosiddetto Terzo polo?

Secondo me hanno troppa fretta. Sul piano delle proposte li trovo coerenti. Calenda ha presentato un programma di pochi punti. Renzi quando interviene in Parlamento mostra un’intelligenza superiore alla media. Alcuni dirigenti stanno crescendo, come Luigi Marattin. Ripeto: non devono avere fretta. Invece Calenda ha dato sei mesi di vita al governo e Renzi ha dato appuntamento al 2024, non si sa in base a cosa. Io dico: calma e gesso, facciamo governare la Meloni perché è questo che vogliono gli italiani.

Perché dalla fine della Dc nessuno è in grado d’interpretare la maggioranza silenziosa?

Probabilmente, i cosiddetti moderati lo sono un po’ meno perché, a causa delle difficoltà di questi anni, hanno cominciato a incazzarsi.

I ceti medi sono un po’ meno medi?

Le difficoltà di natura sociale li hanno avvicinati alle forze populiste. Ora, dopo l’ondata di rabbia con i 5 stelle e dintorni, vedo più ricerca di condivisione, più ripensamento. Tendenze che il Terzo polo e Forza Italia dovrebbero riuscire a interpretare.

Renzi e Calenda sono attrezzati a farlo?

Una leadership bicefala non dà troppe certezze. Da inguaribile romantico auspico un passo indietro di entrambi. Calenda potrebbe recuperare il suo profilo di amministratore, Renzi ha doti da leader che prescindono dalla necessità di governare. Facendo un passo indietro potrebbero favorire nuove leadership. Altrimenti, quanto resisterà la fedeltà dell’elettorato di riferimento?

Che impressione le ha fatto la foto di Giuseppe Conte in un hotel di lusso a Cortina d’Ampezzo dopo quella nella mensa dei poveri?

Non me ne frega niente, faccia quello che vuole. Conte continua a fare il populista, ma saranno i cittadini dello Zen di Palermo a mandarlo a casa quando vedranno che non riuscirà a difendere il loro reddito di cittadinanza. La gente normale capirà di essere stata turlupinata.

Cosa prevede per le elezioni nel Lazio e in Lombardia?

Al netto di un possibile ma difficile exploit di Alessio D’Amato nel Lazio, vincerà il centrodestra.

E lei aspetterà ancora l’Araba fenice della politica italiana o si ritirerà a vita privata come il suo amico Fabrizio Rondolino?

Non proprio come Rondolino. Continuerò ad aspettare l’Araba fenice, ma dando alla politica un’importanza sempre minore. Mi diverto di più a studiare le tendenze in atto nel mondo, che sono più positive di quanto ci raccontiamo.

 

Panorama, 18 gennaio 2023