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Su Netflix il comico Grillo batte il gemello politico

E invece no, Grillo vs Grillo che la piattaforma Netflix ha da pochi giorni aggiunto alla sua offerta in streaming, non l’ho trovato così fazioso e tendenzioso. Un’ora e 35 minuti di show in grandissima parte autobiografico e con limitate digressioni politiche. Nessun accenno, per dire, a Matteo Renzi, a Matteo Salvini, a Virginia Raggi. Silvio Berlusconi vi compare solo un momento, ma nella veste di tycoon di Fininvest, quando offrì al comico genovese la conduzione di Ok, il prezzo è giusto appena acquistato a una cifra iperbolica («il mio agente, Marangoni, seduto vicino a me, sudava»). Lo spettacolo è stato registrato in un teatro di Genova il 16 dicembre scorso, in platea ci sono Gino Paoli, il vicino di casa di Beppe Grillo e Luigi Di Maio, mai tirato in ballo. Ed è significativo il fatto che a trasmettere lo show sia una piattaforma americana e nessuno dei tanti editori nostrani, nemmeno La7 che ai grillini ha sempre dedicato parecchia attenzione. Sullo schermo gigante compare il leader del Movimento Cinque stelle, in giacca e cravatta, che pontifica sulla «democrazia che sa di pesce rancido», arzigogola genericamente sul futuro dei partiti e che, alla fine, si trasforma in un santone di bianco vestito, mentre lui, in platea, offre dei grilli seccati agli spettatori che li chiedono. Una cosa leggera. Di ciò che il politico sciamanico dice, nulla o quasi resta nella memoria. La parte più interessante e godibile è quella autobiografica, favorita anche dall’ambientazione genovese. Il movimento che nasce dall’insonnia, salutare e creativa, e dal conflitto tra depressione e desiderio di felicità che si concentra nel diaframma, «il nostro secondo cervello». Tutto si muove e si agita lì, e nelle conversazioni notturne con altri insonni. In alcune parti, lo show fa venire alla mente Volevo fare il ballerino di Fiorello, nel rapporto dialettico e conflittuale con il padre che lo vuole tenere in fabbrica e che non ride alle sue battute, ma poi se le rivende al bar con gli amici. Poi lo sbarco a Milano, nella stessa pensione frequentata da Paoli e De André, i primi spettacoli, fino alla chiamata in Rai. Che prova a imbrigliarlo, non devi parlare di nucleare (c’era il referendum): «Figuratevi, ho fatto il comico perché nessuno mi dicesse cosa potevo dire o non dire…». Si arriva all’incontro con Gianroberto Casaleggio e all’idea di «fare qualcosa per gli altri». Se da un comico e un imprenditore è nato un movimento politico – è la morale – tutto può succedere. Gli altri si alleano perché il M5s è un’anomalia non omologabile. Qualche volta la battuta è nebbiosa. Ma mai rabbiosa o iconoclasta. Certamente è uno show meno antisistema di tanti del passato, quando sbraitava davanti a slide fitte di organigrammi e assetti societari. Si ride, qualche volta amaro…

 

Lo show internazionale di Mika perfetto per Rai 1

Stile, eleganza, sensibilità. Alla fine vince su tutto la cifra del padrone di casa, il cantante showman libanese Mika, reduce da due ottime annate nell’X Factor di Sky, protagonista di questa nuova scommessa, una festa privata, un open party, un one man show con ospiti e amici per cantare e ballare e parlare di musica. Vincono il garbo e l’estetica del protagonista, un po’ Mago di Oz e un po’ Alice delle meraviglie, accompagnato dalla briosa Sarah Ferbelbaum, che vola leggero su qualche zeppa di cui è cosparso Stasera Casa Mika (Rai 2, ore 21.10, share del 14,4 per cento). Il monologo sul bianco di una carriera ferma che diventa colori nella sua prima canzone, quello sulle parole come ponti per costruire, il viaggio a Napoli e l’invito ai ragazzi del Sanitansamble per cantare, spericolatamente, Era de maggio, la giornata da tassinaro: c’è stupore e voglia di mettersi in gioco in questo racconto privato che sconfina nell’intimismo. Una biografia in musica impastata nella curiosità e nel talento. E pazienza per le ospitate di Pif e il suo promo al nuovo film, e di Marco Giallini che, per doveri aziendali, mette in scena se stesso, ovvero Rocco Schiavone, e la sua già stucchevole galleria di rotture di coglioni. E pazienza pure per l’omaggio un po’ forzato a Ugo Tognazzi e al Vizietto. Quando lo introduce, parlando di un caro vecchio amico, ci si aspetta il ricordo di Dario Fo, invece no: ma è difficile immaginare qualcuno di più lontano da Mika di Tognazzi. La leggerezza del padrone di casa passa sopra anche al cotroneismo latente (Ivan Cotroneo autore, insieme con lo stesso Mika, Tiziana Martinengo e Giulio Mazzoleni) e al fatto che, a ben guardare, un varietà così sfarzoso e nobilmente kitsch sembra essere nel giorno e forse nella rete sbagliata. Ha un impianto da sabato di Rai 1 questo show internazionale targato Ballandi, che cita Mina e Pino Donaggio al primo duetto con Malika Ayane, e la tv di Renzo Arbore, maestro di colori e goliardia, convocato per l’imprimatur al varietà «altro», capace di aggiornare le Sorelle Bandiera con la prostituta trans della strepitosa Virginia Raffaele: «Che fai Mika, ci provi? Tanto non ci crede nessuno». Più a suo agio la popstar quando c’è di mezzo il racconto in musica, come con la cantautrice italo-americana LP (Laura Pergolizzi), e soprattutto con Sting, splendido sessantacinquenne riconosciuto mostro sacro dopo il concerto per la riapertura del Bataclan a un anno dalla strage. Gran serata e grandi ospiti: non facile mantenere questo livello di partecipazioni nelle prossime serate. Però, auguri.

 

La Verità, 17 novembre 2016