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È nato prima Veltroni o Fazio? Il falso buonismo

Il rosolio gronda dalle prime righe. «Qual è il primo programma che hai visto da bambino?». Risposta: «L’allunaggio». Ma non si capisce se in diretta o in differita, nei tg del giorno dopo. Però il ricordo della mamma che gli dice «Siamo andati sulla luna», quello è «nitido». Walter Veltroni che intervista Fabio Fazio, ieri su Sette del Corriere della Sera, è un gioco di specchi. Un trionfo di emulazione reciproca. Un ping-pong tra gemelli. Del resto, Fazio è stato svezzato a pane e mainstream democratico e Veltroni si è abbeverato a decenni di interviste faziesche. Leggere le cinque pagine che danno la copertina al magazine non aiuta a capire se è nato prima il veltronismo o il fazismo. Ci terremo il dilemma. L’intervistatore intervista l’intervistato con lo stile che l’intervistato ha reso un marchio di fabbrica. Anzi, un vero e proprio format, quelli che lui disprezza perché predilige la tv artigianale. Mah. In realtà, sembra che l’intervista alla Fazio esista e si propaghi, come certifica quella di cui parliamo. Clima rilassato, complicità, zero domande scomode. Come detto, si comincia con la dolcezza di Fazio bambino e la mamma. Poi eccolo ragazzo guardare Immagini dal mondo e la sigla che «oggi definiremmo multirazziale», la tv in bianco e nero, la Carrà e Mike Bongiorno, Enrico Vaime e Angelo Guglielmi, ma non Carlo Freccero. Il vero cruccio è aver perso la capacità di sognare perché «il sogno non porta utili. Si è sostituito il sogno, il senso di giustizia e di solidarietà, con la convenienza», garantisce il conduttore ligure che nel 2023 lasciò la Rai nel bel mezzo di un cambio di dirigenza per firmare un contrattino con Discovery da 10 milioni in quattro anni (più 30% rispetto a quello con la tv pubblica). Però, il gemello gli chiede «quanto ti ha fatto soffrire lo sfratto dalla casa Rai?». Risposta un filo cervellotica: «Quello che mi ha deluso è stata la disponibilità ad acconsentire alla prepotenza». Com’è agli atti, l’amministratore delegato in quota Pd, Carlo Fuortes, non gli propose il rinnovo del contratto e lui firmò per la concorrenza il giorno prima che si insediassero in Viale Mazzini Roberto Sergio e Giampaolo Rossi. Verosimilmente, la Rai gli avrebbe offerto una cifra più contenuta e lui avrebbe dovuto scegliere tra il portafoglio e la sbandierata appartenenza alla tv pubblica. Però, si sa, oggi non siamo più capaci di sognare perché si cerca solo il guadagno. O la restituzione degli spiccioli anticipati a Mick Jagger per pagare un parcheggio. Insomma, niente. Prima il veltronismo o prima il fazismo? Forse, prima di tutto il buonismo. Ipocrita.

 

La Verità, 27 settembre 2025