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«Io e Ricci, la più longeva simbiosi della satira»

Lorenzo Beccati non si vede mai, ma è popolarissimo. Forse non di nome, ma per la voce, che è quella del Gabibbo di Striscia la notizia, di cui è autore storico. Genovese di nascita, residente ad Alassio, la città di Antonio Ricci con il quale lavora da quarant’anni, Beccati si sta ritagliando uno spazio anche come scrittore di thriller storici, grotteschi, gialli. L’ultimo romanzo, pubblicato da Oligo editore, s’intitola Uno di meno, ed è ambientato nella Genova del 1600.

Quando e perché ha cominciato a scrivere?

Quando facevo cabaret nei teatrini con il mio gruppo, i Cospirattori, scrivere era una necessità. Parliamo degli anni Settanta. Visti i buoni risultati, altri comici mi hanno chiesto di farlo per loro. Ho collaborato a lungo con Gigi e Andrea e Pistarino. Ci sono autori che suggeriscono idee e fanno una scaletta. Io e Ricci siamo della vecchia scuola, ligi al copione parola per parola. Una puntata del Drive in era una roba di 50-60 pagine. Siccome poi ho sempre amato i libri, a un certo punto ci ho provato.

Perché romanzi storici?

All’inizio erano libri umoristici… Poi ho cominciato a incuriosirmi alla storia di Genova, ai carruggi… Ho scoperto il 1600, il secolo delle Repubbliche marinare e della nascita delle banche. Ho consultato testi antichi, frequentato gli archivi di Stato e ora mi sento a casa in quell’epoca. Uno dei primi romanzi, Il guaritore di maiali, vendette discretamente ed è stato tradotto in Germania. Così, ho proseguito.

Dietro la trama di fantasia c’è molta documentazione?

La base è la storia reale. Nell’ultimo romanzo c’è un Doge durato appena 40 giorni, il dipinto di Bernardo Strozzi della ragazza che spiuma le oche, «il genovesino», un tipo di coltello… Un attore scrive il monologo e poi improvvisa. Anche nel romanzo storico c’è ambiguità, realtà e fantasia si mescolano come nella comicità. Nelle note finali preciso cos’è reale e cos’è finzione.

Quando trova il tempo di scrivere?

Durante l’anno sarebbe impossibile. Ma d’estate, ad Alassio, cedo raramente al piacere del mare e mi dedico alla scrittura.

Serve a decantare lo stress del lavoro di autore tv?

Diciamo che è un lavoro più interiore, mentre quello di Striscia è collettivo, di condivisione di testi che innescano il monologo del comico o chiudono i servizi. Striscia è centrata sull’attualità, io mi rifugio nella storia. Sono diversi anche i tempi: pochi minuti in tv, orizzonti ampi nei romanzi. Anche se i miei non sono bestseller, ho un pubblico di fedelissimi. Ultimamente capita spesso che qualcuno di loro mi chieda di firmare copie dei miei primi libri.

Con la letteratura cerca la visibilità che il lavoro di autore non dà?

Assolutamente no. Innanzitutto perché come autori si è conosciuti. E poi, se mi fosse interessata la visibilità, avrei potuto continuare a fare il cabarettista. Mi è più congeniale stare dietro le quinte. Infine, interpretando il Gabibbo sono conosciuto pur non apparendo. Anche Antonio, che sul palco era molto bravo, quando s’impose Beppe Grillo scelse di cambiare vita e concentrarsi sui testi. Dal Drive in a oggi sono passati quarant’anni: salvo pochissime eccezioni, come autori si dura di più dei comici.

È molto duraturo anche il suo matrimonio professionale con Ricci.

Ci siamo conosciuti in vacanza, ma non ci siamo subito frequentati. All’inizio degli anni Settanta Antonio si esibiva con sua sorella Cecilia nel teatrino di Piazza Marsala a Genova. C’erano anche Paolo Poli e Paolo Villaggio. Io iniziai al Teatro Instabile, si chiamava così in polemica con lo Stabile di Genova e anche perché ci cacciavano spesso. C’erano Tullio Solenghi e Beppe Grillo… Non avevo ancora 18 anni.

Come arrivò a Drive in?

Scrivevo i testi di Pistarino e Ricci mi chiese di collaborare con continuità. Era il settembre del 1984, da allora lavoriamo gomito a gomito.

Che esperienza è lavorare con uno così?

È imparare da un genio, da una persona che va a caccia della verità. Anche quando montiamo i servizi, c’è sempre grande rigore. Ricci è uno che la satira ce l’ha «pronta beva», come diciamo noi.  Conosce i meccanismi della comunicazione come nessun altro. Satira e comunicazione sono una vena inesauribile nella quale gli autori hanno grande possibilità di inventare e creare satira.

Mai pensato di fare nuove esperienze?

E perché mai? A qualcuno può sembrare che esageri, ma il lavoro a Striscia è appagante.

Conducete una vita monacale.

Iniziamo alle 9,30 e finiamo alle 21,30, dopo la messa in onda. L’indomani ricominciamo da capo, come le casalinghe. Dove sono gli inviati, cosa scrivono gli autori, a chi porta il Tapiro Valerio Staffelli… Stiamo sempre sul pezzo, il telefono non si spegne mai. Arrivano centinaia di segnalazioni al giorno.

Anche nei migliori matrimoni ci sono incomprensioni e contrasti: voi?

Discussioni su lavori da correggere, quelle sì. Ma screzi veri mai. C’è grande rispetto tra persone che si vogliono bene. Se non fosse così, all’età che abbiamo e non avendo figli potremmo anche separarci…

Qual è stata la soddisfazione più grande come autore?

Impossibile dirlo perché è un lavoro gruppo. Non lo potrebbe dire nessuno. Abbiamo fatto tante campagne importanti, da Vanna Marchi alle mascherine anti Covid, ma è tutto condiviso.

Come dividerebbe le percentuali del successo di Striscia la notizia: genialità di Ricci, lavoro di squadra, documentazione…

La direzione e la capacità di Antonio conta per il 50%. La ricerca maniacale della verità il 20%. L’appoggio del pubblico e le segnalazioni esterne il restante 30%. Il contributo della gente è importante per trovare le notizie e partire con le campagne o i tormentoni.

Cosa fate quando arrivano le segnalazioni?

C’è un gruppo di persone che le vaglia e fa le prime verifiche. Poi incarichiamo gli inviati sul territorio di approfondire. Il 90% delle segnalazioni è vero. Infine, c’è il lavoro degli autori, una dozzina in totale.

Quanto conta il talento e quanto l’applicazione?

Il talento non si insegna, l’applicazione sì. Bisogna stare sul pezzo, lavorare di lima. Ci sono anche gli impiegati della risata perché la battuta, in fondo, è una formula matematica. Ma è il talento a fare la differenza.

Ricci legge i suoi libri?

È il primo a riceverli e in pochi giorni mi dà il suo giudizio. Non ama i gialli, Il pescatore di Lenin è il suo preferito. Una volta mi ha preso in castagna su un cantante lirico che avevo descritto come tenore, invece era un baritono.

Ha già in mente il prossimo?

Mi sono incuriosito al filetto alla Voronoff, scoprendo che Serge Voronoff fu un famosissimo chirurgo e sessuologo, un uomo molto ricco del secolo scorso. Si era occupato del ringiovanimento sessuale maschile attraverso l’innesto dei testicoli di scimpanzè. Ha vissuto in un grande castello a Ventimiglia fino al 1939, quando fu costretto a fuggire in America. Tornò a guerra finita e rimise a posto il castello bombardato. Ora è un bad&breakfast di lusso.

Ha mantenuto i rapporti con il gruppo di comici dei primi anni?

Con Grillo non ho mai avuto rapporti diretti. Ogni tanto vedo quelli del Drive in, seguo gli spettacoli di Solenghi, di Pistarino, di Sergio Vastano e leggo i libri di Enzo Braschi. Mi manca molto Giorgio Faletti.

 

Panorama, 27 aprile 2022

«La tv è come l’Aids, se la conosci la eviti»

Al piano terra della palazzina che ospita Striscia la notizia, Antonio Ricci ha fatto realizzare una mostra permanente del programma. Lui lo chiama «il museo» e, in effetti, una rapida visita si rivela significativa. Ci sono un Gabibbo cameraman, un tapiro con le immagini dei 66 conduttori, centinaia di piccoli schermi e le fotografie di tutti coloro che hanno lavorato e lavorano dietro le quinte: «Essere una vera squadra è il nostro segreto». Soprattutto, ci sono due installazioni che danno l’idea di che cosa sia il programma di punta di Mediaset. La prima è un’intera parete con le riproduzioni delle copertine dell’Espresso con le donnine generosamente discinte affiancate da una gigantografia di Carlo De Benedetti benedicente, il San Carlone. La seconda è un totem in plexiglass alto fino al soffitto contenente le querele collezionate negli anni. Oltre 300 procedimenti giudiziari dai quali il padre del tg satirico di Canale 5 è sempre uscito innocente, con la sola eccezione del fuori onda «Vattimo-Busi», di cui ha vinto il ricorso alla Corte di Strasburgo. Lo si apprende leggendo Me tapiro (Mondadori), l’autobiografia di Ricci con seguente intervista di Luigi Galella, scritta per celebrare le trenta edizioni di Striscia: una miniera di aneddoti, riflessioni e sberleffi da principe degli irregolari. Uno per tutti, in un capitolo intitolato Destra e sinistra che cita Norberto Bobbio, Ricci racconta la fondazione di un movimento antecedente ai 5 stelle chiamato 5S, ovvero «Si può essere di Sinistra Senza Sembrare Stronzi». «Ho ricevuto numerose adesioni nella base, però tra i vip non ho sfondato. Eppure non chiedevo di non essere stronzi, solo di non sembrarlo». Nel mirino finiscono, tra gli altri, la regista Francesca Archibugi, i girotondi e il movimento «Se non ora, quando?», lo sceneggiatore e scrittore Francesco Piccolo, il comico Maurizio Crozza, Fabio Fazio, Massimo D’Alema, Bianca Berlinguer… Detto questo, Ricci si confessa di sinistra.

Partiamo dal libro: con quella inquietante foto di copertina, il titolo adatto sarebbe stato un altro, vediamo se indovina?

«Non voglio indovinare, sono allergico ai quiz».

La copertina del libro di Antonio Ricci con la foto di Giovanni Gastel

La cover del libro di Antonio Ricci con la foto di Giovanni Gastel

Glielo dico io: Mephisto, scritto con il ph.

«Il titolo non mi appartiene, tapiro non mi sento mai nella vita. Infatti, in origine la t era una croce. Tutto pensato per la tomba: la foto funebre su porcellana e la scritta ottonata con quella t…».

Sulla tomba Mephisto non starebbe bene.

«Ho uno zio prete ultra novantenne che ogni volta che sente i commenti sulle mie diavolerie minaccia un comunicato per dire che sono una brava persona: “No zio, ti prego, non farlo, mi rovini l’immagine”».

Un po’ se l’è rovinata da solo, nel libro affiora una parte buona.

«Non sono riuscito a tenerla nascosta, ma nessuno ci crederà. Se si fa raccontare quello che dicono di me don Luigi Ciotti e don Antonio Mazzi non si stupirà quando verrò assunto in cielo in trenta secondi».

Che delusione. Lei che con Drive in è stato l’ispiratore occulto del bunga bunga…

«Una palla sesquipedale. Dicono che Gad Lerner sia a pezzi. Mi diverto sempre nelle polemiche, ma quella sul corpo delle donne ha fatto il record. Pur di stabilire il collegamento hanno persino allungato la durata di Drive in fino alla vigilia della discesa in campo di Berlusconi. Dopo anni di elogi di Beniamino Placido e Umberto Eco, improvvisamente Drive in era l’origine del male».

Ma lei si divertiva.

«Assolutamente. Ho mandato una velina irriconoscibile alle manifestazioni di “Se non ora, quando?” con le foto dei giornali che esibivano il corpo delle donne discinte. Le partecipanti (Anna Finocchiaro, Serena Dandini, Rosy Bindi…) erano molto arrabbiate: “Non si può, è uno scandalo”. Peccato che si trattasse di pagine di Repubblica».

Cos’ha pensato quando ha sentito Luca Zingaretti ospite di Paolo Bonolis dire: «Con i pacchi quest’uomo ha inventato una fascia oraria televisiva»?

«Che anche il commissario Montalbano sbaglia o che fosse stato fisicamente posseduto da Marilyn Manson in camerino».

Non c’è più religione. Senta, Ricci: perché non ha mai fatto televisione?

«Ho sempre pensato che chi va in video ha una vena di follia che a me manca. Ne ho altre, eh. La tv è una stanza nella quale non ho mai voluto entrare perché poi è difficile uscire. Quando diventi un personaggio televisivo non riesci più a smettere e se devi farlo finisci per pensare che ci sia un complotto contro di te».

La vena di follia è un mix di narcisismo e ottusità?

«Gianni Boncompagni diceva che l’ottusità non è indispensabile, ma serve. Poi devi avere anche grande coscienza di te ed essere pronto a recitare il personaggio».

La tv cambia il modo di percepire la realtà: per strada guardi se gli altri ti riconoscono.

«L’ho visto con Grillo quando dovevamo fare Te lo do io il Brasile. Siccome laggiù non lo riconoscevano entrava in ansia. Raccontano anche che quando Gianni Agnelli era a New York c’era un addetto che chiamava prima il ristorante avvisando dell’arrivo: mi raccomando…».

C’è una rubrica su Striscia dedicata ai nuovi mostri, il materiale abbonda?

«Altro che. I mostri sono l’esasperazione dei personaggi. Per importi devi tirar fuori le tue caratteristiche più mostruose».

Insomma, lei vive di televisione ma la disprezza?

«Vengo da una generazione che era molto allarmata sulla comunicazione televisiva. È una questione di dosi. Con Striscia abbiamo sempre cercato di fornire le istruzioni per l’uso».

Per smontarla.

«Per svelarne i meccanismi».

Disprezza anche chi ci va, li guarda dall’alto in basso?

«Al contrario, li guardo dal basso in alto. Cerco di fargli l’endoscopia».

Li manovra, li guida, o preferisce dire che li smaschera?

«Capita di smascherare una maschera, sotto la quale magari ce n’è ancora un’altra».

Se incontrasse Flavio Insinna in aeroporto cosa gli direbbe?

«Fai la hostess? E come seconda domanda: perché ti vuoi così male?».

Cioè: perché reciti una maschera in tv, o perché sbrocchi dietro le quinte?

«Lui sbroccava perché non si seguiva il copione stabilito. Il gioco dei pacchi funzionava se alla fine c’era l’alternativa tra 500.000 euro e un fagiolo, se hai tre lenticchie e un barattolo di colla la suspense scema. Questa alternativa si costruiva con l’espediente dei numeri fortunati del concorrente. Insinna si è messo in situazioni più grandi di lui. È entrato in una crisi per esondazione, iniziata con quella terribile trasmissione sui Mondiali di calcio, acuita con Dieci cose di Veltroni al sabato sera su Rai 1. Quando Affari tuoi è stato sospeso perché perdeva da Striscia e da Paperissima Sprint è andato dalla Berlinguer a parlare di volontariato e qualcuno lo vedeva già candidato premier della sinistra».

La televisione è incorreggibile?

«È come l’Aids, se la conosci non ti uccide».

Modifica l’identità dei viventi?

«Di quelli che ci lavorano. Sull’immaginario collettivo invece ha influenza ridotta. Chi parla di immaginario è un truffatore. Ha presente: “L’immaginario delle veline ha rovinato l’Italia”? Mi chiedo: che programmi avrà trasmesso Fidel Castro per aver ridotto le ragazze cubane a quel modo?».

Chi vive in tv è praticamente morto, parole sue.

«Mummificandosi in un personaggio si autotumulano, non possono variare. Per questo la tv di sinistra ha i suoi Santisubito: Fabio Fazio, Bianca Berlinguer, Nanni Moretti».

Anche lei pensa molto alla morte, come il suo amico Paolo Villaggio.

«Per Villaggio era una gag. Il mio rapporto con la morte è risolto da molti anni».

Nel senso che?

«Se ho una cosa me la godo finché dura. Quando mi sveglio al mattino sono ben contento di esserci e non mi pongo il problema della morte. Sono molto epicureo: quando ci sono io lei non c’è e se c’è lei non ci sono più io».

Di sicuro la televisione ci sopravvivrà. Piersilvio Berlusconi ha detto che la tv generalista non morirà mai.

«È un profeta. Il profeta di Cologno. Sapevo che ha la sua setta di adepti, adesso sappiamo che è un fior di profeta. C’è anche un pettegolezzo, forse una fake news, che racconta di averlo visto camminare sulle acque di Portofino».

Che cosa pensa dell’idea del reality permanente tutto l’anno?

«Per noi è una pacchia. Però di fronte a certe fiction viene da dire viva i reality. Questo dà l’idea dell’abisso in cui siamo sprofondati».

Il libro comincia con una caramella indigesta da bambino, prosegue con suore indigeste e altre allergie: la sua televisione è un tentativo di digestione postuma?

«Vuol dire un fuoco d’artificio di rutti?».

Voglio dire: la visione del mondo capovolto provocata da sua madre che la mise a testa in giù per farle sputare la caramella, la reazione all’autorità delle suore, il rifiuto del degrado ambientale e civile.

«La mia tv non è fatta solo per distruggere, una prerogativa della Premiata ditta demolizioni di cui peraltro vado fiero, ma anche per dare un aiuto a chi cerca di rammendare questa Italia scalcinata e truffaldina».

Ho scoperto che fate persino del bene, tipo: avete dato la scintilla al Banco alimentare.

«Non solo. Abbiamo fatto la campagna contro l’infibulazione delle donne musulmane. Oppure in difesa della filiera alimentare made in Italy. Alla proclamazione della pizza napoletana patrimonio dell’Unesco il testimonial era il nostro Jimmy Ghione. Poi le campagne contro i maltrattamenti di animali… Ci sono attività visibili e attività nascoste e non sbandierate».

Avevate una segreteria telefonica per le emergenze dei suicidi.

«Ci chiamavano la vigilia di Natale o a Capodanno. Magari noi avevamo registrato e non riuscivamo a intervenire. Una volta abbiamo fermato in tempo una donna con due bambini… Poi le forze dell’ordine ci hanno consigliato di mettere un indirizzo di posta elettronica per le richieste di aiuto. Temevo che potessimo diventare un alibi per il gesto definitivo: non mi hanno ascoltato nemmeno quelli di Striscia».

Ricci con Boldi e Villaggio, con Grillo ai Telegatti e con Umberto Eco

Ricci con Massimo Boldi e Paolo Villaggio, con Beppe Grillo ai Telegatti e con Umberto Eco

Dopo Drive in e Striscia, gli spin off Veline e Velone hanno avuto successo. Gli altri programmi, tipo Giass e Cultura moderna un po’ meno.

«Veline e Velone hanno sempre battuto la finale di Miss Italia. Cultura moderna è stato un grande successo per le due stagioni che è andata in onda d’estate. È stata anche venduta all’estero. Ne abbiamo fatta un’edizione di alcune puntate in prima serata (Cultura Moderna Slurp) che ha avuto un ottimo riscontro. L’esperimento di piazzarla l’anno scorso su Italia 1, in concorrenza con Striscia, pur avendo raggiunto i risultati prefissati è stato faticosissimo, girando in uno studio fermo da tempo e accumulando ritardi deliranti. Giass è stato un tentativo innovativo, che aveva qualche appesantimento. Ho fatto anche Odiens, Lupo solitario, Matrioska. Quei due sopra il varano, con Lello Arena ed Enzo Iacchetti, ha ancora il record di ascolti per le sit-com. Paperissima Sprint è spesso la trasmissione più vista della giornata. Ho fatto tre edizioni di Fantastico, Te la do io l’America e poi Te lo do io il Brasile…».

Da anni vive in un residence di Milano 2.

«Gliel’ho detto: sono già morto, tumulato. Guardo fuori, vedo il laghetto dei cigni, morti anche loro, e mi sembra lo Stige».

Vorrei vedere cosa c’è nell’appartamento del residence…

«Niente, una valigia. È la tradizione marinaresca della Liguria, gli uomini vanno per mare settimane, mesi. La camera del residence è più accogliente della cabina di una barca».

Anche Carlo Freccero vive in residence: è una perversione di voi savonesi situazionisti? Non è che siete così rompicoglioni perché vivete in residence?

«Probabile».

A proposito di mare, perché c’è l’onda nella grafica di Striscia?

«Il ricciolo dell’onda ricorda il punto interrogativo che simboleggia il dubbio. Il mare è movimento, cambia di continuo, non dà mai certezze».

Quant’è costato il tendone di Striscia che ha fatto tirar su perché si vedesse dalla tangenziale?

«È un atto di ribellione».

A che cosa?

«Al grigiore di questa landa di realismo sovietico dove sembra si fabbrichino brugole. Quando tre anni fa mi è stata consegnata questa palazzina tetra ho cominciato a stressare arredatori e scenografi perché colorassero pareti, sale, androni. Il tendone non so quanto sia costato, senz’altro meno di un’ospitata di qualche star. In più verrà ammortizzato negli anni e non cambieremo scenografia per i prossimi 20. Quando lo toglieremo da qui andrà ad Arcore per l’esibizione finale».

Mi svela una perversione da telespettatore?

«Una volta c’era Luca Giurato. Mi mancano le tv locali. Con quello che riesco a vedere al residence…».

Sarà attrezzato.

«Insomma, non ho Premium. Neanche ad Alassio ce l’ho, vedo solo SkyTg 24. Anzi, voglio chiedere i danni a Murdoch perché sono entrato in un tunnel… Ecco, guardare Agorà su Rai 3 senza riuscire a riconoscere gli ospiti è una discreta perversione. I politici che si credono fighi vanno nei talk della sera. Ad Agorà, da quello che dicono, non riesco neanche a capire di che partito sono».

Tre figlie femmine: che padre è ed è stato Antonio Ricci?

«Come tutti quelli che hanno falsa coscienza dico che ho supplito alla quantità con la qualità del rapporto».

Che cosa pensa d’istinto quando vede Renzi?

«Penso che si sta arrabattando e ha perso la luce negli occhi. Succede quando ti accorgi che quelli che ti dovrebbero supportare sono i primi a pugnalarti e sono quelli in grado di farti più danni».

Di chi parla?

«Di quelli che erano con lui e hanno fatto un altro partitino. Renzi non conosceva l’astio che sono in grado di produrre le vecchie soubrette della politica».

Se vuoi rottamare D’Alema, D’Alema te la giura. Per lei Renzi è più vittima che autolesionista?

«Ha pensato che fosse possibile cambiare verso e ha sottovalutato che quello che manca nel partito ex comunista è proprio il senso della comunità e del bene comune. Per cui ora c’è solo un individualismo parossistico e paralizzato da tutti i distinguo del mondo».

Il suo istinto quando vede Berlusconi, Ercolino sempre in piedi?

«Il mio istinto è che tutte le critiche sull’immaginario edonistico degli italiani e sull’uso delle tv a scopi di potere si sono rivelate la più gigantesca delle fake news. La rinascita di Berlusconi è dovuta non ai suoi conflitti d’interesse, ma alle divisioni e agli autogol della sinistra».

Sempre d’istinto, che cosa le suscita il suo amico Grillo?

«Quando lo vedo in mezzo a quelle folle mi scatta un atteggiamento protettivo: torna a casa, torna a fare spettacolo. L’ha detto più volte… Poi mi rendo conto che, come un blob, da quelle folle trae energia e godimento».

Come andranno le elezioni?

«Bisognerebbe chiederlo al profeta di Cologno».

Andrà a votare?

«Di solito vado, ma devo dire che fanno di tutto per tenermi a casa. Non ho ancora deciso».

Una cosa che avrebbe voluto fare e non le è riuscita?

«Una cosa che avrebbe cambiato il destino dell’Italia. Quando facemmo Te la do io l’America e Te lo do io il Brasile, con Grillo ci eravamo ripromessi che girare il mondo per la tv sarebbe diventata la nostra pensione. Dai 60 ai 70 anni avremmo fatto programmi in esterno, sulle varie nazioni. Prima che morisse Enzo Trapani, Rai 3 aveva già raccolto le due serie, l’America e il Brasile, in un programma dal titolo Grillo turista per caso. Qualche anno dopo, Rai 3 fece fare Turisti per caso a Syusy Blady e Patrizio Roversi, che andarono avanti per molte stagioni. Così saltò la nostra pensione e Grillo è stato costretto a buttarsi in politica».

La Verità, 17 dicembre 2017