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Il Vaticano? Un girone dantesco per Sorrentino

Dopo The Young Pope Paolo Sorrentino aveva due strade: mettere ordine nel calderone del Vaticano orfano(?) di Pio III-Lenny Belardo (Jude Law) o accentuare il disordine creativo. È fuor di dubbio che egli abbia imboccato la seconda, quella più estrema, eccentrica, febbrile. In The New Pope, la serie originale Sky da ieri sul canale Atlantic e on demand, creata e diretta dal regista premio Oscar, prodotta da The Apartment – Wildside, parte di Fremantle, la specificità del Vaticano c’è, ma è quasi un pretesto. Pre-testo. Un punto di partenza per le licenze e licenziosità poetiche, etiche, estetiche del regista-sceneggiatore-produttore esecutivo. La Cappella Sistina, piazza San Pietro e i giardini vaticani sono il luogo per eccellenza; il contrario del non luogo contemporaneo e della società liquida, come fa intendere il sempre più strategico (e stratega) cardinal Voiello (Silvio Orlando) parlando della diversità dei tempi della Chiesa. La Santa Sede è il luogo del Logos e Sorrentino lo sa o, per lo meno, lo intuisce. Intuisce che la Chiesa è un’istituzione dell’altro mondo, una realtà umana attraversata dal divino, e ne è affascinato, soprattutto per l’estetica di liturgie e riti. Tuttavia, faticando a penetrarne il mistero e a dare verticalità al racconto, la messinscena si dibatte tra vero, verosimile, falso, onirico, fantasy, virtuale, allucinato, psichedelico…

Così The New Pope è più di un sequel di The Young Pope, con personaggi nuovi e sganciamenti narrativi. E le situazioni nelle quali lo spettatore viene introdotto sono spin off del reale. Francesco II che apre il Vaticano ai migranti e parla di Chiesa povera, lo è di Bergoglio anche se muore precocemente, citando papa Luciani. Mentre la situazione in cui si vengono a trovare Lenny Belardo e John Brannox (John Malkovich) è un lungo parallelismo dei due pontefici attuali. Con le licenze che dicevamo. E con le licenziosità, parola del moralismo novecentesco, con il quale il regista continua a giocare muovendo le suore infoiate, la realpolitik di Voiello, il dandismo di Malkovich. Il quale, più che interpretare papa Giovanni Paolo III, gli presta le proprie mollezze, accettando l’iniezione dialettica dello stesso Sorrentino che, sempre per gioco, gli mette in bocca discorsi pregnanti e sincopati da guru moderno, nel terzo episodio ce ne sono ben due. Perché l’altra novità di The New Pope sono i tempi dilatati della narrazione che innesta la sintassi felliniana con accenni lynchiani. Il risultato finale è un Vaticano dantesco assolutamente imprevedibile, fucina di esotiche sorprese, rigorosamente da non prendere sul serio.

 

La Verità, 11 gennaio 2020