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Il Milan: ecco cosa può fare la cancel culture nel calcio

Lo sprofondo rossonero che cos’è se non la rappresentazione da manuale di ciò che produce la cancel culture anche nel calcio? E, per giunta, realizzata grazie all’intelligenza artificiale? I fatti son lì da vedere. Il Milan, composto di ottimi giocatori, continua a inanellare sconfitte con squadre che gli sono tecnicamente inferiori. Dinamo Zagabria, Feyenoord, Torino, Bologna, Lazio: per stare alle ultime, umilianti prestazioni. La società vincitrice di sette Champions League è fuori da tutte le competizioni che contano. Lo è stata immediatamente dalla Serie A, dove naviga a metà classifica. E lo è dalla stessa Champions, dopo la prima selezione. Cambiano gli allenatori, da Stefano Pioli a Paulo Fonseca a Sergio Conceiçao, non gli ultimi arrivati, ma i risultati non migliorano, anzi. E non basterà certo la nomina di un direttore sportivo, Igli Tare o Fabio Paratici, a risollevare dallo sprofondo.
Raramente si è assistito a una contestazione tanto straniante quanto quella attuata domenica a San Siro dalla Curva Sud: vuota nei primi 15 minuti, e poi, mentre i giocatori si affannavano in un’improbabile divisa rossoverdegiallo (dopo quella fucsia e quella neroverde, cancellazione anche cromatica?), riempita da tifosi autori di cori contro la proprietà, la dirigenza e i giocatori stessi. «Se non vedremo cambiamenti significativi nelle prestazioni e soprattutto nell’atteggiamento, arriveremo ad abbandonarvi totalmente, lasciandovi soli con la vostra vergogna», avevano scritto annunciando la presa di distanza dal club. Il primo bersaglio è il fondo RedBird di Gerry Cardinale che nell’agosto 2022 ha acquisito il pacchetto di maggioranza da Elliott. Poi i vertici al completo: Zlatan Ibrahimovic, plenipotenziario di Cardinale senza aver mai studiato da dirigente, l’ad Giorgio Furlani, il presidente Paolo Scaroni che sopravvive ai vari cambi azionari. Risparmiato Conceiçao che, sebbene non inappuntabile nella gestione delle partite, dà l’anima più di certi calciatori e ha rispetto dei tifosi («Sono ferito come loro»), vero patrimonio della società.
Gran parte degli specialisti sentenzia che il Milan manca di leadership e che è una squadra costruita male. Fuochino. Scorrendo la formazione ci si accorge che ci sono tre nazionali della Francia (probabilmente la più forte del mondo), due nazionali portoghesi (come gli ultimi due coach), uno olandese, il capitano degli Stati Uniti, un nazionale messicano che ha sostituito il capitano della Spagna (vincitrice degli ultimi europei), un nazionale serbo, l’ex capitano del Manchester City e nazionale inglese. Come fa una squadra così a difettare di leadership e di esperienza? Non sarà proprio l’eccesso di blasone a rendere il Milan un squadra molle, priva di identità e di senso di appartenenza? Non sarà proprio la composizione cosmopolita e multietnica a renderla solo una compagine di figurine? Una bella senz’anima?
Interpellato sull’argomento un paio di giorni fa, Carlo Ancelotti ha scolpito: «Mandare via Paolo Maldini, con tutti i difetti che può avere, è mandare via un pezzo di storia. Paolo è un uomo di calcio e rappresenta il Milan, hanno fatto un errore a mandarlo via». Nemmeno lui era perfetto e nella scelta di alcuni giocatori qualche errore l’aveva commesso. Tuttavia, la storia non si cancella. Si revisiona, se occorre. Ma va salvaguardata, tanto più se costellata di trionfi iniziati 60 anni prima con il padre Cesare.
Si dirà: la proprietà di un fondo americano è più sensibile alle logiche della finanza che all’identità e ai colori di un club, sebbene glorioso. Per chi punta al profitto, figure storiche possono risultare scomode. Ma gli effetti della cancellazione sono sotto gli occhi di tutti. Anche l’Inter, per guardare dall’altra parte del Naviglio, è di proprietà di un fondo americano (Oaktree). Ma ha affidato la presidenza a un manager di esperienza come Beppe Marotta, ha una filiera dirigenziale in gran parte italiana e ha un tecnico e diversi giocatori italiani.
L’uomo più ascoltato da Cardinale è invece Billy Beane, l’ex direttore sportivo degli Oakland Athletics di baseball che a inizio secolo ricorse a sua volta ai consigli di Paul DePodesta, esperto di sabermetrica, scienza statistica in base alla quale scelse giocatori sconosciuti e poco costosi infilando una serie di 20 vittorie consecutive (la storia è narrata in Moneyball, film del 2011 con Brad Pitt nei panni di Beane), salvo non confermarsi nelle stagioni successive. È stato Beane a suggerire il licenziamento di Maldini nel giugno del 2023 per privilegiare le analisi degli algoritmi al posto di valutazioni che si ritenevano troppo soggettive. Meno di un mese dopo Sandro Tonali, uno cresciuto con il mito di Franco Baresi e Rino Gattuso, già ribattezzato «capitan futuro», è stato venduto al Newcastle per 58 milioni (non gli 80 accreditati per addolcire lo sciroppo). Intervistato pochi giorni fa da Repubblica sulla sua cessione, Tonali ha raccontato: «È un mondo con tanti soldi: per i calciatori e per i club. Quando dici no, deve esserci anche il no del club. Nelle trattative è difficile che ci siano due no o due sì: c’è sempre un sì e un no. Nelle grandi squadre, con tanti soldi in ballo, la bandiera diventa un’utopia». Così, un altro pezzo dello zoccolo duro, un altro mattone di milanismo è stato smantellato. Il Milan al quale sono stato abituato io, ha detto Paolo Condò, non l’avrebbe venduto e avrebbe sempre giocato con Tonali e altri dieci.

Nell’ultima uscita pubblica Cardinale ha promesso che avrebbe portato il Milan a «vincere con intelligenza». Purtroppo, grazie alla cancellazione perpetrata, persevera a perdere con ottusità.

 

La Verità, 4 marzo 2025

Boomer torna allo stadio dopo anni, con suo figlio…

Erano anni che non andavo allo stadio e tornarci mi ha regalato una nuova ulteriore consapevolezza del mio inguaribile boomerismo. Del mio essere uomo di un altro tempo. Lo stadio, la partita di calcio, anche vissuta da tifoso, è un’esperienza coinvolgente, in un certo senso totalizzante. Ancora più ricca se interpretata con gli occhi aperti e un minimo spirito critico. Ero in compagnia di mio figlio millennial, più tifoso di me. Poco alla volta, la diversità delle sue reazioni è risaltata come un evidenziatore sul mio straniamento. Com’è noto, allo stadio non c’è solo il fatto agonistico. C’è tutto il contorno, l’arrivo all’impianto sportivo, che per me era quello di San Siro per la partita fra Milan e Lazio. Ci sono il popolo dei tifosi, i colori delle tribune, gli striscioni, i cori.

Bene, prima di entrare nel catino urlante di passione, ecco la prima notazione. Le magliette indossate dai tifosi. Sono espressione di generazioni ed ere calcistiche diverse, quasi sempre superate, archiviate da tempo. Si leggono sulle spalle delle persone, dove compaiono i nomi dei protagonisti. Kakà è uno degli idoli tuttora più gettonato. Ma poi ecco Kessie, Saelemekers, De Keteleare, Tonali. Tutta gente che non è più al Milan. Qualcuno rimpianto, altri meno. Donnarumma non se ne vedono. Molti Ibrahimovic, invece. E persino, Menez. Preistoria. Anche mio figlio ride di gusto. Qualcuno di mezza età si autoproclama, orgoglioso, Nesta. Poi sì, ci sono anche quelli aggiornati: Theo, Calabria, Giroud, Rafa Leao. Idoli che permangono. E qualcuno di nuovo nuovissimo: Pulisic. Così ci si rincuora, pensando che alla fugacità del tempo si oppone il perenne presente. E la speranza di migliorare che sempre anima il cuore del tifoso.

Finalmente si accede alle tribune e il posto assegnato è particolarmente felice. Primo anello rosso. La vista è ottima, il prato brilla lì davanti, i giocatori non sono pedine minuscole com’erano quando le scrutavo, ragazzo del terzo anello. I cori rimbombano, bellissima la coreografia di bandiere e striscioni. Sul corridoio che separa il nostro settore dalla tribuna che sta proprio a ridosso del campo di gioco è un via vai di persone che cercano il loro posto. O di quelle che cercano birre e panini. Scopro che allo stadio il pubblico ha molta sete e molta fame. Nella tribuna riservata ai vip spunta Zlatan Ibrahimovic. Poi arriva il Ct della Nazionale Luciano Spalletti. Osserverà soprattutto la Lazio, rifletto puntiglioso, visto che nel mio Milan di italiano c’è solo il capitano Davide Calabria, da qualche tempo uscito dal giro. Ibra e Spalletti catalizzano le attenzioni dei presenti. Poi finalmente la partita comincia e il traffico sul corridoio davanti si dirada. Ma non del tutto. Ogni tanto, per continuare a seguire un’azione di gioco, tocca allungare il collo per non restare impallati da qualcuno che transita reduce dal bar con boccali di birra, piadine e tranci di pizza come fossero tanti camerieri.

Intervallo. Spalletti esce dal box riservato e si avvicina ad altri spettatori vip. C’è Zlatan, come dicevo. C’è Paolo Scaroni, presidente del Milan. Ci sarà qualcuno che mi sfugge. Gli steward faticano a far scorrere il pubblico che si arresta catalizzato, cellulare alla mano per immortalare le celebrities. Molte donne hanno lineamenti pronunciati e indossano canottiere aderenti. Sta per cominciare il secondo tempo, i giocatori sono già schierati con la palla al centro, ma la muraglia di magliette onomastiche non si sgretola e, spalle al prato, innalza ancora gli smartphone per fotografare i famosi in tribuna. Il pallone ha cominciato a rotolare sul prato. A quel punto, rompo gli indugi. Ragazzi, guardate che la partita è dall’altra parte, non in tribuna. Va bene, va bene… ciondolano la testa e si allontanano. Mio figlio: ma papà, lascia che la gente faccia quello che vuole.

All’inizio del secondo tempo, il Milan entra in campo più determinato. Per i primi cinque minuti la Lazio non supera la metà campo. I cori si fanno più potenti e incalzanti. È un crescendo sia nella qualità del gioco che nella spinta dagli spalti. Quando, con una formula abusata, si dice che i tifosi sono il dodicesimo giocatore in campo… Infatti, la pressione raggiunge l’apice. E, al quarto d’ora, con una bellissima azione sulla sinistra che coinvolge quattro giocatori, il Milan passa. Più tardi, procurato da uno slalom vertiginoso di Leao, arriva anche il raddoppio. La festa è piena. I colori si accendono ancora di più. Sulla fila davanti a noi una famiglia, marito, moglie, bambino e figlia adolescente cantano. La più scatenata è la signora, conosce tutti i cori. Il marito è più compassato. La figlia adolescente si scatta raffiche di selfie, rivolta alla tribuna (non al campo di gioco).

La partita è finita. Per oggi il Milan è ancora primo in classifica (in condominio con l’Inter). Il popolo sciama euforico sul piazzale dello stadio con vincolo storico che i club presto abbandoneranno (scegliendo impianti fuori dal Comune a causa dell’insipienza della giunta cittadina). Una donna con le gambe storte da calciatrice parla animatamente con il tizio al suo fianco che inalbera la maglietta di Maldini