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«Se il premier punta al Colle, elezioni inevitabili»

Giulio Tremonti è stato ministro delle Finanze e dell’Economia nei governi Berlusconi. L’ultimo suo libro, edito da Solferino, s’intitola Le tre profezie – Appunti per il futuro dal profondo della storia.

Professor Tremonti, sul futuro del Paese si staglia l’elezione del presidente della Repubblica: come andrà a finire?

«Sulla elezione del Capo dello Stato si stanno moltiplicando articoli e memorie, libri e aneddoti, tutti comunque riferiti al passato, alla Prima e alla Seconda repubblica, ovvero riferiti a un passato felice o semi-felice che non c’è più. Oggi la realtà è diversa e drammatica ed è quella che è stata descritta con terribile lucidità da Rino Formica: “Un ciclo si è chiuso. Oggi c’è un Parlamento decomposto e incontrollabile”».

Insomma, finirà male?

«Bertolt Brecht scriveva: “Beato il Paese che non ha bisogno di eroi”. Oggi è pure peggio, data l’assenza di eroi. È per questo che pare diretta al naufragio la nave della “concordia” varata magicamente per notturno artificio nel febbraio scorso. Un naufragio nelle torbide acque della politica nazionale, e fra poco nelle tempestose acque di quella internazionale. Con una specifica: è un naufragio non per tragedia, quasi per commedia».

In che senso?

«Si sta ripetendo la storia dell’altra Concordia, la nave da crociera che naufraga dopo un lunghissimo inchino, con l’astuta discesa del suo comandante. Senza che ci sia un ufficiale che invita al rispetto del dovere, intimando di tornare a bordo, nel pieno di quello che era e che è ancora un possibile naufragio».

Dopo aver tentato di scendere, il comandante che tornasse a bordo godrebbe ancora di autorevolezza e di carisma?

«Non credo alla discesa, credo al senso di responsabilità».

In assenza di eroi e dentro un quadro così fosco, a cosa possiamo appellarci?

«Nella Repubblica di Platone la politica è definita come la forma superiore della tecnica perché per fare politica devi conoscere insieme la struttura della nave, l’equipaggio, i fondali, le correnti, i venti e le stelle. Semplificando, oggi la nave è il Palazzo, l’equipaggio è il popolo, il resto, i fondali, i venti, le correnti e le stelle sono il mondo circostante».

Cominciamo dal Palazzo.

«Ci sono tre palazzi: Montecitorio, Palazzo Chigi e Quirinale. Nel fare le elezioni del presidente della Repubblica, il primo palazzo, il Parlamento, che rappresenta la volontà popolare, è stato sempre centrale. Il secondo palazzo, il governo, è sempre stato quasi del tutto irrilevante e, comunque, mai in concorrenza alternativa con il terzo».

Come invece sembra accadere oggi?

«Speriamo di no».

Passiamo al popolo.

«Nella nostra storia repubblicana è stata sempre rispettata la centralità del popolo, ma in questa fase c’è l’impressione di una marginalizzazione del popolo da parte del palazzo. Si ha la sensazione che non sia sovrano, ma sovranizzato».

Può spiegare?

«Giorno dopo giorno aumenta l’evidenza, e non solo nei sondaggi, delle paure e delle sofferenze crescenti che investono sempre più larghi strati della popolazione. Contemporaneamente, c’è la sensazione di una sovrana indifferenza».

Dove la vede?

«Gli esempi non mancano e crescono di giorno in giorno. Da ultimo si riducono le tasse a chi ha di più e non ha chi ha di meno. Le mascherine sono un costo imposto a tutti, anche senza sgravi per chi ha di meno. I rincari non sono solo sulle bollette dell’energia, ma ormai su tutto il carrello della spesa. Così che emerge dal remoto passato la figura del “caro pane”. Si continua a parlare di scostamento di bilancio, ma la parola scostamento serve a occultare la realtà di un pubblico indebitamento sempre meno sostenibile».

Poi ci sono i condizionamenti esterni, i fondali e le correnti…

«Sullo scenario internazionale vediamo che la storia, che secondo i globalisti doveva essere finita, sta tornando con il carico degli interessi arretrati. E sta tornando, accompagnata dalla geografia lungo un arco di crisi che va dal Pacifico fino ai confini dell’Europa. Dalla pandemia che continua fino all’emersione dei nuovi conflitti. Nell’euforia della cosiddetta ripresa si evocano gli anni Venti, gli anni della Montagna incantata nella quale Thomas Mann prefigurava: “Il denaro sarà imperatore, ma solo fino alla completa demonizzazione della vita”. La Montagna è del 1924, la crisi finanziaria del ’29 è venuta subito dopo. Dopo quella del 2008 si è pensato che sono stati confusi la causa con gli effetti. Si è fatto girare l’helicopter money con il whatever it takes che non è stato un pronto soccorso, ma una lunga degenza. Si è creata e si sta ancora creando una massa infinita e incontrollabile di finanza».

A pagare le conseguenze sarà la nostra Italia?

«L’alternativa non è tra chi va al Quirinale e chi va al governo, ma tra questo governo e le elezioni».

Nessuno parla di elezioni.

«Ma nel caso in cui il comandante scendesse dalla nave, è fortemente improbabile che un governo composto da para-zombie possa subentrare all’attuale».

Che cosa intende per governo di para-zombie?

«È fortemente improbabile che, per quanto capaci, i ministri attuali possano sopravvivere in una Zombieland politica, interna ed esterna».

Qual è il suo giudizio sul governo attuale?

«Nel discorso sulla fiducia pronunciato in Senato il 17 febbraio scorso gli obiettivi erano tre: la vaccinazione come mezzo per l’uscita dalla pandemia, il Pnrr e soprattutto le grandi e necessarie riforme, per le quali si citava Cavour».

Il suo giudizio?

«Oggi è difficile sostenere che la pandemia è a termine. Mi pare particolarmente difficile sostenerlo osservando il labirintico, caotico, apparato dei quasi divieti e quasi permessi che si stanno sviluppando sulla Gazzetta ufficiale. La formula quasi era quella tipica di Bisanzio. La speranza è che anche il virus si metta a leggere la Gazzetta ufficiale».

Ma come? L’altro giorno il ministro per la Pubblica amministrazione Renato Brunetta ha detto che l’Italia è il modello seguito da tutti, a cominciare dal green pass.

«Omissis».

Passando al Piano nazionale di ripresa e resilienza?

«I 51 punti del Pnrr sono attualmente e, per la verità, piuttosto confusamente, solo sulla carta. In questo contesto, oggi e domani, la forza del governo dovrà prevalere sulla triplice burocrazia: europea, nazionale e regionale. E se è difficile per questo governo, tanto più sarà difficile per un altro governo. Per quanto riguarda le riforme Cavour style vale lo stesso».

Il comandante vuole scendere anche perché ritiene insubordinato l’equipaggio?

«Nella Terza repubblica francese il pubblico si beava per il fatto che i leoni divoravano il domatore. In questa nostra repubblica lo scenario è meno cruento, ci sono modi diversi e per certi versi più subdoli per creare difficoltà al domatore».

Intanto c’è da risolvere il problema del terzo palazzo, il Quirinale.

«La sovranità appartiene al popolo. Come detto, dev’essere chiaro che l’alternativa è tra questo governo e le elezioni».

Il centrodestra sta rischiando di sprecare l’occasione di decidere il prossimo Capo dello Stato?

«Anche su questo omissis».

C’è chi si preoccupa che il futuro presidente sia una donna.

«Inviterei a rileggere La Repubblica di Platone dove le qualità politiche si valutano oggettivamente e non per gender. D’altra parte, nel G7 di Carbis Bay del maggio scorso, c’è ripetuto l’invito a superare lo status sessuale auspicandone la fluida mutevolezza come ai tempi di Eliogabalo: uomo di giorno, donna di notte. Naturalmente, sto scherzando».

È preoccupante lo scenario d’indifferenza che sottolinea tra la situazione della popolazione e le priorità dei palazzi.

«Le forze politiche – forze, si fa per dire –  sono concentrate sul Quirinale. Tuttavia, un vero grande problema rischia di essere sottovalutato. È l’emersione, più che prevedibile già prevista, di forme di protesta, che vanno ben oltre i no-vax, pronte a confluire in un movimento simile a quello che portò alla nascita dei Cinque stelle. Dal vaffa al vax, è una forza attorno al 5%, che si sta saldando con sofferenze e paure crescenti e che potrà erodere e spiazzare gli schemi politici convenzionali».

Se si andasse davvero a elezioni e il centrodestra le vincesse, dopo un governo come quello attuale pensa che riuscirà a prendere le redini del Paese e altri poteri interni o internazionali non lo impediranno?

«Credo che ci troviamo di fronte a un eccesso di retorica provinciale sulle cancellerie europee. Per l’esperienza che ho, sono stati più forti i traditori interni che le pressioni esterne. L’impegno per la chiamata dello straniero l’abbiamo già visto all’opera nel 2011. E non è stato per il bene dell’Italia. In quell’anno ero il presidente dei ministri del Tesoro del Ppe, la stragrande maggioranza. Il colpo non è venuto dall’Europa, ma dai “patrioti” italiani. È così, con la chiamata dello straniero, che arrivammo al governo Monti».

C’è da temere che l’Europa consenta sempre meno margini di autonomia alle nazioni come mostra il caso polacco?

«Dopo una lunga fase di errori, l’Europa si è messa dal lato giusto della storia fronteggiando con gli Eurobond la gestione della pandemia. Se posso, gli Eurobond sono stati una proposta italiana fatta nel 2003 e poi ancora nel 2010».

Qual è il lato giusto della storia?

«Gli Stati uniti d’America ci hanno messo due secoli, con in mezzo una tragica guerra, per arrivare a uno Stato federale. L’Europa ha solo 70 anni e può evolvere verso una unione federale solo passando attraverso una crescente confederazione degli Stati nazionali. Questo è nei Trattati europei che, diretti verso l’Unione, presuppongono ancora le identità e le costituzioni nazionali. Nella cerimonia per il cambio ai vertici della Bce nel 2019 i politici stavano in platea ad applaudire estasiati. Avrebbe visto Helmut Kohl, Charles de Gaulle, Francesco Cossiga, Alcide De Gasperi, Robert Schuman fare altrettanto? Il futuro per un’Europa politica è nella politica e non nella finanza».

 

 La Verità, 8 gennaio 20221

 

«Se la destra vuole governare deve maturare»

Storico, saggista, autorevole firma del Corriere della Sera, di recente Ernesto Galli della Loggia ha vergato due interventi sul marmo. Il 12 gennaio a proposito dei fatti di Capitol Hill ha scritto che «ciò che spinge la gente in piazza non sono tanto le diseguaglianze, ma il sentimento di giustizia offeso». Mentre il 21 gennaio si è chiesto «che cosa altro deve succedere in Italia perché cambi il sistema politico, perché cambino le regole che lo governano? Non basta avere da tre anni come presidente del Consiglio un signor nessuno mai presentatosi in alcuna competizione elettorale?».

Professore, il fatto che il suo editore Urbano Cairo si sia espresso contro la crisi rappresenta un problema per gli editorialisti del Corriere della Sera?

«No, nessun problema direi. Gli editorialisti del Corriere rispondono al direttore ed è lui che decide se pubblicarli o no».

Secondo lei Giuseppe Conte è fuori dai giochi?

«Direi che ha ancora il 50% di probabilità di farcela. La situazione è così oscura e intrecciata che è difficile andare oltre qualche profezia in percentuale».

Qual è il mistero di Conte?

«Non c’è nessun mistero. Ha approfittato della situazione straordinaria nella quale i partiti vincitori delle elezioni del 2018, Lega e 5 stelle, si sono trovati: privi di un esponente in grado di metterli d’accordo, sono dovuti ricorrere a una figura terza. È stato prescelto proprio perché sconosciuto. Da lì in poi Conte è stato abile a cavalcare gli avvenimenti. Non c’è un segreto, se non che è una personalità duttile».

Non male come eufemismo.

«La duttilità è la capacità di adattarsi alle circostanze».

A me viene in mente Arturo Brachetti, l’attore trasformista.

«A me Fregoli, un Fregoli della politica».

Perché tutti lo vogliono tenere, a parole?

«Be’ proprio tutti non direi, diciamo molti. In ogni caso una persona che si adatta fa comodo. Anche se così si realizza una situazione in cui non si sa bene chi si adatta a chi».

Per qualche giorno la crisi è sembrata una guerra sulla sua testa?

«Sì, ma in realtà è una guerra tra partiti che o non hanno futuro o, pensando di averlo assai incerto, provano a garantirsi la sopravvivenza nel disfacimento generale».

Se Conte farà il suo partito toglierà voti al Pd e ai 5 stelle che, oltre la facciata, preferiscono un cambio a Palazzo Chigi?

«Cambiare Conte significa convincere i 5 stelle a trovare un altro premier. La sua forza è che nessun altro sembra in grado di garantire la convivenza tra Pd e M5s. D’altra parte senza Italia viva non ci sono maggioranze di centrosinistra diverse».

Conte ha resistito così tanto grazie alla pandemia?

«La pandemia lo ha aiutato, ma anche la sua adattabilità. Con lui il trasformismo è arrivato ai vertici del sistema».

Dietro l’aria azzimata c’è un politico inflessibile?

«Abbiamo appena finito di dire che è duttile… L’aria azzimata è tipica di un certo avvocato meridionale di un tempo che ignora l’abbigliamento casual. Cravatta e camicia bianca, poi, sono da sempre l’uniforme del politico italiano medio».

Ha esautorato il Parlamento con i dpcm.

«Non è certo il primo che governa con i decreti. Sono anni che il Parlamento è sopraffatto dall’attività legislativa del governo. Ma in questo caso che cosa sarebbe accaduto se su ogni provvedimento di emergenza si fosse aperto un confronto parlamentare, magari a botte di centinaia di emendamenti?».

È accentramento scrivere il Recovery plan affidandolo a una task force di sei manager scelti da lui?

«Non sono pregiudizialmente contrario ad accentrare certe decisioni. Purtroppo gli accentratori che Conte ha scelto hanno partorito un testo ridicolo. Non credo però che un bel tavolo di confronto con le regioni avrebbe fatto meglio».

Ha gestito con una struttura privata le immagini da diffondere sui media.

«Questo è un comportamento davvero singolare. Sarebbe interessante sapere se Rocco Casalino o la sua società si facevano pagare per cedere le immagini alla Rai».

Che sono sempre le stesse, come ai tempi dell’Istituto Luce.

«Il Luce era una cosa seria. Diciamo un’azione da Minculpop de noantri».

In questi giorni la parola più gettonata è europeismo: è la discriminante per escludere la destra di Matteo Salvini e Giorgia Meloni?

«Fossi Ursula von der Leyen avvierei un’azione legale contro chi usa il mio nome e quello dell’Europa per qualificare cause poco raccomandabili. Ognuno piega l’Europa secondo convenienza. È il modo giusto per screditarla».

I miliardi del Recovery fund l’Europa li dà solo se governa qualcuno che le è gradito?

«No, ma prenderla a sberle ogni giorno non facilita certo i rapporti. Non si va a chiedere un prestito in banca maltrattando gli impiegati e insultando il direttore…».

Senza arrivare ai maltrattamenti si può rivendicare autonomia nell’uso dei fondi?

«Sono stati assegnati all’Italia, ma a certi scopi. L’Europa vuole vedere se li rispettiamo. Il Recovery fund sarà il cuore della politica dei prossimi anni. Un governo di destra avrebbe certo un problema di coerenza se usufruisse di quei fondi continuando a dire che l’Ue è un’istituzione malvagia da combattere».

Il voto dei singoli paesi conta qualcosa?

«Certo. Il problema è che il voto di alcuni paesi conta più di quello di altri. Il voto dell’elettore tedesco elegge un governo che pesa più di quello italiano e quindi conta di più».

Sulla pandemia e sulla crisi economica annaspiamo: come vede il governo di salvezza nazionale?

«Non mi piacciono i governi di unità nazionale se non durante le guerre. Nei regimi democratici i governi devono essere governi politici. Durante una guerra si ha un unico obiettivo: vincerla. Paragonare l’epidemia a una guerra è inutile retorica. Durante un’epidemia si combatte il virus con il vaccino, ma produrre vaccini non è compito dei governi, distribuirli riguarda invece l’amministrazione, sulla quale i partiti hanno visioni diverse».

Il centrodestra è andato da Mattarella unito, Forza Italia entrerà in un governo di larghe intese?

«Probabilmente sì se ce ne sarà l’occasione, che però non vedo all’orizzonte».

Anche Salvini ha aperto a un governo di salvezza nazionale, senza Conte, che faccia poche riforme.

«Mi sembrano parole, solo Salvini sa che cosa voglia davvero».

Se non si andrà a votare, il nuovo capo dello Stato sarà espresso come sempre dal centrosinistra?

«Molto probabile. Ma bisogna vedere quali saranno i candidati e ricordare che il voto è segreto. Se si candidasse Massimo D’Alema, ad esempio, credo che per primi qualche decina di parlamentari del centrosinistra non lo voterebbero».

Proverrà dalla solita area?

«Sì, ma i nomi, cioè le persone, fanno la differenza. Ad esempio Pierferdinando Casini è un senatore del centrosinistra, ma sono sicuro che avrebbe un’ampiezza di consensi maggiore della sua parte».

Se invece ci fossero le elezioni vedrebbe come candidato del centrodestra uno come Giulio Tremonti?

«Certo. Un altro potrebbe essere Giancarlo Giorgetti».

Il centrodestra riuscirà a proporre una classe dirigente autorevole?

«Tra quanti anni? Temo ci sia bisogno di un lungo processo di cui però non vedo ancora l’inizio. Faccio un esempio: parlare dell’Europa come un mostro o in modo apocalittico della presenza degli immigrati non favorisce certo la formazione di una classe dirigente dotata di autorevolezza e di un minimo di spirito critico».

Come mai, da angolazioni diverse, sia lei che Tremonti avete evocato la Rivoluzione francese come esempio di sfogo finale della rabbia di larghi strati della popolazione?

«Forse perché non siamo degli ottimisti a 18 carati. Perché vediamo ciò che succede nel mondo. Se in questi giorni c’è stata una rivolta che ha messo a ferro e fuoco alcune città della pacifica Olanda, immagini cosa può accadere in Italia».

Oltre alla diseguaglianza economica qual è la molla di queste rivolte?

«L’essere rimasti in tanti per un anno senza reddito e vedere il proprio livello di vita avvicinarsi a quello della miseria. La forte diversità tra la massa e le élites fomenta la rabbia, certo, ma il Covid è decisivo. L’Europa è diversa dagli Stati Uniti, ma senza il Covid sono convinto che non ci sarebbe stato nemmeno l’assalto a Capitol Hill».

Qual è la cosa più grave che Salvini non capisce della situazione attuale?

«Non capisce che la piattaforma della Lega è invisa a molta gente che pure è tutt’altro che tifosa della sinistra».

Non sarà una strategia di marketing?

«Con il suo modo di fare e di parlare Salvini consolida solo lo zoccolo duro sovranista. Se il suo obiettivo è di riuscire a essere eletto a vita in Parlamento, senz’altro ci riuscirà. Ma se il centrodestra ambisce a governare, il leader leghista non deve accontentarsi dello zoccolo duro».

Alla sua destra Fratelli d’Italia cresce.

«Ma più o meno vale anche qui lo stesso discorso. Il compito delle forze politiche di destra è far maturare la propria base elettorale tradizionale per allargarla e arrivare a essere maggioranza. Ma perché questo accada devono maturare anche i suoi stessi dirigenti, che invece sembrano votati a restare minoranza».

Qual è invece la cosa più grave che non capisce il Pd?

«Che per mantenere il ruolo politico centrale che per un gioco del destino gli è capitato, sarebbe bene avere delle idee per il paese. Idee sul sistema fiscale, sull’avvenire della scuola, sulla raccolta e lo smaltimento dei rifiuti. Idee che riguardino cioè i problemi veri del Paese e dei cittadini».

Quelle per le quali il Pd si spende sono genitore 1 e genitore 2 o il ddl sull’omotransfobia?

«Non direi che il Pd si spenda per queste idee, ne parla a mezza bocca e le sostiene a metà. Non ha il coraggio di opporsi mai a un certo genere di proposte».

A chi soggiace?

«A gruppi di opinione molto attivi. Non propone questi temi per primo, ma si fa ipnotizzare da idee non sue».

L’Italia resterà un paese in maggioranza moderato governato dalle sinistre?

«Se la destra non cambia, i moderati preferiranno a lungo di farsi rappresentare da una sinistra che non è certo composta da pericolosi bolscevichi».

Anche se ha una somma di consensi inferiore?

«Ma ha una capacità di coalizione maggiore, ed è quello che conta. Se la destra non accresce la sua capacità di dialogo e di allargamento del consenso può essere sicura che un presidente della Repubblica non lo eleggerà mai».

 

La Verità, 30 gennaio 2021

Freccero: per cacciare Renzi mi alleo con la destra

Il vero oppositore di Matteo Renzi non è un politico di lungo corso assetato di rivincita. Non è uno showman leader di un movimento. Non è un comico televisivo molto in auge. È Carlo Freccero. Un filosofo dei media, utopista e disinteressato, consigliere d’amministrazione Rai suggerito dal M5S, uomo di televisione tra i più carismatici e vulcanici in circolazione, con un curriculum pieno di cicatrici e medaglie, dalla partecipazione alla genesi della tv commerciale come consigliere del primo Silvio Berlusconi alla prestigiosa parentesi come direttore di La Cinq e poi di France 2, quindi da oppositore sui canali Rai del Cavaliere sceso in politica. Colpito ma non affondato dall’editto bulgaro. Autore a tutto campo di saggi su media e tv. Ecco, si capisce come mai l’intellettuale contro il premier, ribattezzato “il ragazzo del contado di Firenze”, è una guerra asimmetrica che sta creando problemi a chi ha più potere.

Il premier Matteo Renzi, bersaglio di Carlo Freccero

Il premier Matteo Renzi, bersaglio di Carlo Freccero

Carlo Freccero, perché ce l’ha a morte con Renzi?

«Perché è autoritario, accentratore, governa con i suoi quattro amici e le lobby».

Di premier accentratori ne sa qualcosa…

«In confronto a quello che sta facendo Renzi l’editto bulgaro era un atto poetico».

Addirittura.

«Massì, un impeto, una stizza, una reazione frontale. Qui subiamo manovre scientifiche, calibrate. La censura berlusconiana nella tv generalista è ruspante, mentre quella dei politici 2.0 è subdola, invisibile, avvolgente».

Lei si sente in missione per conto del No?

«Sono in tour. Sono stato a Pescara da quelli di Sel, a Roma con Massimo D’Alema, a Matera con Forza Italia, a Savona… Adesso voglio andare anche ai raduni della Lega. Per mandare a casa Renzi mi alleo anche con la destra».

Un’alleanza strategica, ma temporanea, immagino.

«Non si tratta di rapporti personali, si tratta di idee. Nei giorni scorsi Salvatore Merlo sul Foglio ha sostenuto che anche per il referendum la scelta non è sulle idee e i contenuti, ma sulle persone. Ancora una volta il discorso non riguarda la riforma della Costituzione, ma la presunta simpatia/antipatia, credibilità o involontaria comicità del No e del Sì. Come dire: “Vuoi mettere Renzi rispetto al baffuto D’Alema e all’ipercinetico Brunetta?”. Come se il referendum si risolvesse in un concorso di simpatia tra due testimonial».

Ammetterà che Renato Brunetta e Massimo D’Alema compongono una strana coppia.

«La coppia dei testimonial del No suscita l’ironia dei renziani proprio perché tra loro profondamente diversi, eterogenei, non omologati. Il pensiero unico trova divertente e deride ciò che non è formattato, riproducibile industrialmente. Come l’orata da porzione, l’hamburger rigorosamente stampato, il prodotto standard. In questo momento la differenza non è tra destra e sinistra, ma tra pensiero unico, diktat del governo, e opposizione. Tutto ciò che si oppone a questa schiforma mi va bene. E che il fronte del No sia fatto di differenze, anche eccessive, non è solo bello, ma anche didascalico».

Carlo Freccero: «I nuovi media passano presto dalla favola all'incubo»

Carlo Freccero: «I nuovi media passano presto dalla favola all’incubo»

Al Festival di Camogli dov’era stato invitato per una lectio su Media apocalittici e integrati in omaggio a Umberto Eco, Freccero ha condito di citazioni la critica «.it», «.com» e «.net»: «Ricordatevi, accade sempre così: quando appare un nuovo media, il telefono, la televisione, ora la Rete, sembra una fatina. Ma dopo un po’ la favola si trasforma in incubo…». Chissà cosa ne pensa l’amico Beppe Grillo. Dopo l’intervento ecco l’assalto di ex allievi, signore estasiate, telespettatori dei talk di La7. «Mi raccomando, votiamo no. Così lo mandiamo a casa».

Un mantra. Una missione che sembra un’ossessione.

«Macché ossessione. Renzi governa con le lobby e la propaganda. Un caro amico che parla per metafore e di cui non faccio il nome, dice che il premier pubblica troppi dischi e così non va più in classifica».

Sarà mica Pierluigi Bersani questo amico?

«No, è un uomo di spettacolo. Comunque, la tecnica è la propaganda, ormai è parte integrante della politica. E io rispondo con le stesse armi».

Va bene: mettiamo che la sua missione abbia successo. Chi mette al posto di Renzi? Disfare è facile.

«Uno migliore si trova. Il popolo è sovrano e non devono decidere le banche o la J. P. Morgan che ha chiesto esplicitamente una riforma delle costituzioni dei Paesi dell’Europa meridionale. Su questo mi trovo d’accordo con Giulio Tremonti».

«Con Giulio Tremonti - dice Freccero - abbiamo un patto stile Amici miei»

«Con Giulio Tremonti – dice Freccero – abbiamo un patto stile Amici miei»

Qualche sera fa su Raitre, a Gianluca Semprini che gli chiedeva delle pensioni Tremonti ha risposto parlando della riforma del Senato…

«Meraviglioso. È una gag, una goliardata stile Amici miei. Con Tremonti abbiamo un patto, andiamo in tv e tiriamo fuori il referendum a prescindere. Tremonti vede l’apocalisse del capitalismo».

Adesso anche Maurizio Gasparri parla di pensiero unico.

«C’è una collaborazione politica. Con Gasparri ci chiamiamo per nome. Con Brunetta ci scambiamo messaggini».

Cosa fa l’avversione per Renzi…

«Qualche sera fa ero a Matera ad un evento del centrodestra. Alla sera In Onda invita in collegamento me e Quagliariello. In studio c’erano Alessandra Moretti e Renata Polverini. Si parla della riforma costituzionale e del referendum. Alla fine Quagliariello fa la sintesi: “Vedi, Moretti, voi avete come alleato Verdini, noi abbiamo Freccero…”».

Da Bari, però, Renzi l’ha bacchettata dicendo che lei parla della riforma costituzionale come di una «riforma mussoliniana».

«Me l’hanno detto. Io però non ho mai usato quell’espressione. Magari ho detto di peggio. Ma come ho risposto all’agenzia che me l’ha riferito, bisogna ricordarsi che anche Pinocchio è originario del contado di Firenze. Al tempo del fascismo gli italiani avevano affidato la gestione del Paese a un uomo forte, che però aveva i suoi interessi nel Paese stesso. Oggi si vuole rafforzare un esecutivo che è espressione di interessi in conflitto con i nostri come le banche e le multinazionali».

Con l’endorsement dell’ambasciata americana e i suggerimenti di Angela Merkel, la battaglia si è fatta parecchio seria…

«È esattamente ciò che volevo dire. Le multinazionali americane sono disposte a investire da noi solo a condizione che gli eventuali profitti che da questi investimenti scaturiranno non ricadano sul territorio, ma ritornino integri alla patria di provenienza della multinazionale o, addirittura, ai paradisi fiscali dove hanno fittiziamente posto la residenza. Il caso Apple insegna».

Il simbolo della Apple, recentemente multata dalla Ue

Il simbolo della Apple, recentemente multata dalla Ue

Perché il referendum unisce destra e sinistra?

«Non c’è niente di strano nel fatto che destra e sinistra si alleino in nome del No. In un regime culturale – in cui la storia è morta, la differenza soppressa e solo il pensiero unico è considerato legittimo – è naturale che le frange del No si uniscano. In Grecia, Alexis Tsipras è riuscito a fare il governo con la destra, per evitare di unirsi a quelli che la crisi l’avevano prodotta. Io non mi sento in contraddizione con la sinistra. Possiamo dare al termine sinistra tantissimi significati. Ma, come diceva il grande sociologo Raymond Aron, su un unico punto c’è certezza: il termine sinistra deriva dalla collocazione fisica che aveva l’opposizione nel Parlamento post-rivoluzionario francese. Stare a sinistra significa opporsi».

A proposito di opporsi, non trova che, a differenza della sinistra del suo partito che vivrebbe perennemente in congresso, Renzi stia facendo qualcosa di concreto per il Paese?

«In questi anni, la propaganda del fare con cui siamo stati bombardati ha trasformato la Costituzione in un reperto archeologico da rottamare perché si oppone alla governabilità. Questo fare incessante ci chiede solo di spogliarci continuamente dei nostri diritti».

Lei è stato suggerito nel Cda Rai dal Movimento 5 stelle. Pensa che la débâcle della giunta Raggi sia recuperabile o i grillini hanno perso definitivamente in credibilità?

«I grillini hanno imparato che le bugie fanno parte della gestione del potere. Hanno fatto molti pasticci, è chiaro. Ma mi auguro che trasformino la scivolata in una rincorsa per risalire. Magari approfittando dell’occasione del referendum».

Quante chance dà al tentativo di Stefano Parisi?

«Malgrado non sia prodiano ha dei modi prodiani e in questo momento non è uno stile adatto alla destra. Tuttavia, ho visto che tra i suoi sponsor c’è Antonio Pilati. E dove c’è Pilati c’è potere».

Come andrà a finire? Tracci uno scenario da qui a fine anno.

«Decenni di centrismo, di dittatura della maggioranza, hanno livellato le differenze sino a provocarne l’estinzione. Io sto parlando adesso non da sinistra, ma prendendo come modello il pensiero liberale. Il terzismo e l’unanimismo hanno affossato le libertà. Perché non si può glorificare l’individuo e, insieme, la maggioranza. È quanto, ad esempio, teorizzavano i radicali. Non esiste libertà senza tutela dell’individuo e delle minoranze. Oggi se sei politicamente scorretto desti scandalo. Invece, per conto mio, il vero scandalo è, al contrario, quando la maggioranza non rispetta la libertà di espressione delle minoranze. E quindi spero che rinascano la destra e la sinistra e non tutto finisca nel grigiore del Partito della Nazione».

 

Post scriptum L’intervista è finita, ma, prima di salutarci Freccero butta lì l’ultima cosetta da niente: «Prima o poi spero di rivedere Silvio Berlusconi. Siamo alla fine della Seconda Repubblica, alla fine di un percorso…».

 

La Verità, 21 settembre 2016