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«Papa Francesco riduce la Chiesa all’irrilevanza»

Il suo blog Duc in altum è una delle voci più seguite nel mondo cattolico conservatore. A lungo vaticanista del Tg1, Aldo Maria Valli è autore di saggi e interventi sulla Chiesa italiana e mondiale. La quale, ha scritto di recente, non vive solo una crisi, ma una vera rivoluzione che può portarla all’estinzione. Secondo lui, per scongiurare simile apocalisse, i cattolici devono diventare controrivoluzionari.

Aldo Maria Valli, che cosa pensa della Nota con cui l’ex Sant’Uffizio, retto dal cardinal Victor Manuel Fernández, e controfirmata da papa Francesco, stabilisce che chi cambia sesso può accedere al battesimo come pure i figli di genitori gay concepiti con l’utero in affitto?

«Penso che il documento costituisce una nuova tappa nel percorso di allontanamento dalla dottrina cattolica. E ciò avviene nel modo abituale, con ben scarsa chiarezza, forte ambiguità e strizzando l’occhio alla mentalità dominante. Ciò che interessa è unicamente dare l’idea di un’apertura. Infatti, tutti i media hanno titolato: “Il Vaticano apre a trans e gay”. Il peccato è nascosto sotto una coltre di parole. Nessuna preoccupazione pastorale: si vuole normalizzare un comportamento che la Chiesa in realtà non può accettare. È una strategia che Bergoglio persegue con determinazione».

Tuttavia il battesimo è il più democratico dei sacramenti e la Nota stabilisce le condizioni per accedervi.

«Il battesimo non è un diritto, ma un sacramento. Chi lo chiede per un piccolo s’impegna a far conoscere Dio e a seguire i suoi insegnamenti».

Qualche giorno fa è stato annunciato un nuovo libro intervista di papa Francesco a Fabio Marchese Ragona, vaticanista di Mediaset.

«Dicono che sarà un’autobiografia e che il Papa si toglierà sassolini e sassoloni dalle sue umili scarpe nere. Un altro passo verso la “normalizzazione” della figura papale».

In che senso?

«Penso che questa autobiografia sarà utilizzata per accreditare ancora di più la figura di Bergoglio come quella del Papa della gente e della misericordia. E per regolare qualche conto con tutti quelli che in un modo o nell’altro sono entrati in rotta di collisione con lui».

Perché le interviste e i dialoghi di Bergoglio con i media sono così frequenti?

«Per protagonismo, perché Bergoglio è consumato dall’ansia di piacere alla gente che piace: vuole mostrarsi come uomo fra gli uomini, come colui che non giudica ma accompagna. Gli interessa eliminare dalla figura papale ogni residuo elemento divino per appiattirla sul mondo».

Non è il suo modo di evangelizzare, di essere missionario?

«No, è un modo di esaltare il personaggio. Con questi interventi non conferma i fratelli nella fede, ma i lontani nella loro lontananza. Non a caso, applausi e complimenti arrivano proprio dai lontani, da quelli che sono sempre pronti a puntare il dito contro la Chiesa».

Cosa pensa dei pronunciamenti del Pontefice sulle guerre in Ucraina e in Israele, la «Terza guerra mondiale a pezzi»?

«A proposito della guerra in Medio Oriente Francesco ha chiesto di cessare il fuoco, di percorrere ogni via per evitare l’allargamento del conflitto, di liberare gli ostaggi, di garantire spazi per gli aiuti umanitari. Ha detto e ripetuto che la guerra, ogni guerra, è una sconfitta. Ha anche detto che è diritto di chi è attaccato difendersi. Riguardo all’Ucraina, ha mandato in missione il presidente della Cei, Matteo Zuppi, a Kiev, Mosca e Washington per tentare una mediazione».

Con quali risultati?

«Praticamente nulli. Sia Kiev sia Mosca hanno detto no. E Putin si è ben guardato dall’incontrare l’inviato papale».

Perché le frequenti richieste di cessare il fuoco sono poco considerate?

«La voce del Papa ormai non spicca sulle altre. Ha perso autorevolezza e prestigio. Nel 1962 l’intervento di Giovanni XXIII fermò la minaccia della guerra nucleare fra Usa e Urss per i missili installati a Cuba. Dopo l’apertura degli archivi sovietici abbiamo potuto conoscere l’importanza di quell’appello del Papa. Sappiamo anche che, sebbene sopravvalutata da certa storiografia, l’azione di Giovanni Paolo II ebbe certamente un ruolo nell’indebolimento dell’orso sovietico e nella caduta del muro di Berlino. Ma era un altro Vaticano, con un’altra diplomazia. È significativo che per l’Ucraina il Papa si sia affidato a Zuppi. Zuppi vuol dire la Comunità di Sant’Egidio. La Segreteria di Stato è stata saltata».

Dopo l’ingiustificato atto terroristico di Hamas la Santa Sede avrebbe potuto esprimersi in modo più nitido?

«Avrebbe potuto fare e dire tante cose. Resta il fatto che la voce del Papa ha perso rilevanza, così come la diplomazia della Santa Sede».

La Chiesa potrebbe esprimere una posizione più chiara sulla nuova ondata di antisemitismo?

«Idem come sopra. Prendiamo atto che la voce del Papa è ormai una fra le tante».

Che cosa pensa del fatto che qualche giorno fa, a causa del cattivo stato di salute, Francesco ha preferito far distribuire il discorso anziché leggerlo ai rabbini europei durante l’udienza a loro riservata?

«Una volta in questi casi si parlava di raffreddore diplomatico. Bergoglio al mattino non ha parlato ai rabbini perché “malato”, ma nel pomeriggio è miracolosamente guarito e si è intrattenuto con migliaia di bimbi, rispondendo a una raffica di domande».

Qual è la sua valutazione sul Sinodo sulla sinodalità?

«Aria fritta in dosi esorbitanti. A nessuno interessa un fico secco. Il Papa ripete che la Chiesa non deve essere autoreferenziale e poi escogita un Sinodo che è il massimo del clericalismo. Ciò che gli interessa è disarticolare la Chiesa dall’interno e introdurre un falso metodo “democratico” funzionale a questo progetto. Al grido di “È il popolo che lo chiede” può innescare i processi da lui desiderati. Anche il ridimensionamento del ruolo dei vescovi serve a questo. Ma ovviamente è tutto fumo, perché le decisioni sono già state prese in anticipo».

Una visione molto negativa. Un Sinodo così è un segnale di ripiegamento?

«Manifesta quello che dicevo prima: fumo negli occhi per nascondere il vero fine, che è disarticolare la Chiesa. Non sono d’accordo con chi dice che siamo di fronte a una profonda crisi della Chiesa. Non è una crisi, è una rivoluzione. Bergoglio vuole una nuova Chiesa, funzionale a una nuova religione ecologista e mondialista. E il Sinodo è uno degli strumenti di cui si serve».

Che esiti potrà produrre nel tempo?

«L’obiettivo di questo Sinodo, che definisco “il Sinodo truffa”, è far penetrare nella Chiesa alcune idee. Circa, per esempio, il sacerdozio femminile e la benedizione delle coppie omosessuali, al Papa non interessa tanto il risultato concreto e immediato, quanto innescare un processo. L’obiettivo è quello di tutti i modernisti: mettere la Chiesa al passo con il mondo. Il relatore del Sinodo, il cardinale Jean-Claude Hollerich, ha più volte affermato che l’assemblea non ha l’autorità di prendere decisioni: quello che può fare è solo “discernere”. Ma questa è una furbata, perché già il modo in cui si discute serve ad allineare la Chiesa a certe tendenze. Il metodo è il messaggio. Ciò che più mi disgusta è che per giustificare tutto questo i modernisti tirano in ballo lo Spirito Santo».

Che segno sta lasciando l’esortazione apostolica Laudate Deum?

«Zero, nulla. A otto anni dalla Laudato si’, l’enciclica dedicata alla “cura della casa comune”, il Papa ha voluto tornare in campo per rinnovare le sue “accorate preoccupazioni”, ma lo ha fatto in modo totalmente ideologico e con una superficialità e una partigianeria che lasciano stupefatti. Qualcuno ha detto che se un testo simile fosse stato presentato da uno studente universitario avrebbe meritato una sonora bocciatura per quanto è inconsistente. Intendiamoci: nessuno discute il diritto-dovere di Francesco, in quanto vicario di Cristo sulla terra, di occuparsi di questi problemi. Il problema è che Bergoglio parla come una Greta Thunberg qualsiasi. In questo modo, paradossalmente, il Papa che non vuole essere dogmatico “dogmatizza” l’ideologia ecologista, e il Papa dell’ascolto rivela una totale intolleranza verso chi la pensa diversamente, definendo “irragionevoli” le opinioni di chi, anche nella Chiesa, non concorda con la sua valutazione. Inquietante è il fatto che ancora una volta dipinga l’uomo bianco e occidentale come nemico della natura, che si schieri apertamente dalla parte dei gruppi ambientalisti radicali e che chieda “di stabilire regole universali ed efficienti”, così da imporre “norme vincolanti di transizione energetica”. Vuole un governo mondiale, qualcosa che appartiene al repertorio massonico, non alla linea della Chiesa cattolica».

Perché la rilevanza del magistero sembra inversamente proporzionale alla quantità dei pronunciamenti?

«Troppi interventi, troppe interviste, troppe parole superficiali e ambigue, troppa chiacchiera da bar. Ma tutto ciò è voluto: l’obiettivo è ridurre la Chiesa all’irrilevanza. Bergoglio è stato scelto per questo e sta portando a termine la missione».

Addirittura. Che cosa pensa della pastorale in atto sui movimenti?

«Non ne penso nulla. Bergoglio è totalmente indifferente ai movimenti, se non nella misura in cui possono intralciare i suoi progetti».

È sufficientemente nei pensieri dei vertici ecclesiali la realtà fotografata da Euromedia Research per Il Timone da cui risulta che solo il 13% degli italiani frequenta la messa domenicale?

«I vertici ecclesiali sono stati impegnati per un mese in un Sinodo inutile. C’è da aggiungere altro? Sembrano l’orchestra che suona sulla tolda del Titanic».

La crisi delle vocazioni preoccupa quanto dovrebbe?

«Vuole scherzare? Con l’eccezione di qualche vescovo e qualche bravo sacerdote, la Chiesa non se ne cura minimamente. Il Sinodo ne è la prova».

Cosa pensa del fatto che il presidente della Cei Matteo Zuppi ha criticato l’accordo tra Italia e Albania sui migranti?

«È una frecciata al governo, non stupisce. Forse sarebbe meglio se si occupasse dello stato comatoso della Chiesa, con la continua perdita di fedeli e vocazioni».

Nei suoi ultimi interventi lei afferma che siamo di fronte a una rivoluzione nella Chiesa più che a una crisi della Chiesa. Che cosa vuol dire essere controrivoluzionari?

«Ristabilire l’ordine che è stato infranto. A tutti i livelli, secondo una visione gerarchica che è propria della Chiesa e non può essere sostituita da nessun meccanismo sinodale. Prima di tutto occorre rimettere Dio al posto che gli spetta, perché i neo-modernisti lo vogliono detronizzare, per lasciare campo libero alle idee del mondo».

 

 La Verità, 11 novembre 2023

«Non siamo più cittadini, ma solo degli ammalati»

Buongiorno Aldo Maria Valli, lei porta la mascherina?
Glielo chiedo per fugare eventuali dubbi su una sua sottovalutazione del pericolo determinato dal Covid-19.

«Sì, la indosso, secondo le norme stabilite. Non credo nella sua efficacia – un epidemiologo mi ha spiegato che è come pretendere di bloccare i moscerini con una staccionata – ma non ho nessuna intenzione di farmi multare. Già lo Stato mi tartassa con il fisco. La vera resistenza la faccio scrivendo».

L’ultima cosa che Valli ha scritto è Virus e Leviatano, un agile e lucidissimo saggio per l’editrice Liberilibri, nel quale offre una visione molto controcorrente del tempo della pandemia e soprattutto della sua gestione da parte della politica, dei media e anche della Chiesa. In questa intervista, l’ex vaticanista del Tg1 nonché autore del seguitissimo blog Duc in altum, si esprime anche sulle parole di papa Francesco a proposito delle coppie gay e il loro diritto di «essere in una famiglia».

Il primo capitolo del suo libro s’intitola «Un dispotismo statalista, condiviso e terapeutico». Come può un dispotismo essere condiviso?

«Non è la prima volta che una collettività si fa irretire. Étienne de La Boétie, nel suo Discorso sulla servitù volontaria, dice che sono i popoli stessi che si lasciano incatenare. “È il popolo che si fa servo, che si taglia la gola da solo”. Perché? Per paura, ignoranza, passività, vigliaccheria. Per scarso amore della libertà».

Per dispotismo terapeutico intende che il rapporto tra politico e cittadino somiglia a quello tra medico e paziente?

«Non siamo più cittadini, ma malati. Il politico ha assunto il ruolo del medico. La nazione è diventata un ospedale. Il rapporto medico-paziente è ben diverso da quello politico-cittadino: è asimmetrico. Ciò che il medico stabilisce, per il tuo bene, non lo metti in discussione. Ti assoggetti e lo ringrazi pure».

I cittadini diventano docili e pronti a rinunciare a quote di libertà sull’altare della salute?

«Nel mio saggio scrivo Salute con la maiuscola, perché questo è diventato il valore assoluto, a cui sacrificare tutto, compresi i diritti di libertà. Pretesa assurda e pericolosa. La salute è sì un bene primario, ma se viene trasformato in assoluto può essere usato, come di fatto sta avvenendo, in modo strumentale».

Come spiega il fatto che i famosi Dpcm contengano esortazioni a comportamenti virtuosi, a rispettare regole di convivenza, a restare in casa?

«Proprio con il dispotismo terapeutico, con questo paternalismo che tratta i cittadini come sudditi sciocchi, come bambini incapaci di gestirsi, per cui si arriva al punto di mettere il naso nelle abitazioni private, di voler regolare minuziosamente ogni comportamento. Precedenti pericolosissimi».

Che ruolo ha l’informazione nella creazione di questo scenario?

«Decisivo. Il dispotismo terapeutico per essere condiviso ha bisogno dei mass media, di una narrativa appropriata. Ha bisogno del terrore, e il terrore va diffuso mediante l’informazione».

Cosa indica che proprio ora sia nata la prima task force contro le fake news?

«Un provvedimento del tutto illiberale. Non può essere il governo a stabilire che cosa è vero e che cosa è menzogna, a priori. Di nuovo i cittadini sono trattati come bambini incapaci di giudicare. In una democrazia liberale il cittadino si forma le opinioni attraverso il libero confronto».

Sbagliano coloro che, rilevando i successi contro il Covid di Cina e Vietnam, hanno sottolineato i vantaggi delle dittature nei momenti di crisi?

«Mi sembra difficile parlare di successo nel caso della Cina, visto che il virus è stato un suo gentile omaggio. Nel caso del Vietnam c’è da dire che il paese, visti gli stretti legami con la Cina, ha giocato d’anticipo rispetto al resto del mondo, con provvedimenti ad hoc e stretti controlli sui cinesi, specie se in arrivo da Wuhan. Ma se diciamo che le dittature sono meglio delle democrazie nei momenti di crisi facciamo proprio il gioco di chi ci vuole incatenare».

Anche l’Oms avvalora la tesi che la Cina è il paese che ha risposto meglio all’epidemia.

«E lo credo! Il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, è amicissimo del regime cinese. È etiope, e la Cina sta facendo investimenti notevolissimi in Etiopia. Tra i grandi elettori di Ghebreyesus all’Oms la Cina ha svolto un ruolo decisivo».

Per la Chiesa cattolica la pandemia è stata un’occasione mancata?

«Purtroppo, sì. Non ha parlato di santificazione, ma solo di sanificazione. Si è lasciata contagiare dal terrore. Non ha detto nulla circa i grandi temi della morte e del peccato. Si è piegata ai diktat governativi. Non ha rivendicato la propria autonomia. Si è mostrata più realista del re. È diventata Chiesa di Stato. Va bene il senso di responsabilità, ma non ti puoi annullare. La liturgia ha assunto connotati grotteschi. Siamo diventati adoratori dell’amuchina. Abbiamo trattato Gesù come un untore».

Come spiega il fatto che, salvo rare eccezioni, abbia accettato in modo acquiescente il lockdown religioso imposto dalle autorità civili?

«Connivenza, paura, accettazione passiva, arrendevolezza. C’è di tutto. Ma sopra a tutto c’è una spaventosa mancanza di fede».

Condivide il giudizio di monsignor Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, che ha ravvisato il pericolo del diffondersi di «una visione paranoica della realtà»?

«Certamente. Siamo già paranoici. Parliamo dei positivi come se fossero malati. Siamo tutti terrorizzati. Non solo di beccarci il virus, ma anche di non saper rispettare le norme. Non esaminiamo i fatti, ma ci lasciamo prendere da mille suggestioni. La crisi della ragione procede parallelamente a quella della fede».

In questi giorni il mondo cattolico è agitato dalle parole di papa Francesco sul diritto delle coppie gay a «essere in una famiglia». Che idea si è fatto di queste dichiarazioni?

«Francesco è circondato da una potente lobby gay che ha lavorato per arrivare a questo risultato. Ma si tratta di dichiarazioni private di Bergoglio: il cattolico non è tenuto per nulla a farle proprie».

Ora sta emergendo la manipolazione cui sono state sottoposte le parole del Papa, fatto che si ripete. Ma sembra che Francesco accetti il rischio.

«Non solo lo accetta, ma lo favorisce. È un’operazione decisa a tavolino. Bergoglio provoca la parte sana della Chiesa così che qualcuno, vescovo o cardinale, lo accusi di apostasia. A quel punto lui avrebbe gioco facile, con l’appoggio della grande stampa amica, nel puntare il dito contro i “nemici della Chiesa” e gridare al complotto contro il povero Papa buono e tanto amato dal popolo».

Questi travisamenti ricorrenti riguardano una tecnica di comunicazione o la concezione stessa del ruolo della Chiesa nel mondo?

«Entrambe le cose. L’obiettivo è una religione mondialista sostenuta da una nuova Chiesa schierata con il mondo. La narrativa appropriata serve come strumento».

Meglio una Chiesa che si contamina e traffica il talento o una Chiesa austera ed estranea ai dibattiti della contemporaneità?

«La Chiesa è nella storia e si è sempre mescolata al mondo. Ma ben sapendo che pur essendo in questo mondo non è di questo mondo. Gli slogan sulla “Chiesa in uscita” sono banalizzazioni. La Chiesa è di per sé in uscita perché fa evangelizzazione. Il problema vero è rimettere al centro Gesù e la legge divina».

Tornando all’emergenza Covid, è possibile dissentire dal conformismo prevalente senza essere scomunicati con l’accusa di negazionismo?

«Sì, occorre resistere alla narrativa dominante. Dire chiaramente che essere tacciati di negazionismo è un’infamia. Nessuno nega l’esistenza del virus. Si vuole solo stare alla realtà e combattere l’uso strumentale della pandemia».

Certe manifestazioni di dissenso, condite di complottismo folcloristico quando non becero, avvalorano queste accuse?

«Temo di sì. Io non amo le manifestazioni di piazza: preferisco il ragionamento pacato. Comunque, se si organizza una manifestazione occorre farlo bene, evitando esiti controproducenti».

Si pensava che lo stato di emergenza servisse a snellire le burocrazie per migliorare i servizi al cittadino in condizioni di urgenza, ma non è avvenuto: a cosa serve realmente?

«Lo stato di emergenza serve a incatenare i cittadini, a farli sentire sudditi incapaci di gestirsi, bambini irresponsabili bisognosi di una guida paternalistica. È il frutto di un governo debole il quale, proprio perché avverte la propria debolezza, punta sull’autoritarismo».

Teme che questo stato di eccezione possa diventare norma?

«Questo timore è ciò che mi ha spinto a scrivere Virus e Leviatano. Stiamo dando vita a un precedente pericoloso. L’unione perversa di biopolitica e bioinformazione ha inferto un duro colpo al sistema democratico liberale di stampo parlamentare. Un vulnus che potrebbe diventare permanente».

Pensa che la sottomissione dei cittadini al nuovo dispotismo statalista sia un disegno perseguito o l’esito inevitabile del virus dell’ideologia mai davvero estirpato nell’establishment politico e culturale?

«Dopo tanti anni di giornalismo posso dire tranquillamente di essere complottista. Perché il potere complotta sempre. E tanto più grandi sono gli interessi tanto più ampio è il complotto. Che avviene lontano dai riflettori, in quelli che potremmo definire i “santuari” dei padroni del caos. Ma l’aiuto degli utili idioti è sempre di fondamentale importanza».

Come valuta il fatto che stiamo progressivamente tornando in una situazione di confinamento?

«Alla fin fine è un fatto culturale. Non si viene più educati alla libertà, all’amore per la libertà. Siamo narcotizzati. Abbiamo l’illusione di essere al corrente di tutto e non sappiamo niente. Non studiamo e ci lasciamo condizionare. Dobbiamo imparare di nuovo a pensare. Ma com’è possibile se passiamo tutto il tempo sui social o davanti a programmi televisivi beceri? Huizinga in La crisi della civiltà scrisse che se si vuole ripartire occorre essere consapevoli, per prima cosa, di quanto sia già progredita la dissoluzione».

 

La Verità, 24 ottobre 2020