Tag Archivio per: Vittoriale

«Costruiamo il futuro, no alla società del controllo»

Caro Giordano Bruno Guerri, per cominciare le chiedo un piccolo sforzo di fantasia: oggi che consiglio darebbe Gabriele d’Annunzio a Giorgia Meloni?

«Se parlasse ai suoi tempi direbbe di rifare grande l’Italia. Ma non credo che oggi D’Annunzio spingerebbe il nazionalismo, semmai l’innovazione: perché è questo il modo per difendere la nazione».

Invece lei, uomo contemporaneo, come valuta i primi due mesi del nuovo governo?

«Due mesi sono pochi, eppure leggo già molti giudizi taglienti. All’inizio un governo, per di più nato nelle condizioni che sappiamo, si deve organizzare com’è capitato a tutti gli esecutivi. La mia prima sensazione è positiva, Giorgia Meloni mi sembra solida ed essenziale. D’altra parte ravviso la tendenza a un conservatorismo che non mi piace».

Dove lo vede?

«Per esempio, sulla scuola. Il merito è certamente un criterio da valorizzare, ma non vedo ancora gli strumenti per farlo. Oppure la legge sui rave party, intendiamoci, una legge necessaria, ma all’inizio stesa molto male. Gli esempi non mancano».

Se non ho capito male, è contento di non essere diventato ministro.

«Ha capito bene. L’avrei fatto per senso del dovere e gusto della sfida. Sarei entrato in un mondo che non ho mai frequentato se non marginalmente. Ma la mia vita ne sarebbe stata devastata, soprattutto perché avrei dovuto lasciare il Vittoriale».

Presidente e direttore generale della Fondazione Vittoriale degli Italiani dal 2008, Giordano Bruno Guerri, scrittore, storico eminente e già direttore editoriale di marchi prestigiosi, è impegnato a rendere sempre più attraente e moderna la casa museo più visitata al mondo. Nell’anno che si sta chiudendo il Vittoriale ha superato i 260.000 visitatori, 19.000 in meno del 2019, anno record, ma 100.000 in più del 2021. Perciò si può dire che «si è messo alle spalle la crisi del Covid e la guerra e ora prepara nuove iniziative in occasione delle manifestazioni per Bergamo e Brescia Capitale italiana della cultura per il 2023 come GardaLo!, il primo festival culturale della sponda lombarda del lago di Garda».å

Oltre alla cura del Vittoriale, qual è la vita che da ministro sarebbe stata compromessa?

«Adesso, per fare un esempio concreto, sono all’estero con la mia famiglia…».

Come trascorrerà il Natale?

«Visiterò il Marocco. Ritengo sia un bene che i miei figli conoscano il mondo arabo. E poi mi depurerò dall’assalto di luci, presepi e babbi natale».

È una presa di distanza dal cristianesimo o dal consumismo?

«È un allontanamento dai riti e dalle abitudini di questo periodo, dalla finzione di armonia e dai pranzi eccessivi».

Tornando al governo, trova conferma l’idea che Meloni e il suo partito non dispongano di una valida classe dirigente?

«Credo che la classe dirigente la stiano preparando, ma non si forma né in un anno né in dieci. È un lavoro lungo e complesso, nel frattempo si opera con quello che c’è».

L’esecutivo ha perso compattezza sulla legge contro i rave party e sui temi economici?

«Credo ci sia una visione diversa fra i partiti della maggioranza che crea conflitti che si spera restino piccoli. Non vedo un difetto nel correggere alcune decisioni, ma la capacità di riconoscere gli errori e di porvi rimedio».

Un’altra obiezione della campagna elettorale riguardava il ritorno al potere del fascismo in caso di vittoria di Giorgia Meloni.

«Il fascismo è un fenomeno storico morto e sepolto. Credo che nessuno ai vertici di Fratelli d’Italia lo rimpianga. Piuttosto, ci potrebbe essere un ritorno al conservatorismo di Dio, patria e famiglia che non è una formula propria del fascismo, ma tipica anche dei governi democristiani. Personalmente penso che converrebbe puntare energie e risorse in altre direzioni».

Quali?

«Vigilerei sul dominio degli algoritmi e dell’economia digitale sulle persone. A questo proposito apprezzo il comportamento di Giorgia Meloni nei confronti dell’Europa. Che non è una chiusura pregiudiziale, ma la difesa del controllo nazionale di fronte alla pressione economica europea che spesso si configura come un secondo governo, potenzialmente schiacciante».

Con il movimento «Italiani liberi» fondato con l’antropologa Ida Magli avevate messo in guardia da questi pericoli.

«A metà anni Novanta denunciavamo la possibilità di una sopraffazione dei popoli in favore di un’omogeneità non realizzabile in tempi così brevi. Mi sembra che il governo Meloni stia muovendosi nella direzione giusta, collaborando con l’Unione europea ma, quando occorre, mantenendo una politica distinta come sulla gestione degli sbarchi e l’arrivo degli extracomunitari».

O come sull’adesione al Mes: si è detta pronta a firmare con il sangue la decisione di non prenderlo.

«Concordo nel merito della decisione, ma forse certe battute a effetto andrebbero evitate perché l’Europa non è spiritosa».

La cultura del politicamente corretto e l’avvento della pandemia hanno rafforzato la tendenza all’omologazione?

«La pandemia ha aperto un varco terribile all’estensione del controllo degli individui. La possibilità di chiudere tutti in casa, di dire a che ora uscire e a che ora rientrare è un precedente di gestione delle masse molto pericoloso. Se si verificasse una crisi economica di gravi proporzioni, chissà cosa potrebbe fare un governo per limitare l’indipendenza dei cittadini».

È il capitalismo della sorveglianza.

«Possiamo chiamarlo così ed è sempre più pressante. Non solo nella sorveglianza, ma anche nell’indirizzo del pensiero e dei comportamenti. Il politicamente corretto è già una componente e un risultato di questo indirizzo che non si limita al divieto di pronunciare la parola “negro”, ma tende a promuovere una forma di pensiero unico».

Qualcosa si è visto negli annunci di alcuni politici di vertice europei che si sono auto-investiti del compito di vigilare sul comportamento del governo italiano.

«Il pensiero unico avanza e si estende. Mi ha molto confortato sapere che in America alcuni intellettuali come Noam Chomsky stanno fondando nuove università per rompere questo accerchiamento».

L’emergenza sanitaria giustificava la richiesta di maggiore disciplina ai cittadini?

«Io non sono no vax e penso che la salute venga prima di tutto. Ma si è visto che si sono commessi degli errori e che la stretta dei governi italiani, al plurale, è stata inferiore solo a quella del governo cinese. Che ci siano stati eccessi è comunemente riconosciuto. È particolarmente grave che per proteggerci dal Covid si sia danneggiata la salute riguardo ad altre malattie più gravi, per esempio rinviando o cancellando gli esami preventivi per il cancro. Sembra sia stata un’esercitazione generale per un controllo strettissimo. Lo si vede anche oggi… La difesa a oltranza del pos e il rifiuto di alzare il tetto al contante potrebbero preludere a nuove forme di controllo».

Viviamo in una specie di distopia?

«Il timore è che questo sia l’inizio, non un episodio estemporaneo».

Ci vorrebbe un volo sopra Bruxelles come quello di D’Annunzio su Trieste?

«Non credo basterebbe. Probabilmente lo abbatterebbero».

L’accusa di ritorno al potere del fascismo è un’intimidazione preventiva prima che Meloni muova le sue pedine?

«Certamente. Il pericolo fascista viene usato come un manganello dalle sinistre. Che deve fare quella povera donna più che piangere durante la visita al museo ebraico di Roma?».

È stato un pianto un po’ tardivo?

«E quando doveva farlo, appena nata? Non mi sembra che abbia mai manifestato amore per il fascismo. C’è quella sua intervista a 16 anni… Ma lei si riconoscerebbe in ciò che pensava a 16 anni? È politicamente scorrettissimo rinfacciargliela, per altro da parte dei più strenui militanti del politicamente corretto».

È giusto che il nuovo governo estenda la sua influenza nei posti di comando o dovrebbe mostrarsi più liberale?

«A me sembra sia una cosa normale, sempre avvenuta e sia giusto che avvenga. L’esempio americano di spoil system è limpido e nessuno si scandalizza. Piuttosto dev’esserci attenzione affinché vengano scelti uomini di qualità perché se sostituisci un bravo avversario con un amico inetto ti giochi una fetta di credibilità».

Dopo decenni di egemonia culturale della sinistra è giusto puntare a una nuova mappa?

«Ho paura delle egemonie di sinistra come di quelle di destra. La cultura è un unicum in movimento e non ha colore… Non auspico che si passi dal rosso al nero, ma che si realizzi un processo di maturazione attraverso la scuola e nelle istituzioni, senza preoccuparsi di instaurare nuove egemonie».

Qualcuno osserva che Meloni è troppo timida, per esempio sulla Rai.

«Il governo è in carica da due mesi e sta affrontando la legge di bilancio e il Pnrr. Buttarsi sulla Rai sarebbe una mossa goffa e sbagliata. Credo sia una necessità da affrontare in un secondo momento, sempre se ci saranno gli uomini giusti per farlo».

Concorda con la decisione del ministro Giuseppe Valditara di vietare l’uso dei cellulari in classe?

«Certamente, il cellulare è uno strumento privato che permette attività che non c’entrano con il lavoro scolastico. Spero che verrà un momento in cui le classi saranno dotate di computer per favorire una didattica più adeguata e moderna. Una cosa è aiutare la ricerca, un’altra andare su TikTok. Finché non si potrà fornire tutti di i-pad è corretto proibire il cellulare. I miei figli li mando a scuola senza telefono senza che me lo dica il ministro».

Non legge Tolkien né Roger Scruton: che autore consiglierebbe a Meloni?

«Premetto che non detesto Tolkien, ma non ho interesse per Il Signore degli anelli. Personalmente trovo affascinante Yuval Noah Harari, l’autore di Homo Deus. Breve storia del futuro e 21 lezioni per il XXI secolo».

Vorrebbe maggiore attenzione alla contemporaneità?

«Auspico una classe dirigente più vigile e progettuale sul futuro. Per esempio, il problema della denatalità è gravissimo perché si rischia la scomparsa di un popolo e di una cultura. Giustamente ci vantiamo del made in Italy, ma quando non ci saranno più persone in grado di realizzarlo sparirà. Servono misure energiche per favorire la natalità, uno dei problemi principali del nostro Paese».

Il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo dice che nel 2070 ci saranno 11 milioni d’italiani in meno.

«Il cittadino comune se ne frega del 2070, ma è giusto che gli uomini di Stato si pongano questo problema come priorità assoluta. Progettare il futuro è il massimo compito della politica».

 

La Verità, 24 dicembre 2022

«Nel populista Grillo rivedo il primo Mussolini»

«Sì, certo, il Vittoriale è una grande avventura. E spero di presiederlo ancora diversi anni, c’è tanto da fare. Tuttavia, non vorrei che fosse come quei ruoli, pur molto amati, dai quali certi attori non riescono a emanciparsi». Giordano Bruno Guerri non è solo il manager culturale che ha trasformato la dimora di Gabriele D’Annunzio, un sito dall’immagine polverosa ferma alla Prima guerra mondiale, in un’istituzione innovativa al centro di una miriade d’iniziative, eventi, festival. Storico, studioso del fascismo, autore di inchieste rumorose, già direttore editoriale della Mondadori, direttore di giornali e riviste, editorialista, avrebbe potuto starsene a Roma a firmare documenti salvo qualche trasferta una tantum. Invece, si è stabilito sul Garda con la famiglia per dedicarsi senza riserve. Ora, mentre lui tiene la posizione, la moglie Paola e i figli Nicola Giordano e Pietro Tancredi, si sono spostati a Lanzarote, Canarie, «dove ho trovato un’ottima scuola per i ragazzi, la vita costa poco e io li posso raggiungere in 4 ore di volo low coast da Bergamo».

L'ingresso del Vittoriale degli italiani di cui Guerri è presidente: nel 2017 258.000 visitatori

L’ingresso del Vittoriale degli italiani di cui Guerri è presidente: nel 2017 258.000 visitatori

L’inizio è obbligato, Guerri: il nome è un programma?

«Ho diffuso molte leggende. La verità è che un nonno voleva chiamarmi Bruno e l’altro Giordano, così è saltato fuori questo nome doppio. Ma non sapevano chi fosse Giordano Bruno, tant’è vero che mi hanno battezzato. Però è stata una fortuna, quel nome sembra uno spot».

Il prodotto ne mantiene le promesse?

«Ho avuto un’educazione religiosa, ho fatto il chierichetto e frequentato l’oratorio. Fino all’abituale crisi religiosa adolescenziale. Non sono anticlericale, nel clero ci sono bravissime persone. Da libertario nutro diffidenza verso una religione che dipende da un testo sacro. Per di più, avendo scritto Gli italiani sotto la Chiesa, conosco gli effetti benefici, ma anche quelli malefici che ha causato al nostro Paese».

Ha scritto anche Io ti assolvo, registrando i preti nei confessionali.

«Fu un gesto maleducato, ma indispensabile. Era l’unico modo per sapere cosa dice la Chiesa ai penitenti».

E scoprì che i preti erano cupi moralisti.

«Il primo pensiero era la morale sessuale. Lo spunto era venuto dai vescovi olandesi, per i quali non era giusto che i bambini facessero la confessione non essendo in grado di capirla».

Lei non poteva fingersi bambino.

«Ma ricordavo bene quanto il mio prete, un salesiano, rompesse le scatole sul sesso: “Dovete confessare tutto”, ammoniva, “se no quando l’ostia si poserà sulla lingua diventerà un tizzone ardente”. Siccome avevo già deciso di non raccontargli i fatti miei, passai giorni di terrore in attesa della prima comunione».

Con papa Francesco è tutto superato?

«Con il catechismo olandese sono convinto che i bambini non debbano accedere alla confessione prima degli 11 anni. Non mi pare che questa regola sia stata applicata».

Le piace Bergoglio?

«È un innovatore e mi sembra che vada nella direzione di una maggiore apertura della Chiesa».

Libertario, anarchico, anticlericale: come si definirebbe?

«Anarchico, come ateo, è una definizione assoluta nella quale non mi ritrovo. Mi considero antireligioso perché la religione è il non pensiero. O meglio, è un pensiero preconfezionato».

Antireligioso vuol dire anticristiano?

«Tutt’altro, non posso non dirmi cristiano. Per fortuna il cristianesimo ha vinto e imposto i suoi valori. Uno dei bersagli di Cristo era il sacro. Il cattolicesimo, invece, è il trionfo del sacro».

Forse per chi lo identifica con la morale.

«E con che cosa va identificato? In concreto: insegno ai miei figli il senso dello stare insieme e del volersi bene. Però contesto le feste come momento strumentale ed evito di imbottirgli la testa con troppe pippe sul Natale, la Pasqua e la famiglia tradizionale».

Il cristianesimo è qualcosa di più, è credere che Gesù Cristo è il salvatore. Dio avrebbe potuto salvarci schioccando le dita, invece ha fatto diventare il suo unico figlio uno di noi: non c’è in nessuna religione.

«Se si crede in questo… Per me Cristo è un grande rivoluzionario. Anche la storia dell’unico figlio, sai che roba: Dio poteva mandarne cento di figli».

Complicato serializzare l’immacolata concezione.

«Anche l’immacolata concezione regge poco».

È il modo attraverso il quale Cristo è uomo e Dio perché concepito senza peccato.

«Guardi, l’ho risolta così: un creatore che ama la vita avendola creata sarà contento di incontrarmi perché anch’io l’ho molto amata e onorata. E quando mi vedrà, allargando le braccia, dirà: “Finalmente”».

Non ne dubito. Le piace di più il lavoro di manager culturale o di storico?

«Faccio ancora lo storico, per fortuna. A maggio uscirà per La nave di Teseo il seguito dell’Antistoria degli italiani, da Romolo a Giovanni Paolo II: 150 pagine col nuovo sottotitolo: da Romolo a Grillo».

La sua biografia di Gianni Agnelli è stata bloccata?

«La biografia di 700 pagine è terminata e nessuno l’ha bloccata. Deve uscire in contemporanea nei Paesi per i quali è in fase di traduzione in sette lingue».

C’è una data?

«Il 2019, verosimilmente la seconda metà».

Come ha fatto a togliere a D’Annunzio l’alone di intellettuale protofascista?

«Questa è stata la vera impresa. Peraltro, non ancora completata. Abbiamo riscoperto D’Annunzio in tutta la sua grandezza di genio rinascimentale piantato nei nostri tempi».

Oltre alle esposizioni D’Annunzio eroe e D’Annunzio segreto, all’Automobile è femmina, al ripristino del laghetto, del canile, all’aumento dei visitatori, alle donazioni di Martino Zanetti, dello scultore Velasco Vitali, della biblioteca di Ida Magli, all’illuminazione serale e tutto il resto, colpisce la rinuncia ai finanziamenti statali, mentre tutti li bramano.

«È stata una scelta di gestione. In cambio ho ottenuto un consiglio d’amministrazione agile e maggiore libertà di manovra. Se il Vittoriale non fosse stato privatizzato dovrebbe fare entrare gratis i visitatori ogni prima domenica del mese, come fanno, giustamente, i musei statali. Il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini ha annunciato per il 2017 50 milioni di visitatori e 200 milioni d’incassi, ovvero 4 euro a biglietto. Al Vittoriale l’ingresso costa 11 euro. È come se avesse totalizzato un fatturato di 750.000 visitatori e non di 260.000, che pure sono un record».

Che cosa pensa della scelta di Franceschini di affidare la direzione di importanti musei a direttori stranieri?

«Ha fatto benissimo, ha indetto un concorso internazionale. Con il patrimonio artistico di cui disponiamo dobbiamo avere i manager migliori».

Lei diventò direttore di Storia illustrata senza essere giornalista: cos’era successo?

«La Mondadori mi chiamò dopo il successo del libro su Maria Goretti. Avvertii che non avevo mai messo piede in un giornale. Però presi confidenza con il nostro strano mondo fin dal primo giorno quando trovai sulla scrivania la lettera che dovevo firmare e spedire all’Ordine dei giornalisti: “Io sottoscritto Giordano Bruno Guerri, direttore di Storia illustrata, dichiaro che il signor Giordano Bruno Guerri sta svolgendo il praticantato sotto la mia direzione”».

È vero che da ragazzo ha chiesto l’elemosina?

«Vero, nella stazione della metropolitana di Cordusio e girando l’Europa in autostop. Lo facevamo sull’esempio dei Beatnik e dei Provos: uno sberleffo di cui non mi vergogno affatto».

Era anche un gran libertino: mi dice l’esperienza più trasgressiva pubblicabile su un giornale?

«Che ne so, sono stato con quattro donne insieme. Ma erano cose normali, situazioni che capitavano negli anni Settanta in epoca pre Aids e di liberazione sessuale a tutti i costi. Non si aveva l’idea di compiere chissà quale performance. Era un lusso: complicato, faticoso e non cercato. Dove si finiva più che altro per ridere. Soprattutto se si presentava la quinta».

Che cosa pensa della vicenda delle molestie, della subalternità delle donne e delle rivelazioni a scoppio ritardato?

«Che è giustissimo sollevare il problema, soprattutto in certi ambienti e per certe professioni. Solo che il problema delle attrici si sta riverberando ovunque. Non penso che mettere una mano sul ginocchio di una signora nell’intento di corteggiarla vada considerata una molestia. Può dire “no, grazie” e tutto finisce. È un atto che sta nel rapporto tra uomo e donna, l’intraprendenza da una parte, il rifiuto dall’altra».

Si definisce liberale, liberista, libertario: che cosa l’ha fatta diventare ex libertino?

«Mia moglie. Essermi innamorato di una donna straordinaria mi rende talmente felice e soddisfatto da non avere altri desideri. Mi posso vantare di dodici anni di fedeltà assoluta, spontanea e gioiosa. L’unica volta che ebbi un incarico politico, nel comune di Soveria Mannelli, in Calabria, scelsi di fare l’assessore al “Dissolvimento dell’ovvio” per andare contro la cultura imperante e la standardizzazione. Oggi sceglierei la carica di assessore al “Ripristino dell’ovvio”: fedeltà, lavoro regolare, attenzione agli altri».

Giordano Bruno Guerri con la moglie, la scrittrice Paola Veneto: «Da 12 anni sono felicemente fedele»

Giordano Bruno Guerri con la moglie Paola Veneto: «Da 12 anni sono felicemente fedele»

Sua moglie Paola Veneto ha fatto il miracolo. Come l’ha conosciuta?

«Venne a farmi un’intervista su Pier Paolo Pasolini e siccome godevo di cattiva fama si presentò accompagnata da un signore alto due metri. È un’autrice teatrale che parla quattro lingue e fa traduzioni».

Aldo Busi ed Eva Robin’s, amicizie che le mancano?

«Aldo Busi sì perché gli voglio molto bene. È un grande scrittore oltre che un uomo buono che temo soffra molto di solitudine. Eva Robin’s è una simpatica amica».

E Leonardo Mondadori?

«Era un grande amico con il quale litigai per quel libro sui confessionali. Per fortuna ci siamo rappacificati prima della sua morte prematura».

Altri rapporti che rimpiange?

«Per lo più quelli con persone scomparse, Pier Vittorio Tondelli, Moana Pozzi. La perdita maggiore è stata Ida Magli, aveva più di novant’anni. Avvicinando questi tre nomi ammetto una certa irregolarità».

Chi è il giornalista più stimolante e intelligente con cui ha lavorato?

«Me stesso».

Se dovesse scegliere un’idea da imprimere nel cuore dei suoi figli?

«Libertà. Soprattutto di pensiero e di comportamento».

Nel film di prossima uscita Sono tornato Mussolini dice: «Eravate un popolo di analfabeti, dopo ottant’anni torno e vi ritrovo ancora un popolo di analfabeti». Ha ragione?

«Forse sì, i dati sulla lettura non sono incoraggianti. Il primo fascismo era un movimento populista. Se Mussolini fosse nato negli anni Sessanta non avrebbe fatto le camicie nere, le leggi razziali, le guerre. Era un uomo che mirava a trasformare la società, usando gli strumenti e i bisogni dell’epoca. Oggi farebbe tutt’altro. La figura più simile è Grillo non perché sia fascista, ma perché ha trovato gli strumenti, la chiave inglese del numero giusto, per provare a intervenire nel presente».

Non nel senso che Grillo è un potenziale dittatore.

«Esatto».

Voterà per il M5s?

«No, perché il M5s è un movimento di massa e io non mi riconosco nella massa. Un giorno un importantissimo uomo politico di cui non le dirò il nome mi disse: “Lei è un uomo partito, deve fondare un partito”. Sono economicamente di destra, liberalismo e mercato, e socialmente di sinistra, eutanasia e diritti civili. In questo, mi sento un anarchico di destra. Tant’è vero che fino a quando c’era Marco Pannella votavo radicale».

Adesso Emma Bonino è affiliata al Pd.

«Affiliata al Pd e con il simbolo di Bruno Tabacci. Ma a parte questo dettaglio tecnico e la Bonino che è persona stimabile, mi pare che i radicali siano più divisi del lecito e abbiano perso forza d’impatto nella società».

Il presidente Sergio Mattarella ha detto che il fascismo non ha meriti.

«È una visione parziale. A titolo di storia: la scolarizzazione massiccia, la frenesia di opere pubbliche, le bonifiche, la lotta alla tubercolosi, l’avvio della previdenza sociale…».

Vede il pericolo del ritorno del fascismo?

«La rete dell’Europa e della globalizzazione non lo consentirebbero mai. Non parliamo del fascismo con gli stivali, ma neanche delle forme più soft. A meno che non si verifichino drammatiche crisi economiche».

Di Casa Pound cosa dice?

«Che so’ ragazzi».

Gene Gnocchi su La7 durante la copertina delle polemiche

Gene Gnocchi su La7 durante la copertina delle polemiche

Quanto ha sbagliato Gene Gnocchi su Claretta Petacci?

«Una volgarità di una ingiustizia umana e storiografica indicibile».

Ma lei era davvero una donna senza macchia che si è immolata per amore?

«Aveva un fratello stronzo, ma amava Mussolini. Innamorata e per di più fascista: immagini che cosa rappresentasse per lei quell’uomo».

C’è spazio per una destra autorevole, credibile, colta? O la destra è solo quella dei cinepanettoni?

«Lo spazio c’è, ma resta da vedere se c’è quella destra credibile, autorevole e colta. Forse è scarsamente rappresentata e allora acquistano rilevanza fenomeni come Casa Pound. L’intellettuale di sinistra è più portato alla conciliazione. Quelli di destra è difficile che si mettano a lavorare a uno scopo comune. Credendo molto nell’individuo, sono individualisti».

La Verità, 28 gennaio 2017