Tag Archivio per: Zan

«Sono complesso: sì al ddl Zan, no all’aborto»

Alfonso Signorini è uomo di chiaroscuri e contraddizioni. Sono la sua ricchezza, la sua poliedricità. Direttore del settimanale Chi, conduttore del Grande Fratello Vip, regista di opere di grandi compositori. Nel salone dell’attico a San Felice (Milano) a un passo dalla Mondadori, campeggia un pianoforte a coda. Per esercitarsi ogni giorno ne avrà uno, più piccolo, anche nel camerino di Cinecittà, dove lunedì debutterà il reality di Canale 5. Al piano inferiore, invece, c’è la palestra: «Faccio pesi e corsa, ho bisogno dei miei spazi… Finita la puntata del giovedì, riparto subito per arrivare qui all’alba e godermi il fine settimana». Quest’anno Signorini festeggia vent’anni di carriera televisiva.

Perché consiglia di guardare la settima edizione del Grande Fratello Vip?

«Per staccare la spina. Ci aspetta un autunno con tanti punti di domanda, i rincari delle bollette, la necessità di essere parsimoniosi. E le spade del Covid e della guerra che ancora pendono sulle nostre teste. Il Grande Fratello è tv di svago e intrattenimento, sebbene l’intrattenimento fine a sé stesso alla lunga mi annoi».

In che senso?

«Mi piace di più raccontare le persone. Il pubblico può affezionarsi e immedesimarsi nelle loro storie, nei loro sentimenti. Con Mediaset play i concorrenti entrano nella quotidianità dei telespettatori, la loro vita è la tua vita».

Che cos’ha di diverso questa stagione dalle precedenti?

«Quando Pier Silvio Berlusconi mi propose di condurlo accettai con entusiasmo a patto di poterlo fare a modo mio. Ho tolto i giochi e puntato sull’emotainment. Quest’anno nel cast ci saranno meno nomi da locandina come Katia Ricciarelli, Rita Rusic, Michele Cucuzza o Barbara Alberti. Ad arrivare in fondo sono quasi sempre concorrenti giovani come Tommaso Zorzi o le sorelle Selassié, persone che il grande pubblico non conosce, ma che poco alla volta diventano centrali».

Però non è riuscito a mantenere segreto il cast.

«I nomi ufficiali sono tre su 24. Giovanni Ciacci, Pamela Prati e Wilma Goich, persone molto diverse tra loro. Il resto sono chiacchiere del Web».

Secondo queste chiacchiere, quest’anno la categoria inedita sarebbe rappresentata dalla transgender Elenoire Ferruzzi: c’è qualcosa di più mainstream del gender?

«È vero, è un tema caldo. Ma essendo stato a lungo compresso ora vuole conquistare la ribalta. È uno schiaffo alla comunicazione come lo è stato l’anno scorso parlare di disabilità con Manuel Bortuzzo in un format d’intrattenimento».

Ciacci e la Ferruzzi o chi per lei al Gieffe, Cristiano Malgioglio su Rai 3, Alex di Giorgio che su Rai 1 danzerà con un partner gay, le drag queen su Rai 2: non c’è una sovraesposizione dei gay in tv?

«È un’osservazione giusta se guardiamo al numero. Ma è una lettura che diamo noi che siamo legati alle categorie e agli orientamenti sessuali. Non certo i ragazzi che hanno una mentalità più fluida e aperta. Dopo decenni, anzi, secoli di oscurantismo, ben venga la sovraesposizione. E poi bisogna vedere come si raccontano queste storie».

Non le piacciono i gay rappresentati come macchiette, ma difende i Gay pride che ne sono l’esasperazione carnevalesca.

«Anche se non salirei mai su un carro perché è una manifestazione lontanissima da me, tuttavia la difendo perché difendo la libertà di espressione di chi lo fa. Lo stesso Malgioglio è lontano da me per come si pone, però difendo la sua libertà di essere in tv».

Non ama il macchiettismo omosex, ma invita una drag queen.

«So di apparire contraddittorio, ma voglio mostrare cosa c’è sotto la maschera. Le racconto un aneddoto…».

Prego.

«Premetto che non faccio paragoni con i transgender, quando frequentavo il liceo, tornando a casa attraversavo un tratto di strada dove sostavano le prostitute. Mia madre mi metteva in guardia dal fermarmi. Invece io ne ero affascinato e diventai amico di un paio di loro. Mi raccontavano le loro storie, spesso tra le lacrime, con il trucco che colava sul viso. Ho ancora in mente quei volti imbrattati… Ora voglio raccontare la destrutturazione della maschera».

È favorevole al ddl Zan, giornata sulla teoria gender nelle scuole compresa?

«Sì, sempre per riscattare il silenzio che c’è stato finora. Ed essendo convinto che, in realtà, non ce ne sia bisogno perché i ragazzi sono già informati e quindi si sfonda una porta aperta».

Invece, è sempre contrario all’aborto?

«Escludendo le spinose questioni dell’aborto terapeutico e dei soprusi sessuali, difenderò sempre la vita e mi scaglierò sempre contro la superficialità con cui a volte si decide d’interrompere una gravidanza».

Gli omosessuali la adorano e le femministe la odiano?

«Quando si prendono delle posizioni non si può sempre essere amati da tutti».

Lei non fa vita mondana, ma i suoi programmi e il suo giornale alimentano la mitologia vippaiola: c’è una contraddizione o mi sfugge qualcosa?

«C’è una profonda contraddizione, alimento quel mondo dal quale prendo quotidianamente le distanze. Ma mi diverte e credo di avere una lucidità che può venire solo dalla non frequentazione».

La prende di più il debutto del Grande Fratello o della Cavalleria rusticana di cui ha curato la regia?

«Sono due esperienze diverse, entrambe molto emozionanti. L’opera richiede un lavoro di preparazione così certosino che ti sembra di costruire una cattedrale. Per il Grande Fratello l’impegno è doppio perché nella scelta del cast, se sbagli non dirò uno ma due elementi sbagli il programma, poi c’è il working progress. In entrambi i casi vorrei evitare la vigilia, saltando alla prima in teatro e alla diretta in tv. Comunque, non sento lo stress forse perché sono incosciente».

Come riesce a dirigere giornali, condurre programmi, fare regie di opere?

«Non sono cose diverse, la vita è fatta di tanti colori. Mi piace cantare Mille di Fedez con Orietta Berti e suonare al piano Canzone napoletana di Tchaikovsky. Sono goloso di tutto».

Il mondo della lirica è selettivo?

«Purtroppo trovo che lo sia sempre meno. I cantanti sono macchine costrette a correre sempre a tavoletta con le inevitabili conseguenze per la voce e il fisico. Se un interprete fa una bella Traviata in un teatro di provincia, l’anno dopo lo troviamo già alla Scala o al Metropolitan. È un mondo inquinato dagli agenti che fanno e disfano i cartelloni a loro piacimento. In confronto, Beppe Caschetto e Lucio Presta sono Alice nel paese delle meraviglie. Nella lirica ci sono lati oscuri su cui varrebbe la pena indagare: lo dico da giornalista, non da regista».

Come sono accolte dagli addetti ai lavori le sue regie?

«All’estero benissimo, in Italia meno. Qui siamo schiavi dei luoghi comuni: il direttore di Chi o il conduttore del Grande Fratello non può essere un buon regista. Nei teatri italiani si affidano opere a registi che non sanno leggere la musica, ma chissà perché sono considerati la quintessenza della cultura».

E magari cambiano i libretti.

«Quando alla prima della Scala vedo Lady Macbeth su un ascensore mi viene mal di stomaco. Pensando di lasciare il segno si stravolgono le opere. Io mi riconosco nella scuola di Franco Zeffirelli e di Giorgio Strehler che furono rivoluzionari nel rispetto della tradizione. La Cavalleria rusticana è di Mascagni, la Turandot è di Puccini, non di Signorini o del regista di turno».

Nel mondo della televisione ha amici?

«Pochissimi. Con Maria De Filippi ci confrontiamo costantemente. Io la ascolto e lei mi ascolta».

Ilary Blasi lo è?

«Non a questi livelli. È una collega che ho imparato a stimare nel tempo. Non ci frequentiamo oltre il lavoro, per andare in vacanza o a cena. In generale, non frequento gli ambienti della televisione».

Perché non le piace o perché è solitario?

«Sostanzialmente sono un solitario. Frequento pochi amici che non appartengono al giornalismo o al mondo dello spettacolo. Sono molto corporativo nell’amicizia, credo che sia l’espressione più nobile dell’amore. Siamo una specie di comune tipo Le fate ignoranti, poi ognuno ha la sua vita. Tengo molto a questi rapporti, sono geloso, non voglio interferenze».

Quando ha saputo della crisi tra Ilary e Francesco Totti?

«L’ho saputo da Dagospia. Roberto D’Agostino è un maestro in queste cose. Avendo lavorato con Ilary, mi è capitato di andare a cena con entrambi a fine serata. Avevo visto sempre grande complicità tra loro anche nell’accettare eventuali sbandate di entrambi. Quando è uscita la notizia, nella fase più delicata non ho mai preso in mano il telefono per sentire lui o lei perché la cosa m’imbarazzava. Mi spiace che due persone che si sono volute molto bene si lascino malissimo».

È combattuto quando deve pubblicare una notizia delicata riguardante una persona cara?

«Chi non lo sarebbe? Poi bisogna vedere perché la notizia è delicata. Se si tratta di un tradimento, pubblico anche se riguarda una persona cara. Dirigo Chi, non Famiglia cristiana. Ognuno è responsabile di ciò che fa. Quando ho pubblicato la foto di Totti che usciva dalla casa di Noemi Bocchi, lui mi ha detto, tramite un intermediario, “però ho dei figli”; io gli ho risposto: «ci dovevi pensare prima tu ai tuoi figli»».

Andrà a votare?

«No, non lo faccio da anni».

La politica le è mai interessata?

«Mai, sono i politici che s’interessano a me».

In che senso?

«I leader di partito vogliono apparire su Chi che qualche voto lo sposta e per questo accettano anche di posare. Giorgia Meloni ha fatto il servizio fotografico sopra i tetti di Roma, Giuseppe Conte si è fatto fotografare con un toro maremmano, poi Berlusconi, Salvini, Letta, a tutti lo stesso spazio».

Sono vent’anni che fa televisione: se dirigesse Canale 5 che programma affiderebbe ad Alfonso Signorini?

«A pensarci bene, preferirei dirigere Rete 4 perché lì sarebbe più possibile ritagliarmi lo spazio per un talk in seconda serata. Un programma con tutti i sapori dell’attualità, dallo spettacolo alla musica alla politica».

Un po’ come Kalispera!, il programma nel quale si riconosce di più?

«Più attaccato all’attualità, dalle corna tra Totti e Blasi alla campagna dei leader nella comunicazione fino alle mode lanciate dalle influencer. Sì, a Kalispera! sono molto affezionato perché ha precorso tanti generi, dai cooking show a certe cose viste in Casa Mika. Poi è il programma che con l’intervista a Ruby Rubacuori ha tuttora il record di ascolti della seconda serata di Canale 5, con picchi al 40% e 3,5 milioni di telespettatori».

A quello scoop concorsero tante componenti.

«Ovvio che sì. Fin troppe».

 

La Verità, 17 settembre 2022

«Si voterà nel ’23, quando tutto sarà cambiato»

Nonostante il pizzo mefistofelico i tatuaggi e gli anelli, Roberto D’Agostino, visionario titolare del sito Dagospia (3,5 milioni di pagine visualizzate al giorno), sa interpretare il ruolo del saggio, del politologo, dell’analista attaccato alla realtà e ai problemi della gente. «Davvero», dice, «pensiamo che un padre di famiglia quando torna a casa dica a sua moglie: hai visto che hanno segato l’uomo di Giorgia Meloni nel Cda della Rai? Oppure che l’operaio che si alza alle sette del mattino per andare in fabbrica abbia come primo pensiero cosa si son detti Beppe Grillo e Giuseppe Conte al ristorante? Io penso di no, penso che il distacco tra la vita dei cittadini e la narrazione dei media sia ormai abissale».

Un po’ l’ha colmata la sbornia degli Europei?

«Un po’ sì, ma non parliamo di sbornia. La politica è anche un fatto emotivo».

La politica?

«Anche lei vive di emozioni. Il Covid ci ha sconvolto anche perché è venuta a mancare la fiducia negli altri. La vittoria agli Europei rimette in circolo energie nuove».

Si parla di Rinascimento italiano.

«Più che altro una Rinascente cheap. Quello che lei chiama sbornia è un’onda emotiva che arriva dopo un anno e mezzo di afflizione, i 120.000 morti, i camion di Bergamo, le bare ammassate. La Nazionale ha fatto gridare “Viva l’Italia” a tutti, facendo tornare il senso di appartenenza e dello Stato».

Addirittura.

«Di solito quando si parla di senso dello Stato viene l’orticaria perché si pensa alle tasse. Ma dopo la pandemia si pensa anche che con le tasse si costruisce un ospedale che serve quando stai male. La vittoria degli Europei è come un integratore per affrontare il post Covid».

Tutti patrioti? Qualcuno ha scritto che è tornato il piacere abbracciarci…

«Stato vuol dire fiducia, come la Galbani della pubblicità di una volta. Si ricomincia a fidarsi degli altri anche se sappiamo di correre un rischio. Infatti, tanti portano ancora le mascherine nonostante si possa stare senza. Questa vittoria è come un tiramisù. Al contrario, i no-vax pensano solo alla loro libertà e non che può danneggiare gli altri. Io sto con Macron: la mia libertà finisce quando mette a rischio quella di un altro».

Per la Nazionale abbiamo fatto due giorni di rave e adesso ci vuole il green pass per andare al bar?

«I festeggiamenti di domenica sera erano difficilmente gestibili, anche le forze dell’ordine guardavano la partita. L’errore è ciò che è accaduto il giorno dopo, con la gente assiepata attorno al pullman e senza mascherina. La trattativa Stato-Bonucci è qualcosa d’insostenibile. Si sa che il pullman era già stato preparato, Bonucci stia tranquillo. Ma Draghi non può gestire tutto, ci sono i ministeri competenti. Toccava alla Lamorgese gestire la grana, ma non l’ha fatto».

Non l’ha infastidita un certo eccesso di retorica: la Nazionale simbolo di concordia, Mancini gemello di Draghi?

«Ognuno scrive quello che vuole. L’editoriale di un quotidiano non è le Tavole della legge».

È bastato rimettere all’ordine del giorno il ddl Zan per vedere la concordia andare in frantumi?

«Da una parte c’è la politica politicante, dall’altra 60 milioni di cittadini che dopo due anni come questi hanno ricevuto un’iniezione di fiducia e positività. Non credo che le sorti del ddl Zan incidano sulla quotidianità dei cittadini. In periferia o in un paesino nessuno s’interroga sull’identità di genere. Sono pippe dei giornali. Le persone comuni hanno altre priorità. Mio figlio troverà un lavoro? Riuscirò ad arrivare a fine mese? Sarò licenziato dopo la fine del blocco?».

Chi esce meglio dalla curva?

«I cittadini. Molto meglio della politica, che si balocca con questioni superflue. Immagino tanti lettori che aprono i giornali e mandano affanculo politici e giornalisti. La pace tra Conte e Grillo, i consiglieri del Cda Rai: chi si alza alle sette del mattino per andare a lavorare guarda a questi mondi come agli animali dentro le gabbie di uno zoo. Col mio sito lavoro in un altro modo».

Cioè?

«Il direttore è un algoritmo che mi dà in tempo reale il traffico degli articoli più letti. Così capisco gli interessi prioritari. Se il pubblico mi chiede la ricotta prendo la ricotta e la metto in vetrina. Il cliente ha sempre ragione, questo è il barometro. Ho 3,5 milioni di pagine visitate al giorno. I giornali raccontano le correnti del M5s o del Pd, mentre i cittadini si chiedono perché non si affronta il problema del debito pubblico che viaggia verso i 3.000 miliardi».

Il distacco tra popolazione e narrazione è colmabile?

«A questo punto non lo so. Fossi direttore di un grande quotidiano mi chiederei perché i lettori rifiutano il mio prodotto. Qualche anno fa Repubblica e Corriere vendevano 6/700.000 copie ora sono a 100.000. Il Fatto quotidiano era sopra le 100.000 ora è a 25.000».

Ci si informa anche in altri modi?

«In parte sì. L’edicola sta diventando un residuato bellico come la cabina del telefono. Però i giornali cartacei hanno stravenduto il giorno dopo la vittoria dell’Italia. Vuol dire che i lettori volevano avere un  ricordo del trionfo acquistando il giornale con il poster della squadra vincitrice. Se dai, in cambio ricevi».

Responsabilità dei giornali ma anche dei vari Enrico Letta, Matteo Salvini eccetera?

«Purtroppo i nostri leader non hanno un’idea seria della politica, di come sono cambiati gli equilibri geopolitici dopo l’arrivo di Joe Biden alla Casa bianca, dopo l’avvento della Brexit, dopo la crescita del ruolo della Cina che sta sostituendo gli Stati uniti e ha in mano tutta la produzione strategica, dalle auto alla telefonia. Con tutto questo, noi continuiamo a parlare del consigliere di Fratelli d’Italia in Rai».

E Draghi?

«Non pensa al Quirinale. Punta a diventare il successore di Charles Michel alla presidenza del Consiglio europeo. Invece sul piano del carisma, prenderà il testimone da Angela Merkel. Già adesso Biden parla solo con lui, anche per la debolezza di Macron.

Con questi nuovi scenari hanno ragione Meloni e Salvini a credere che dopo Draghi toccherà a loro?

«Da qui al 2023, quando si andrà a votare, vedremo cambiamenti copernicani. Già ne abbiamo le avvisaglie. Il più draghiano dei leader è Salvini, che è una sorta di pontiere del centrodestra nel governo. Quando di recente Forza Italia si è incazzata per la mediazione della Cartabia con i 5 stelle è stato Salvini a fare da pontiere. Tutto cambia. Basta guardare il patto tra i due Matteo che, con la regia di Denis Verdini, vecchia volpe democristiana, stanno lavorando a una federazione centrista con Berlusconi e Forza Italia».

Quindi l’idea della federazione resiste?

«È l’approdo futuro. Salvini non parla più di migranti e ong, ma di giustizia. La politica in Italia sta vivendo una trasmutazione, a destra nascerà un centro con Salvini, Renzi, Calenda e Berlusconi. Questo dispiacere dato alla Meloni è un segnale: tu resta a destra, al centro stiamo noi».

Conviene lasciar fuori il partito più in crescita dell’area?

«Se l’ideologo della Meloni è Guido Crosetto che è presidente dell’Aiad (Aziende italiane per l’aerospazio e la difesa ndr), apparato di Stato da Fincantieri a Leonardo, che opposizione può fare».

Al di là dell’opposizione è conveniente per il centrodestra escludere il partito più in salute?

«Questo riguarda l’ego dei leader. Non si può parlare di alleanze e poi ci si comporta da ducetti. Il problema di Salvini era che prima twittava e poi ragionava. Ora ha capito che bisogna capovolgere il processo e che la politica è mediazione. Con i fondi del Recovery in arrivo non possiamo permetterci di mandare il Paese al macero. Bisogna mediare gli obiettivi di parte con il bene del Paese. E poi c’è un altro discorso…».

Prego.

«Oltre allo Stato c’è il Deep State, lo Stato profondo. Burocrazia, magistratura, servizi segreti, macchina dei ministeri: tutte realtà che sia Renzi che Salvini in passato hanno trascurato. Pagandone il conto».

Nel centrosinistra niente rivoluzioni copernicane?

«L’idea di Goffredo Bettini che vedeva Conte punto di riferimento dei progressisti è entrata in crisi».

Infatti Bettini sta tornando in Thailandia.

«Per Letta il governo Draghi è il governo del Pd. Ma Conte è contrario alla riforma Cartabia mentre il Pd è a favore. Perciò anche quest’asse è in discussione. Cosa siano oggi i 5 stelle nessuno lo sa».

Quanto crede alla pace di Bibbona?

«Ah, saperlo…».

Conte è andato a Canossa?

«Non so. Se Conte piazza una persona sua in un posto di rilievo Grillo potrà sfiduciarla. Mi sembra una diarchia che non ha grande futuro».

Invece Letta ce l’ha?

«Con il 18% come fa a tornare a Palazzo Chigi? Tanti gli consigliano di aprire a Salvini, così che in futuro ci possa essere un’alleanza con la federazione di centro. Che nel Pd potrà essere appoggiata dalla corrente maggioritaria, formata da ex renziani».

Letta è la persona giusta per aprire a Salvini?

«Credo che le amministrative del 20 ottobre daranno una botta a tante posizioni ideologiche. Si capirà se l’alleanza con i 5 stelle ha un futuro. E se ce l’ha Letta. Nei grandi Paesi europei governano le grosse coalizioni. In Germania i socialdemocratici con i democristiani, in Francia i gaullisti con Macron. In Italia potrà nascere un governo di centrosinistra con la federazione di Verdini, Salvini e Berlusconi alleata al Pd: un governo fattuale, che toglie di mezzo troppe battaglie di bandiera».

Chi è messo meglio in vista delle amministrative di ottobre?

«Credo che il risultato lascerà molti a bocca aperta. Dopo due anni di Covid non sappiamo come si orienteranno gli elettori. Molti sondaggi sono apertamente taroccati e io vorrei avere la palla di vetro per capire cosa ci aspetta. Abbiamo ancora un Parlamento con il 32% di grillini eletti…».

E tra poco inizia il semestre bianco in preparazione alla successione di Mattarella?

«Il copione del Quirinale è tale e quale a quello usato per Napolitano. Mentre Mattarella continuerà a dire di voler tornare a dedicarsi ai nipotini, dopo le prime fumate nere tutte le forze politiche andranno in fila indiana a dirgli di restare. E lui accetterà. Poi nel 2023, con il nuovo Parlamento, si deciderà in base al voto dei cittadini».

E i vari Casini, Veltroni, Franceschini, Berlusconi?

«No future».

 

La Verità, 17 luglio 2021

«La Rai fa propaganda, chi è pro famiglia è oscurato»

Occhiali robusti e barba hipster, Jacopo Coghe, ha 36 anni e quattro figli. «Il quinto è in arrivo. Stiamo provando a mettere in crisi la crisi demografica».

Nobile impegno, siete sposati da molto?

«Dodici anni, quasi un figlio ogni due».

Avrete un bel da fare.

«Giornate strapiene».

Professione?

«Io ho un’azienda di comunicazione grafica e stampa pubblicitaria. Mia moglie è impiegata part-time e segue i bambini».

Da vicepresidente dell’associazione Pro Vita e famiglia, Coghe è finito nel mirino di Fedez, paladino gender del Primo maggio, festa dei lavoratori, e martire della censura.

Una settimana dopo si sono calmate le acque?

«Non tanto. Sui social c’è un flusso di haters impressionante».

Hanno scritto che starebbe bene appeso a testa in giù.

«Hanno scritto anche che dovrebbero levarmi i figli e altre cose irripetibili. Mi fa sorridere che chi si proclama a favore dei diritti non si fa scrupolo a insultare. È la solita doppia morale».

Fedez l’aveva attaccato altre volte?

«In una diretta sul suo profilo Instagram alla vigilia di Pasqua. Mi ha disegnato le sopracciglia arcobaleno attribuendomi espressioni mai pronunciate. Il fatto curioso è che mentre su Rai 3 il concertone fa 1,5 milioni di spettatori, su Instagram Fedez ha 12 milioni di followers con i quali condivide questi insulti e la doppia morale sulla famiglia».

Sulla famiglia?

«Certo, ci campa. Monetizza la narrazione del privato: vita di coppia, moglie, gravidanze, ecografie, bambini, giocattoli, abiti… Poi continua ad attaccare la famiglia naturale, sputando nel piatto sul quale mangia. Per contro, chi difende la famiglia e la vita viene pubblicamente insultato».

Ha chiesto un confronto con Fedez, ma il concertone è uno spettacolo che non prevede la par condicio.

«Però non è nemmeno un account privato. Perciò, usando le sue stesse parole: caro Fedez non puoi dire il cazzo che ti pare. La Rai è una tv pubblica che dovrebbe ospitare il pluralismo e il contraddittorio».

Invece?

«Assistiamo a questi attacchi senza replica e alla promozione di una cultura di parte».

Per esempio?

«Le esibizioni dei braccialetti arcobaleno al Festival di Sanremo in pieno dibattito sulle unioni civili. Anche quest’anno, a Sanremo…».

I quadri di Achille Lauro?
«Contenevano espressioni blasfeme. Una tv privata può avere una sua linea editoriale. Un servizio pubblico pagato dai cittadini dovrebbe rispettare le sensibilità degli utenti. Perché chi la pensa in modo diverso da Fedez non è rappresentato? Io sono solo il responsabile di un’associazione, ma mi aspettavo che qualcuno mi chiamasse dandomi diritto di replica».

Una forma di risarcimento?

«Risarcimento no, vera pluralità sì. Invece la Rai fa propaganda. Rai 3 è stata usata da uno che ha detto ciò che gli pareva attaccando persone assenti e, per di più, grida alla censura. Siamo alla follia. Per sanare l’accaduto la Rai avrebbe il dovere di organizzare un dibattito serio».

Che cosa non approva del disegno di legge Zan?

«Nell’articolo 1 viene definita l’identità di genere. Il maschile e il femminile sono considerati un’imposizione culturale e si asserisce che ognuno può scegliere come percepirsi tra infiniti generi. Già questo è un delirio».

Perché?

«Se oggi mi percepisco donna, pretendo di entrare nei bagni femminili. Se sono uno stupratore, ma mi sento donna voglio stare nel carcere femminile. Parlo di fatti reali, accaduti negli Stati uniti, non di casi di scuola».

Altri articoli che disapprovate?

«L’articolo 4 dice che sono fatte salve la libera espressione di convincimenti nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee, purché non idonee a determinare il concreto pericolo di atti discriminatori».

Che cosa non va?

«Se dico che l’utero in affitto è un orrore potrei essere denunciato in quanto discrimino chi vi è ricorso all’estero. Inoltre, sarà ancora possibile dire mamma e papà o sarà discriminatorio verso persone dello stesso sesso che hanno adottato un bambino?».

Basta così?

«L’articolo 7 è gravissimo. Viene istituita la Giornata contro l’omotranslesbobifobia. Nelle scuole, fin dall’infanzia, verranno spiegate ai nostri figli l’omosessualità, la bisessualità, la transessualità. Si insegnerà che non esistono maschi e femmine e che si può scegliere tra un’infinità di generi. Non ci sono più padre e madre, ma genitore 1 e genitore 2. Questa è un’enorme violazione della priorità educativa dei genitori».

Non ci sono forme di bullismo contro il mondo Lgbt da frenare?

«C’è la necessità reale di frenare il bullismo nei confronti di tutti, senza creare persone di serie A e di serie B. La legge Reale-Mancino tutela già tutti. L’aggressore che di recente ha picchiato due gay che si stavano baciando nella metro di Roma non è in giro libero. Verrà condannato, la pena può arrivare a 16 anni di reclusione».

Perché temete una legge che vuol proteggere gli omosessuali o chi vive un processo di transizione?

«La temono anche i comunisti, le femministe, i verdi. Togliamo la maschera: lo scopo di questo progetto di legge è fare cultura, rieducare i nostri figli, promuovere l’ideologia gender. Altrimenti non si spiega a cosa serva la Giornata contro l’omotranslesbobifobia. Se si vuole fare una legge che affermi il rispetto verso ogni essere umano bastano due articoli che il Parlamento approverebbe in una settimana».

Come quella presentata da Forza Italia e Lega che prevede l’inasprimento delle pene per gli atti discriminatori?

«Secondo me non ce ne sarebbe bisogno. Ma è una mossa politicamente astuta per stanare le vere e malcelate intenzioni del ddl Zan. Se l’obiettivo è colpire gli atti discriminatori violenti, tutti i partiti dovrebbero approvare la proposta del centrodestra di governo».

Che cosa fa concretamente l’associazione Pro Vita e famiglia?

«Promuoviamo una visione antropologica e culturale basata su questi valori attraverso campagne mediatiche, convegni, progetti per la libertà di educazione. Regaliamo prodotti per la prima infanzia alle famiglie e alle mamme indigenti che decidono di portare avanti la gravidanza. Garantiamo il patrocinio gratuito per i disabili che non hanno gli insegnanti di sostegno, diamo borse di studio. Durante la pandemia abbiamo iniziato a distribuire i pacchi-spesa alle famiglie bisognose».

Dalla giornata del Family day al Circo Massimo del 2016 con 2 milioni di persone il movimento è un po’ sparito?

«Tutt’altro. Le famiglie continuano a seguire le attività dell’associazione. L’anno scorso abbiamo manifestato in 120 piazze in tutta Italia contro il ddl Zan e ora, superate le restrizioni della pandemia, speriamo di arrivare a 150 manifestazioni con una partecipazione maggiore».

Nel marzo di due anni fa alle giornate della famiglia di Verona è emersa una certa contiguità con l’estrema destra.

«Le famiglie non hanno colori politici, quindi parliamo con tutti. A Verona invitammo anche i 5 stelle, ma Luigi Di Maio e altri esponenti della sinistra preferirono denigrarci. Se forze di destra si riconoscono nella famiglia composta da padre e madre perché dobbiamo escluderle? Condividiamo queste battaglie anche con Marco Rizzo del Partito comunista, contrario all’utero in affitto, e con le femministe che contestano l’identità di genere».

Come mai un impegno di questo tipo ha poca visibilità sui media?

«La comunicazione è monopolizzata dal pensiero unico. Siamo una maggioranza silenziata dal politically correct».

Vi danneggia anche una certa incoerenza personale dei politici che aderiscono alle vostre manifestazioni?

«Non giudico la vita personale dei politici. Provo ad avere uno sguardo più ampio. Mi interessa che ci siano partiti che difendono le nostre tematiche. Anche perché i leader passano, i partiti si spera che durino».

La Chiesa vi appoggia come volete?

«Oggi non è più il tempo dei vescovi pilota, come ha detto papa Francesco, ma soprattutto dell’impegno dei laici. La Cei ha affermato che non c’è bisogno di una legge sull’omofobia. È in atto una grande opera di distrazione di massa».

In che senso?

«Con buona pace di Enrico Letta che parla di benaltrismo, questo governo è nato per fronteggiare la pandemia e avviare la ripresa economica. Le famiglie non arrivano a fine mese, si è perso un milione di posti di lavoro: il ddl Zan è una priorità?».

Che speranza avete che i vostri valori facciano breccia nella società attuale?

«Ci hanno accusati di essere medievali, ma la vera sfida riguarda il futuro. C’è la nostra visione fondata su valori antropologici non negoziabili e un’altra basata sul relativismo della società liquida ed edonistica. Nel breve periodo, questo secondo modello può sembrare appagante, ma a lungo termine rivelerà tutta la sua inconsistenza».

Auspicate una rappresentanza politica unitaria?

«Credo che su questi temi una pluralità di rappresentanze sia più efficace. Anche in questi giorni Matteo Salvini, Antonio Tajani e Giorgia Meloni si sono espressi chiaramente».

Come replica a chi la definisce ultracattolico?

«Io non giudico chi ha Fedez, ma perché Fedez critica chi ha fede? Al di là della battuta, essere ultracattolico significa ascoltare le parole di papa Francesco quando afferma che il gender è uno sbaglio della mente umana? O quando dice che ricorrere all’aborto equivale ad affittare un sicario? Se così fosse, sarebbe ultracattolico anche papa Francesco».

Esistono paesi che dopo l’approvazione di leggi favorevoli all’interruzione della gravidanza hanno avviato un processo di revisione?

«Alcuni Stati americani lo stanno facendo. In Louisiana si è deciso di ridurre il tempo per l’interruzione a prima della comparsa del battito cardiaco. Con l’ecografia in 4d si vede che il feto è subito un essere umano già formato. Disconoscere questa evidenza vuol dire essere antiscientifici. Quando una sonda su Marte individua un batterio si grida “c’è vita su Marte”, ma guai a dire che un embrione è già vita».

La vostra è una battaglia di retroguardia, già persa?

«Al contrario. Sono stato più volte alla Marcia per la vita in America che porta in piazza centinaia di migliaia di persone, moltissimi giovani. Le scuole ne programmano la partecipazione con un anno di anticipo. Lì ho acquistato la t-shirt creata da ragazzi sedicenni sulla quale è scritto: “Noi siamo la generazione che abolirà l’aborto”».

Salvo quello a scopo terapeutico?

«L’ho vissuto in prima persona, l’aborto non è mai una terapia».

 

La Verità, 8 maggio 2021