Pec, app, algoritmi… Basta, voglio scendere dal Web

Potremmo chiamarlo riflusso analogico. O fuga dal digitale. Sono le due facce della stessa medaglia, non si sa qual è il dritto e quale il rovescio, tanto i due sentimenti si alimentano a vicenda. Viene prima l’allergia montante verso tutto ciò che riguarda la tecnologia sempre più sofisticata e invadente? O, all’opposto, tutto parte dalla voglia di una vita più semplice, rassicurante e meno ansiogena? Come spesso accade, è la televisione a svelare i sintomi della nuova tendenza. Niente di clamoroso, forse è ancora solo una mutazione embrionale. Ma i segnali sono lì da interpretare.

La prima spia si è intravista con l’inizio della nuova stagione. Su Rai 1, in prima serata, nell’orario di massimo ascolto, è comparso un millennial con in mano una cornetta telefonica degli anni Sessanta. Roba da boomer. Non più lo smartphone usato da Amadeus, Stefano De Martino comunica con «il Dottore» di Affari tuoi (l’autore del programma è Pasquale Romano) con un telefono fisso a rotella. Un salto dal digitale all’analogico. Un «mix match» tra generazioni. Perché un 35enne al timone di un programma ottimista e che qualche volta fa vincere migliaia di euro, con quella cornetta trasmette un messaggio rilassante e complice anche al pubblico stagionato della tv generalista.
Il secondo sintomo dell’evoluzione è il successo della serie sugli 883, il duo pop formato da Max Pezzali e Mauro Repetto che si affermò quando De Martino andava all’asilo. Oltre al pregio di essere un racconto privo di infarinature ideologiche e ambientato in una città come Pavia poco frequentata dai media, Hanno ucciso l’uomo ragno (diretta da Sydney Sibilia, prodotta da Groenlandia per Sky Atlantic) ci ha fatto riassaporare il gusto della vita senza cellulari – ne spunta uno alla fine, ma Pezzali se lo dimentica – senza internet, senza password, senza social, senza app, senza algoritmi, senza intelligenza artificiale. In una parola, senza ansie digitali. Che pacchia, la vita senza internet!, ha annotato qualche osservatore, lasciandosi prendere dalla nostalgia di una quotidianità più easy. All’epoca, se vogliamo mantenere il telefono come paradigma, c’erano le cabine telefoniche a gettoni. Eravamo all’inizio degli anni Novanta, ultimo decennio ancora prevalentemente analogico, quando la rivoluzione dei byte stava gattonando nelle start up della Silicon Valley.

Il terzo indizio che ci avvicina al concetto della prova, ma ci fa fare un altro balzo all’indietro nella nostra macchina del tempo, è l’accoglienza trovata dall’ispettore di polizia cui dà corpo Giuseppe Battiston nella serie di Rai 2 Stucky, tratta dai racconti di Fulvio Ervas e ambientata a Treviso, altra cittadina a misura d’uomo. Muovendosi a piedi tra portici, canali e osterie dove si sorseggia del buon prosecco, Stucky non usa cellulare e conduce indagini molto vintage, annotando i suoi appunti su un taccuino e disponendoli poi sul tavolo del locale dell’amico invece di creare file da archiviare nel Cloud. Se una collaboratrice gli illustra l’esito di una ricerca su Google con l’algoritmo la invita ad andare al sodo. La parola chiave di questa rivincita del boomer è tradizione. Tradizionale è il cibo, tradizionale il metodo di archiviazione delle prove, tradizionale il ricorso alla psicologia per orientare le indagini.
Se i tre indizi hanno sfumature diverse, di comune tra loro c’è la ricerca di una vita più dolce e confortevole. Rispetto alla tecnologia digitale sempre più sofisticata, ma anche più fredda ed estranea, si cercano strumenti caldi ed empatici. A volte, anche accettando una resa inferiore o più esposta all’usura. I segnali sono diversi. Il ritorno del vinile, per esempio. Nel 2023, per il secondo anno consecutivo, negli Stati Uniti i 33 giri hanno superato i compact disc: 43 milioni contro 37 (certificati dalla Recording industry association of America, l’equivalente della nostra Federazione industria musicale italiana) e questo nonostante gli Lp costino mediamente di più dei Cd, al punto che gli incassi sono quasi il triplo (1,4 miliardi di dollari contro 537 milioni). Fatte le debite proporzioni, la situazione è la medesima anche in Italia. E la tendenza si sta espandendo. Chi predilige una fruizione agile della musica sceglie supporti digitali o attinge direttamente alle piattaforme streaming. Chi la vive come un momento di conforto personale tende a preferire il formato analogico, magari più ingombrante, ma più affettivo.
Non si tratta tanto di vagheggiare un nostalgico ritorno al passato. Il riflusso analogico è propiziato anche dagli effetti collaterali della digitalizzazione. Troppo invadente, troppo ansiogena. È sempre così: l’avvento di una rivoluzione tecnologica all’inizio evidenzia i lati positivi. E noi ci entusiasmiamo per i vantaggi che il nuovo Eldorado ci regala. E che, per carità, nessuno vuole ridimensionare. Anzi. Tuttavia, un po’ alla volta, stanno emergendo anche le conseguenze della rivoluzione. Ai tre indizi che alimentano la nostalgia analogica fanno da contraltare altrettante controprove. Per esempio: il ripetersi di violazioni di banche dati e di fenomeni di dossieraggio da parte di soggetti e lobby opache, ha messo in crisi il mito della sicurezza del Web. Esistono spie, esistono hackers, esistono truffe online, esistono start up che agiscono nelle zone grigie di un mondo ancora poco regolamentato dalle leggi. Sono situazioni nelle quali è difficile orientarsi e difendersi. Così cresce la diffidenza perché anche l’Eldorado ha i suoi difetti e i suoi costi. Bisognerebbe cambiare spesso le password per evitare gli hackeraggi e le violazioni dei virus. Bisognerebbe fare gli aggiornamenti delle app. Bisognerebbe consultare spesso la Posta elettronica certificata. O, almeno, allertare le notifiche in tempo reale perché ormai il postino non suona più nemmeno una volta. E gli enti pubblici, sia locali che centrali, hanno preso l’abitudine di comunicare sanzioni e provvedimenti via Pec.

Se ai nativi digitali la giungla tecnologica non fa paura, a patirne gli effetti sono gli ultra-50enni e 60enni. Con l’espansione dell’intelligenza artificiale, la foresta digitale promette di diventare ancora più fitta. Quando si chiama il centralino di un’azienda privata con ambizioni d’inclusione e sostenibilità accade spesso che, dopo averti messo in attesa perché «tutti gli operatori sono momentaneamente occupati», risponda un’assistente virtuale dalla seducente voce femminile che ti interroga sul motivo della chiamata, per poi rinviarti alla telefonata «di un nostro operatore sul numero dal quale ci sta chiamando». Praticamente, un giro dell’isolato per tornare al punto di partenza. La circolazione stradale è un’altra prateria dell’innovazione a colpi di byte. L’amministrazione comunale di Verona ha fatto un nuovo scatto nel futuro installando in alcuni punti della città sensori dotati di intelligenza artificiale che, con la buona intenzione di migliorare lo scorrimento del traffico, potranno raccogliere dati per vedere se le auto sono in regola, se hanno commesso infrazioni e, intanto, magari elevare un po’ di multe. Perché no?

Il sistema di vita cinese è sempre più vicino. Sorvegliati, monitorati, scannerizzati. Tutto, ma proprio tutto, passa dal cellulare. Ma se gran parte degli adulti, tecnicamente naif ma dotati di spirito critico, riescono a tenere la giusta distanza da certe seducenti «diavolerie», totalmente indifesi sono i bambini e gli adolescenti. Nell’ultimo anno, in alcuni Paesi del Nordeuropa, a cominciare dalla Svezia, ci si è accorti che l’adozione dei tablet nella scuola materna ed elementare stava riducendo drasticamente la capacità di lettura degli alunni. Così, si è deciso di tornare ai libri, ai quaderni e alla penna per proteggere i loro processi cognitivi e di apprendimento. Meno sicuro è il tentativo di recupero della generazione Z, quella successiva ai millennial, che in un saggio già divenuto un testo sacro di psicologia sociale, Jonathan Haidt ha definito La generazione ansiosa (Rizzoli). L’avvento dell’ansia porta la data di nascita dell’iPhone, anno 2007, e dell’esplosione «dell’iperviralità dei social media» (2009). Un anno dopo, gli smartphone si dotano di fotocamere frontali e, nel 2012, Facebook acquisisce Instagram, completando l’escalation. «La generazione Z», prosegue Haidt, «è la prima della storia ad attraversare la pubertà con in tasca un portale che la distoglieva dalle persone vicine e la attirava verso un universo alternativo, esaltante, instabile, che creava dipendenza…». Questa attività, aggravata dai successivi lockdown pandemici, ha cancellato il gioco all’aria aperta, il contatto corporeo, il rapporto diretto con amici e famigliari, producendo quella che il grande psicologo americano chiama la «grande riconfigurazione dell’infanzia».
Chissà, forse è il caso di mettere un attimo in pausa la rivoluzione…

 

Panorama, 27 novembre 2024

Senza Avetrana, la serie su Sarah Scazzi è sdoganata

Tutto risolto, abbiamo scherzato. La serie tv ispirata all’uccisione di Sarah Scazzi sarà visibile da oggi sulla piattaforma di Disney+. Niente censure, niente restrizioni. Il braccio di ferro che nei giorni scorsi aveva messo il sindaco di Avetrana Antonio Iazzi contro i potenti produttori della Disney e di Groenlandia, concluso con l’intervento censorio del Tribunale di Taranto che aveva bloccato la messa in onda della fiction, è improvvisamente evaporato. Ora non è più potenzialmente «diffamatoria» per la comunità cittadina, non la rappresenta più come «ignorante, retrograda, omertosa, eventualmente dedita alla commissione di crimini efferati». Cos’è successo? È stata modificata la sceneggiatura? Sono state sforbiciate le scene più scabrose e colpevolizzanti? Macché. Capito come vanno le cose nella nostra Italietta, i produttori hanno aggirato l’ostacolo: «In ottemperanza al provvedimento emesso dal Tribunale di Taranto e in attesa dell’udienza fissata per il 5 novembre, Groenlandia e Disney informano che il titolo della serie ora sarà Qui non è Hollywood». È bastato togliere il riferimento al paesino del Salento dove il 26 agosto del 2010 si consumò il crimine che portò alla condanna all’ergastolo della cugina e della zia della vittima – Sabrina Misseri e Cosima Serrano – per sbloccare la visione delle quattro puntate dirette dal regista pugliese Pippo Mezzapesa. Tutto appianato. Anche il giudice Antonio Attanasio ha evidentemente acconsentito di rientrare nell’alveo di competenze più plausibili, senza impuntarsi sull’attesa dell’udienza programmata. È immaginabile che una volta resa disponibile, la serie sarà difficilmente cancellabile.

Insomma, quella che in un primo momento era apparsa una piccola tragedia si sta riproponendo come farsa. Una curiosa presa in giro, soprattutto del pubblico. Come se, in assenza della citazione toponomastica nella titolazione, i telespettatori non sapessero che la storia è ispirata al delitto di Avetrana. Tanto più telespettatori di target medio alto come sono gli abbonati a Disney+. Tanto più dopo che quel delitto ebbe enorme risonanza mediatica, con le «scene del crimine» che divennero per mesi set affollato dalle troupe televisive di mezzo mondo. Tanto più sapendo che la fiction è tratta dal libro Sarah la ragazza di Avetrana (scritto per Fandango da Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni, che figurano tra gli sceneggiatori della serie). Tanto più ora, dopo le recenti polemiche che, all’atto pratico, funzioneranno da agente promozionale.

Dopo l’inusitato intervento del giudice, gli addetti ai lavori si sono interrogati sulle conseguenze giuridiche del precedente creato dal magistrato tarantino. La cronaca nera non poteva più essere fonte ispirativa della produzione cinematografica e televisiva perché quest’ultima poteva avere «portata diffamatoria» della comunità rappresentata? Interi filoni artistici sarebbero stati esposti alla vendetta postuma della cancel culture? E che cosa avrebbero dovuto dire i cittadini di Brembate di Sopra, dove sempre nel 2010 avvenne l’omicidio di Yara Gambirasio? O gli abitanti di Cogne, dove fu ucciso il piccolo Samuele Lorenzi? E i residenti del quartiere napoletano di Scampia, tratteggiato come capitale mondiale della criminalità organizzata? Tutti luoghi che compongono una triste geografia della malvagità, oggetto di altrettante serie televisive. Messo così Qui non è Hollywood è un titolo perfetto per il mondo intero, a eccezione di Los Angeles. Basta non vedere la serie in questione. Con la complicità del sindaco di Avetrana e del giudice di Taranto, l’ipocrisia ha vinto anche stavolta.

 

La Verità, 30 ottobre 2024

Ora i giudici decidono anche cosa vediamo in tv

Adesso i giudici decidono anche se una serie tv può andare in onda oppure no. Poi si offendono se qualcuno, per esempio il ministro di Grazia e giustizia Carlo Nordio, dice che «esondano». Che travalicano le loro competenze, si potrebbe dire. In base a una interpretazione estensiva dei loro ambiti. Come possa la magistratura avere voce in capitolo sulla programmazione di un prodotto di fiction è un mistero, una di quelle stranezze che appartengono a quest’epoca confusa. Neanche fossimo ai tempi delle censure dei pretori degli anni Sessanta. Qui però non si tratta di scene licenziose, ma di potenziale diffamazione di un paese, di un’intera comunità civile.

Così è, se vi pare. Il Tribunale di Taranto ha deciso che no, la fiction della Disney intitolata Avetrana – Qui non è Hollywood ispirata al delitto di Sarah Scazzi non va trasmessa. I cinque episodi dovevano essere disponibili sulla piattaforma Disney+ da domani. Invece, nisba. Il giudice Antonio Attanasio ha accolto il ricorso del sindaco del paese salentino Antonio Iazzi che, tramite un nutrito pool di tre avvocati, aveva chiesto di visionare in anteprima il prodotto cinematografico per appurare se avesse «portata diffamatoria», rappresentando la cittadinanza come «ignorante, retrograda, omertosa, eventualmente dedita alla commissione di crimini efferati di tale portata, contrariamente alla realtà». In un suo precedente intervento, il sindaco aveva tenuto a mettere in evidenza le doti di una comunità che merita rispetto, preoccupato che «la notorietà sia sempre più determinata dai tanti tesori che la storia ha lasciato» che nel 2022 hanno ottenuto ad Avetrana la nomina a «Città d’arte» della regione. Ora, se è comprensibile l’intento promozionale del sindaco, non lo è l’intervento ultimamente censorio del Tribunale tarantino.

Per l’omicidio della quindicenne Sarah Scazzi furono condannate all’ergastolo la cugina Sabrina Misseri e la zia Cosima Serrano, mentre lo zio Michele Misseri è da poco tornato in libertà dopo aver scontato la pena per soppressione di cadavere e inquinamento delle prove. Dal giorno in cui si consumò il delitto, il 26 agosto 2010, il paese di Avetrana, in particolare la via dove avvenne, si trasformò in un set televisivo, meta delle troupe giornalistiche di tutte le testate nazionali e di alcune internazionali. Programmi di cronaca del servizio pubblico e delle tv commerciali ci camparono per mesi. I processi furono seguiti in modo ossessivo, gli accusati monitorati senza sosta. Ora, 14 anni dopo, ci si preoccupa che una serie tv, realizzata da Pippo Mezzapesa, un accreditato regista pugliese che ha sempre lavorato su storie e situazioni legate alla sua terra, possa nuocere alla buona immagine della cittadina. Come va chiamata questa preoccupazione se non ipocrisia? E come va catalogato lo stop censorio del giudice se non voglia di protagonismo?

Per averne conferma proviamo ad applicare l’espressione contenuta nel ricorso degli avvocati del comune di Avetrana ad altre località dove si sono consumati crimini oggetto di fiction e serie televisive. Brembate di Sopra, per esempio. La cittadina della bergamasca, dove il 26 novembre 2010, tre mesi dopo Avetrana, sparì, prima di essere trovata cadavere, la tredicenne Yara Gambirasio, crimine che ebbe altrettanta risonanza mediatica fino alla recente serie di Netflix, poteva accusarne la portata diffamatoria vedendosi rappresentata «quale comunità ignorante, retrograda, omertosa, eventualmente dedita alla commissione di crimini efferati di tale portata, contrariamente alla realtà»? E il quartiere napoletano di Scampia in relazione alle cinque stagioni di Gomorra su Sky? E la cittadina di Cogne, in riferimento all’uccisione del piccolo Samuele Lorenzi, divenuta trama di un’altra serie Netflix? Sono alcuni dei casi che sovvengono per dire che nella nostra povera Italia esiste una triste geografia del crimine. E, inevitabilmente, una serialità che la rappresenta. Ma ora ai magistrati sembra non stare più bene.

Il Tribunale di Taranto ha convocato l’udienza di comparizione del Comune di Avetrana e della Disney produttrice della serie tv per il prossimo 5 novembre. Qualcuno si aspetta che in quell’occasione il giudice realizzi di aver esondato?

Anche la cronaca Rai prende a sberle la Carini

Sentenziosi, paternalistici e supponenti. Ma soprattutto schierati. A difesa delle Macroniadi, delle Olimpiadi queer e della comunità Lgbt. Quello toccato dai telecronisti del match di boxe valido per gli ottavi di finale fra la nostra Angela Carini e l’atleta intersex algerina Imane Khelif trasmesso ieri all’ora di pranzo su Rai 2 è il punto più basso del già mediocre livello di copertura delle Olimpiadi offerto dal servizio pubblico televisivo. Una prestazione professionale imbarazzante per quanto irrispettosa della nostra portacolori. «Non è una bella figura», sentenziano Davide Novelli e l’ex campione del mondo dei pesi massimi Francesco Damiani, incaricato di quello che dovrebbe essere il commento tecnico, quando la nostra boxeur si slaccia i guantoni per ritirarsi. In realtà, la figuraccia è della Rai, di Rai Sport e dei suoi commentatori. Per Novelli e Damiani, Angela Carini avrebbe dovuto rimanere sul ring a farsi rintronare di colpi in un confronto rivelatosi subito palesemente impari. «Mi fa malissimo», si lamenta con il suo coach che prova a convincerla a proseguire. Ma i due speaker manifestano stupore e parlano di «abbandono per contestazione», di «presa di posizione». Così è: si leggono continue accuse alla Rai di esser diventata TeleMeloni, ma un evento sportivo come l’incontro di boxe più discutibile dell’anno è piegato alla solita, e stolida, narrazione arcobaleno.

La Rai usa il secondo canale per gli eventi principali dei Giochi e ieri decide d’interrompere la cronaca delle batterie di qualificazione del nuoto per dare conto dell’incontro di pugilato tra Carini e Khelif. Se ne parla da giorni in tutto il globo. Una pugile con oltre 100 incontri in carriera deve vedersela per la prima volta con un’avversaria già esclusa ai Mondiali del 2023 per livelli di testosterone oltre i limiti consentiti (ammessa dal Cio perché, in ossequio alla cultura Lgbt, non sottopone le atlete a esami specifici per la cosiddetta «verifica del sesso»). La messicana Brianda Tamara Cruz, che l’ha affrontata di recente, ha detto che «i suoi colpi mi hanno fatto molto male, non mi sono mai sentita così nei miei 13 anni da pugile».

Sul caso si sono espressi da Elon Musk a J.K. Rowling, stigmatizzando l’ingiustizia e la palese contraddizione dello spirito olimpico. Molti hanno suggerito alla boxeur italiana di rinunciare all’incontro. Ma lei vuole provarci, salvo gettare la spugna dopo i primi scossoni provocati dai diretti dell’avversaria. «Sembra più un abbandono contestato», osserva Damiani. «Di tutti i finali questo è l’ultimo che ci potevamo aspettare», sentenzia Novelli. «Sembra essere una presa di posizione di contestazione, che non comprendo… Ma non è una bella figura, assolutamente», decretano insieme. Quando Carini crolla in pianto sul ring, rincarano: «Con questo pianto, sembra ancora più strano» (Novelli), «Io mi dissocio» (Damiani).

Subito dopo, ancora in zona mista, la prima domanda del cronista è: «Diciamo la verità, non c’entrano niente i colpi col tuo ritiro». «Eh no, sono stati i colpi», risponde Carini: «Ho sentito un forte dolore al naso, ho capito che o mi ritiravo o rischiavo seriamente». Anche Emanuele Renzini, tecnico del pugilato azzurro, precisa che «non è stata una decisione premeditata. Avrebbe potuto combattere e vincere, ma dopo aver preso un pugno mi ha detto che non se la sentiva di proseguire». Questi i fatti, secondo i protagonisti.

Ma per gli ineffabili commentatori di Mamma Rai, la realtà è un optional e granitico il pregiudizio. Il loro.

 

La Verità, 2 agosto 2024

Una Rai in mezzo al guado scommette su De Martino

In difesa sul fronte dell’intrattenimento, stuzzicante nella fiction, incline all’azzardo nell’informazione. Potrebbe essere questa la sintesi della prossima stagione Rai, un’azienda ancora in mezzo al guado. Per descrivere la Rai come la si è percepita ieri alla presentazione dei palinsesti 2024-25 al Centro di produzione di Napoli, con tutto lo stato maggiore schierato, le immagini da realtà incompiuta si sprecano. Con molto dispiacere dei giornaloni e di quei docenti che insufflano presunti e facilmente smascherabili rapporti Ue sullo stato dell’informazione del servizio pubblico, lo schema di TeleMeloni risulta ampiamente obsoleto. E, per certi versi, se parlassimo di un progetto di alto profilo, potrebbe essere persino un male perché, almeno, avremmo a che fare con una fisionomia, una personalità definita. Invece no, sembra di stare davanti a un’entità ibrida, sensazione acuita dai toni retorici e lievemente enfatici del video autocelebrativo («ci teniamo sempre per mano e continuiamo a crescere insieme guardando al futuro») che introduce gli speech dei dirigenti. Sarà perché le nomine della governance, con l’atteso avvicendamento tra l’attuale amministratore delegato Roberto Sergio e il direttore generale Giampaolo Rossi, sono state posticipate a dopo l’estate («e la Rai avrebbe bisogno di avere quanto prima i nuovi vertici», parola di Rossi); o sarà perché la stessa riforma che ha ridisegnato per generi la struttura produttiva, cancellando la suddivisione verticale per reti, è tuttora molto perfettibile prima di ammetterne l’inadeguatezza, sarà per tutto questo, fatto sta che, malgrado i 308 nuovi titoli e i 256 talent della squadra, le scommesse prevalgono sulle certezze. Cioè, in termini calcistici, se andrà tutto bene, si potrebbe pareggiare. Non tanto con la concorrenza («giochiamo due campionati diversi per mission aziendale e target di pubblico», si è ripetuto) quanto con la Rai del passato.

Terminata la lunga filippica, eccoci al dunque. Nell’intrattenimento, il primo obiettivo è tamponare la voragine di Amadeus, mai citato in due ore e mezza di comunicazioni. Le contromisure sono note: per sostituirlo al Festival di Sanremo si è pedissequamente scelto l’usato sicuro di Carlo Conti, evitando di considerare il coinvolgimento di Mina nella direzione artistica che, pur certamente complesso, avrebbe garantito un forte rimbalzo non solo mediatico (l’evento slitta nella settimana dall’11 al 15 febbraio per non sovrapporsi alla Coppa Italia). Alla conduzione di Affari tuoi, invece, viene promosso Stefano De Martino, il volto su cui Viale Mazzini punta parecchie fiches, se è vero che, senza averlo testato per il pubblico di Rai 1, gli è stato proposto un contratto di quattro anni, si dice a 8 milioni, con un’opzione per Sanremo, dopo le due edizioni affidate a Conti. Restando nell’intrattenimento, oltre alle conferme di tutti i programmi di punta, c’è quella del momento di pausa di Fiorello: «Lo sento tutti i giorni», assicura Sergio, «quest’anno non vuole fare altra tv, ma confido che per il 2025 lo tireremo via dal divano». Sembrano comunque scongiurate le ipotesi di un suo passaggio al gruppo Discovery e ci si augura che l’ad non debba pentirsi di aver proclamato che «non vedo la Nove concorrente della Rai». Al posto di Viva Raidue!, nella stessa rete e fascia oraria ci sarà Binario 2, un buongiorno all’Italia dalla Stazione Tiburtina di Roma, condotto da Carolina Di Domenico e Andrea Perroni ai quali, considerato il predecessore, si manifesta sentita solidarietà. Chi, invece, non lascia, ma raddoppia è Mara Venier che aggiunge la conduzione di Le stagione dell’amore, un dating dedicato alla terza età (sabato pomeriggio su Rai 1), all’intoccabile Domenica in. In ottobre su Rai 2 Teo Mammuccari sarà un comico Spaesato a Roma e, in dicembre, nel preserale della stessa rete, Renzo Arbore festeggerà con Gegè Telesforo i 70 anni della Rai.

Non dovendo metabolizzare addii eccellenti, la fiction sembra il genere meglio definito. Oltre alla quarta e ultima stagione dell’Amica geniale, le novità sono due miniserie di Rai 1 rivolte al pubblico meno giovane: Mike, interpretato da Claudio Gioè, dedicato ai 100 anni dalla nascita di Mike Bongiorno, e Leopardi – il poeta dell’Infinito che segna il debutto alla regia di Sergio Rubini. Altri titoli: Brennero, un crime ambientato a Bolzano in cui la caccia a un serial killer richiede la collaborazione fra ceppi etnici differenti, Sempre al tuo fianco, sei serate con Ambra Angiolini nel ruolo di responsabile delle emergenze della Protezione civile e, su Rai 2, Stucky, con Giuseppe Battiston nei panni di un commissario di provincia tratto dai romanzi di Fulvio Ervas.

Più incerta appare la linea degli approfondimenti. Detto di Serena Bortone che approderà a Radio 2 con un programma pomeridiano per la quale, ha sottolineato Sergio, «non c’è stata alcuna censura, né prima né ora visto che ha rifiutato due nostre offerte, una su Rai 1 e una su Rai 3», dopo il ritorno di Roberto Saviano con quattro serate di Insider il lunedì sera sulla Terza rete, si registra quello in pianta stabile di Massimo Giletti con Lo stato delle cose, un programma che intreccia faccia a faccia, piazze e filmati. Altri ritorni: Giovanni Minoli, con una striscia di Mixerstoria al mattino su Rai 3,e Maria Latella, nella seconda serata del martedì dove, con Amore criminale di Veronica Pivetti, si rinuncia definitivamente alla competizione con gli altri talk. Competizione che invece si spera di riaprire su Rai 2 al giovedì, storica serata di Michele Santoro, con le inchieste dell’Altra Italia di Antonino Monteleone. Auguri.

 

La Verità, 20 luglio 2024

«Contento per Malpensa, Sala si occupi di Milano»

Niente da fare, Pier Silvio Berlusconi non si riesce proprio a iscriverlo a Forza-Italia-Viva, il partito larvatamente macroniano che alligna in alcuni ambienti dell’establishment del Nord. Resta un forzitaliano e basta, senza aggiunte. Non è assimilabile alla schiera di coloro che patiscono il complesso d’inferiorità della sinistra. Alcuni volenterosi colleghi provano a tirarlo da quella parte, ma lui, pacatamente (come direbbe Crozza/Veltroni), si riappropria della giacca e si risistema. «Non ho mai, mai, mai commissionato un sondaggio, né io né Mediaset, che riguardi me e la politica. È una balla assoluta e totale. Se vado a Roma qualche giorno ogni due o tre settimane è solo perché lì c’è una parte importante della nostra attività, la Fascino (società di Maria De Filippi che produce i successi Mediaset ndr), e per incontrare alcuni investitori. La politica non c’entra».
Come al solito, alla presentazione dei palinsesti Mediaset della prossima stagione a Cologno Monzese, si parla di tutto: dall’andamento economico del gruppo («molto positivo, siamo il primo broadcaster europeo»), alle radio, alla crossmedialità centrata sulla vitalità della tv generalista. Ma stavolta, esaurite cifre e numeri in poche slide, a tenere banco è proprio la politica a tutto campo. TeleMeloni, per dire, non esiste né in Rai né nella tv commerciale. «Lo so che vi do un dispiacere», si scusa l’amministratore delegato, «ma tutto si può dire, tranne che in Italia non ci sia libertà di parola. Magari si sarà commesso qualche errore, si sarà fatta qualche scelta sbagliata, ma questo lo si è già detto». Quanto a Mediaset, «siamo un editore ecumenico. Non siamo un giornale, ma un’intera edicola. Ci sono il Tg5, il Tg4, Bianca Berlinguer, Mario Giordano, Paolo Del Debbio, Pomeriggio 5… tante voci, c’è pluralismo. Le novità sono benvenute, ma non c’è nulla che va male. Caso mai si tratta di aggiungere, non di togliere». Flop anche del secondo tentativo di arruolamento.
Ciò che invece provoca la reazione di Pier Silvio è l’idea della Lega di alzare il tetto di affollamento pubblicitario per la Rai così da abbassare il canone: «È un pasticcio assoluto. Il contrario di quello che andrebbe fatto», sentenzia. «La Rai senza canone vorrebbe dire migliaia di licenziamenti e questo significherebbe distruggere il mercato». A stretto giro, in una nota ufficiale la Lega si dice «lieta di confrontarsi con l’ad di Mfe-Mediaset e la sua azienda sul futuro dell’offerta televisiva italiana, ivi compreso il miglioramento della tv pubblica. Il dialogo è sempre utile, anche perché l’obiettivo è migliorare la concorrenza e la qualità complessiva del prodotto». Si vedrà.
Sull’altro fronte, un ulteriore stop a certi ammiccamenti viene dal commento all’intervista nella quale Marina Berlusconi si è detta in maggior sintonia con la sinistra sui diritti civili. «La parola comunista mi si addice quanto la parola interista», premette Berlusconi jr sgombrando il campo da ogni ambiguità. «Marina ha espresso un’opinione personale e come editore e, ovviamente, è libera di farlo. La difesa dei diritti civili è nel Dna di ciò che ci ha tramandato mio padre. Ma è una battaglia di modernità e di civiltà che non è né di destra né di sinistra», precisa Pier Silvio, correggendo garbatamente la sorella. L’eredità lasciata dal padre, confida più tardi il secondogenito, comprende anche «il fascino della politica in termini di adrenalina, avventura, spinta, rapporto con la gente io lo sento, è qualcosa che ahimè sento di avere. Parlare con le persone è stato il mio mestiere per più di 30 anni, perché questo fa la tv. Ma un conto è partecipare a una grande avventura elettorale, un altro è il sacrificio della vita politica di tutti i giorni. E poi che cosa fai, il conflitto di interessi come lo gestisci? Vendi tutto? Molli tutto in mano a qualcuno? Non è una faccenda leggera».
Altre possibilità di arruolamento sulla politica internazionale. Che cosa pensi della situazione in Francia e delle elezioni americane? «Per fortuna che in Italia c’è un governo stabile… La stabilità fa bene ai cittadini, alle aziende e agli imprenditori. Povera Francia. Sulla leadership americana di oggi faccio fatica a esprimermi». L’ultimo argomento paludoso è l’intestazione dell’aeroporto di Malpensa. «Tutto ciò che viene intitolato alla memoria di nostro padre a noi figli non può che fare piacere perché lo stramerita. Noi non siamo stati coinvolti, lo abbiamo saputo alla fine e forse le modalità potevano essere diverse. Era prevedibile che ci sarebbe stata polemica. Ma soprattutto», sottolinea Pier Silvio, «quello che non mi piace è chi oggi fa polemica sulla polemica. Lo trovo terribile». Più tardi, parlando al gruppo di giornalisti più nottambulo, Berlusconi jr specifica che si rivolgeva al sindaco Beppe Sala. «Cosa c’entri che tiri in ballo mia sorella sui social? Di’ se sei favorevole o no. Non rompere. Puoi anche dire che sei contro per mille motivi, ma non fare polemica sulla polemica. Sala pensasse a Milano. Io vivo in Liguria, ma tutte le volte che vengo qui dico che è un disastro: traffico, delinquenza, buche…». Inevitabile, la replica piccata del primo cittadino milanese, nel frattempo precipitato al 19° posto della classifica dei sindaci: «Io userei la dedica dell’aeroporto per fare politica? Vorrei ricordare che in Italia c’è un partito che porta il nome Berlusconi. L’intitolazione non è un atto politico?». Intanto, proseguendo nella loro strategia di travisamento, ieri i siti di alcune testate nazionali titolavano: «Pier Silvio: un errore intitolare Malpensa a mio padre». La mistificazione è servita.

 

 

 

A Del Debbio la striscia di Rete 4, Diletta Leotta new entry per condurre La Talpa

«La serata dei paccheri», come l’ha ribattezzata il padrone di casa di Cologno monzese, è un gioco di società che alterna chicche e smentite. Le chicche sono quelle che Pier Silvio Berlusconi, Ceo di Mediaset, Federico Di Chio, direttore generale marketing strategico, e Mauro Crippa, direttore generale informazione, dispensano durante la presentazione della prossima stagione. Le smentite, invece, sono quelle che colleziona la fiction della narrazione corrente, uscita clamorosamente bocciata dalla serata. Da giorni leggiamo anticipazioni sul ridimensionamento dei programmi cosiddetti «sovranisti», invece si apprende che la vera novità del palinsesto di Rete 4 sarà la striscia dell’access primetime affidata a Paolo Del Debbio al posto di Bianca Berlinguer. La quale, a sua volta, raddoppia con un nuovo appuntamento la domenica virato sull’inchiesta, in un’altra serata competitiva contro Che tempo che fa sul Nove e il Report allungato su Rai 3. Non si sa ancora se quello di Del Debbio, che manterrà Diritto e rovescio al giovedì, sarà solo il primo segmento di una staffetta oppure se si allungherà a tutto l’anno, sta di fatto che «abbiamo un gruppo di professionisti che ci consente di fare gioco di squadra», sottolinea Berlusconi jr. Non è del tutto escluso un ritorno di Bianca Berlinguer, dunque, o l’impego di qualcun altro, da gennaio. «Ciò che più conta è che Rete 4 è protagonista di un riposizionamento unico nella storia della tv, da rete di telenovele a rete di approfondimenti e informazione, con una ricchezza di proposta e di conduzioni che non ha eguali all’estero», sottolinea Crippa al fianco dell’amministratore delegato e poi al tavolo dei direttori delle maggiori testate presenti, alla faccia del siluramento imminente come – altra smentita – ci raccontano certe indiscrezioni. Restando a Rete 4, l’altra novità è la riedizione di Freedom condotto da Roberto Giacobbo, il sabato sera, che completa la settimana di produzioni interne della rete.
Più d’una, come accennato, le chicche. Il rinnovo per altri due anni del rapporto con Il Volo e con il duo Pio e Amedeo, per testarli su altri progetti oltre la vis comica controcorrente. Confermate tutte le serate di Maria De Filippi, gli altri giochi e varietà, si rivedrà La Talpa, reality molto discusso per gli eccessi trash. «Ma stavolta ne faremo una versione glam», sintetizza Pier Silvio, «con la conduzione di Diletta Leotta a cui do il benvenuto in Mediaset». Andrà in onda free da ottobre, prima su Infinity e poi su Canale 5 (salvo la puntata finale anticipata sull’ammiraglia) con l’intenzione di creare una sinergia tra piattaforme, e completerà un trittico di reality inaugurato dal nuovo Temptation island e dal Grande fratello, sulla rampa a inizio settembre. Altra novità su Canale 5, due serate speciali per «celebrare i grandi artisti nati ad Amici, il format con il quale Maria De Filippi sta scrivendo un pezzo di storia della musica italiana». Sarà una produzione Fascino in collaborazione con Verissimo, che vedrà fianco a fianco Maria e Silvia Toffanin, cui sarà affidata la conduzione. Musica al centro anche di una serie di concerti evento di Andrea Bocelli, Vasco Rossi, Pooh, Annalisa e Laura Pausini, quest’ultimo anticipato da una sorta di doc a puntate che inizierà su Infinity. Infine, si allarga all’intrattenimento anche Italia 1, con Max working e le performance di Max Angioni, e Il Formicaio, versione italiana di un format comico spagnolo.
In conclusione, una serata dei paccheri dall’alto contenuto tele-calorico. Alla quale, con inusitata auto-smentita, si è sottratto proprio Pier Silvio Berlusconi, preferendo un ricco piatto di bresaola.

 

La Verità, 18 luglio 2024

Sky conferma gli show e tenta di rinnovare le serie

La presentazione dei palinsesti di Sky Italia che alcuni, nell’italiese di una piattaforma globale che si rispetti, chiamano Upfront, è una carrellata di titoli alternata a veloci «clipponi» che fanno capire ciò di cui si parla. Sul palco del cinema Barberini di Roma sale Antonella D’Errico, executive vice president programming che definisce Sky Italia «un ecosistema produttivo» che per il 2024-25 ha investito 400 milioni, diritti sportivi esclusi. Il primo video si conclude con la certezza che «sarà una stagione perfetta» che parte dalle conferme degli show: da X-Factor a MasterChef, da Pechino-express ai vari giochi imperniati sulla gara di «quattro» (matrimoni, hotel, ristoranti eccetera). Nulla cambia perché «quando si trova un format che funziona hai trovato un tesoro che si rinnova al suo interno», assicura D’Errico. Il rinnovamento più profondo riguarda X-Factor dopo l’ultima annata un po’ così. Perciò ecco Giorgia alla conduzione («Mi piace molto condurre, mentre non saprei fare il giudice») e una giuria tutta inedita, con l’eccezione di Manuel Agnelli, composta da Paola Iezzi, Achille Lauro in giacca e cravatta, e Jack La Furia, il meno costruito del quartetto, con finale il 5 dicembre in piazza del Plebiscito a Napoli. Altro fiore all’occhiello, visibile sia in pay-tv che su Tv8, è GialappaShow, fucina di talenti comici che rinverdisce i fasti di Maidiregol e dei successivi spin-off.

Le nuove produzioni dei canali factual (Arte, Documentary, Nature e Crime) che sotto la direzione di Roberto Pisoni hanno registrato una crescita del 25% saranno Il caso Rostagno, Luciano Gaucci. Quando passa l’uragano, Marmolada. Madre roccia, Chem sex. La droga dello stupro.
Ma lo sforzo maggiore è concentrato sulle serie, nel tentativo di consolidare l’identità delle produzioni original e di allargare la proposta a un pubblico più «generalista». In questa direzione vanno titoli come Hanno ucciso l’uomo ragno. La leggendaria storia degli 883 e Piedone, con Salvatore Esposito che, affiancato da Silvia D’Amico, lascia il lato oscuro di Gomorra per richiamare quello più pop del commissario Rizzo di Bud Spencer. La «quota impegno» invece è assolta da M. Il figlio del secolo con Luca Marinelli, tratto dal romanzo di Antonio Scurati, che ancora non si sa se verrà presentato alla Mostra di Venezia. «Chiedete a loro, la conferenza stampa sarà tra pochi giorni», butta lì Nils Hartman, executive vice president Sky Studios, forse per tenere bassa l’attesa. Che c’è anche per le già annunciate L’arte della gioia di Valeria Golino, Dostoevskij dei fratelli D’Innocenzo e per la terza stagione di Petra con Paola Cortellesi, reduce dall’exploit di C’è ancora domani (produzione Vision) che, presentata come una di famiglia, ha mandato un video dal set. Altra novità sarà Il giorno dello sciacallo, ispirata al thriller di Frederick Forsyth già divenuto film di successo, mentre di Rosa elettrica, «thriller on the road relazionale» con Maria Chiara Giannetta, e di Ligas, con Luca Argentero nei panni di un controverso e geniale penalista milanese, stanno per iniziare le riprese.

 

La Verità, 21 giugno 2024

Berlusconi jr: «Mediaset primo editore italiano»

Bianca Berlinguer e Myrta Merlino confermate. Il Grande fratello, promosso, rimandata L’Isola dei famosi. L’espansione di Discovery Warner Bros? «Mi sembra una televisione che guarda indietro. È curioso scoprire che si accende un ipotetico terzo polo con conduttori e format presi dalla Rai. Sì, hanno provato a portarci via Maria De Filippi con una super offerta, ma siamo strafelici che Maria sia rimasta con noi». Su TeleMeloni: «La Rai non dovrebbe inseguire il successo dell’audience con singoli programmi. L’allungamento di Affari tuoi, un giochino che non richiede nessuna competenza per vincere, non è in linea con la missione del servizio pubblico». Enrico Mentana? «Le nostre porte sono sempre aperte».
È un Pier Silvio Berlusconi che si concede a 360 gradi quello che annuncia ai giornalisti convocati a Cologno monzese per un bilancio sulla stagione 2023-2024 che «siamo il primo editore italiano». Da settembre a inizio giugno le reti del Biscione hanno raggiunto nelle 24 ore il 40,8% di ascolto medio sul target 15-64 anni, mentre la Rai si ferma al 31,2. Anche nel target complessivo, sempre nelle 24 ore, la tv commerciale supera la tv pubblica: 37,7 contro 36,8% di Viale Mazzini. L’unica fascia dove Mediaset non vince è quella che va dalle 20,30 alle 22,30, dove l’espansione di Affari tuoi è decisiva. Anche per questo «Antonio Ricci sta lavorando per rendere più moderna e competitiva Striscia la notizia».
Tuttavia, sottolinea Pier Silvio, per Mediaset «non sarà possibile mantenere il primato ora che arrivano gli Europei di calcio». Comunque, Canale 5 e Rete 4 resteranno accese tutta l’estate. «Dario Maltese condurrà Mattino 5 e Simona Brachetti Pomeriggio 5», annuncia Mauro Crippa, direttore dell’informazione, mentre la coppia composta da Roberto Poletti e Francesca Barra sarà al timone dell’access prime time di Rete 4. Niente fughe in avanti, però. «Dei nuovi innesti siamo soddisfatti», assicura Berlusconi jr «Myrta Merlino a Pomeriggio 5 ha fatto un buon lavoro e il prodotto è migliorato. Di Bianca Berlinguer siamo molto soddisfatti, il prime time va alla grande. Si sa che l’access prime time è difficile per Rete 4, ma siamo soddisfatti e stiamo lavorando a nuovi prodotti con Bianca. E non abbiamo motivi per non riconfermare questo Pomeriggio 5 con Myrta Merlino».
Se battere la Rai non è la mission principale, ciò che conta è il volume di contatti offerto agli investitori grazie al sistema integrato che combina tv lineare e digitale, radio e Web. Anche per questo nel primo semestre del 2024 si confermerà la crescita della raccolta pubblicitaria del 6% registrata nello stesso periodo del 2023. Per documentare i motivi di soddisfazione Berlusconi jr racconta: «In passato, quando incontravo gli investitori ne uscivo sempre un po’ contrariato perché sentenziavano immancabilmente che la tv generalista era morta. Stavolta ci hanno chiesto come abbiamo fatto a ribaltare questa previsione, a conquistare ulteriore centralità e consolidare i nostri fondamentali». Perciò da Cologno si guarda con fiducia crescente a Mediaset for Europe con Spagna e Germania. Ma restando al «piccolo e superaffollato mercato italiano, il sistema Mediaset batte i giganti del Web», sottolinea Pier Silvio, spiegando col direttore marketing strategico Federico Di Chio che il gruppo ha raggiunto una quota di spettatori settimanale di 95,9 milioni (YouTube è a 38 milioni, Netflix a 13,5). La Rai però ribatte e contesta le cifre fornite da Mediaset: «La Rai nei primi cinque mesi del 2024 si conferma primo editore televisivo in Italia, distanziando le reti Mediaset nell’intera giornata e nel prime time». E Ancora: «Considerando le reti generaliste, la Rai ha circa 5 punti di vantaggio su Mediaset nell’intera giornate e ben oltre 7 punti di vantaggio nella prima serata. Va evidenziato come sia aumentato il divario tra Rai 1 e Canale 5 nel prime time rispetto allo stesso periodo del 2023. Nel 2024 Rai 1 ha fatto registrare un +7,3% di share rispetto a Canale 5».

 

La Verità, 6 giugno 2024

 

L’asso nella manica della Rai: Mina a Sanremo

Il succo è questo. Mentre i dirigenti Rai sono alle prese con le tessere da rimpiazzare nel puzzle dei palinsesti e Urbano Cairo conta i risparmi del salvadanaio di La7, nella provincia televisiva italiana atterrano gli americani. La concorrenza, vien da dire, si fa un tantino più vivace. È la legge del libero mercato. Ma oltre che di risorse, un fattore tutt’altro che marginale, è questione di prospettive. Di orizzonti. Di ampiezza del pensiero. Forse è il caso di rimboccarsi le maniche e farsi venire qualche idea, come sembra stia avvenendo dalle parti di Viale Mazzini. Finora, con le piattaforme over the top c’era poco da duellare. Anche con loro il confronto era ìmpari. Ma, in fondo, si rivolgevano a segmenti di pubblico minoritario. I ceti più abbienti, le classi medio alte. Adesso no, gli americani di Warner Bros. Discovery sbarcano nella televisione generalista. Perciò, è stato facile buttarla in politica. Lo smantellamento della Rai. L’estinzione del servizio pubblico. TeleMeloni fa scappare le star. Ecco Fiorello, Federica Sciarelli, Sigfrido Ranucci già incolonnati dai giornaloni dietro ad Amadeus, il cui approdo a Discovery è stato ufficialmente annunciato ieri (collaborerà alla realizzazione di nuovi formati per l’intrattenimento e condurrà un programma di access prime time, forse I soliti ignoti, e due di prime time: un’operazione da 100 milioni di dollari in quattro anni). E poi, rastrellando qua e là, Barbara D’Urso, Belen Rodriguez eccetera. Insomma, una pesca a strascico tra i volti noti più o meno irrequieti del villaggio provinciale. Non è finita. Il gruppo cui fanno capo Nove, Real Time, Eurosport e alcune altre reti, sta anche per aprire la nuova sede a Roma per lanciare il polo dell’informazione, acquisendo La7 o arruolando Enrico Mentana.

Allarmismo e toni apocalittici hanno riempito paginate e ramificato nell’infosfera. Con il solito retropensiero: il governo delle destre fa crollare persino gli equilibri dell’etere. Ma questa narrazione ha conquistato il record di smentite. Fiorello: «Nessuno mi ha chiamato, il mio contratto è solo con il divano». Warner Bros. Discovery: «Non c’è alcuna trattativa in corso da parte del gruppo per l’acquisizione del polo giornalistico di La7». Mentana: «Non vado da nessuna parte. Non ho difficoltà a dire che il mio contratto scade il 31 dicembre del 2024. Quindici giorni dopo compio 70 anni, cosa mi metto a fare?». Quanto all’apertura della nuova sede, nella capitale Discovery ha già i suoi uffici attivi e funzionanti. Infine, a proposito dell’acquisizione di altre star, la pesca a strascico non è nello stile del gruppo. Semmai si ragiona su un innesto o una nuova collaborazione a stagione. Così è stato in passato con Barbara Parodi, Maurizio Crozza, Roberto Saviano, Virginia Raffaele. E poi un anno fa con Fabio Fazio, l’arrivo che ha impresso la svolta alla strategia del gruppo perché gli ascolti di Che tempo che fa hanno dimostrato che sul pianeta della tv generalista c’è vita e hanno convinto i dirigenti a proseguire nella politica di espansione. Ma «non è la rivoluzione d’ottobre», è solo mercato, «e lo dobbiamo vivere laicamente», ha suggerito il solito Mentana in un’intervista alla Stampa nella quale ha scremato la schiuma militante dalle cronache del caso.

Tuttavia, soprattutto vista da Viale Mazzini, una questione di prospettiva e di rilancio della tv pubblica esiste eccome. A breve dovrebbe avvenire il passaggio di testimone tra l’amministratore delegato Roberto Sergio e il direttore generale Giampaolo Rossi, si vedrà se semplicemente con uno scambio di ruoli. Si parla di un ritorno di Marcello Ciannamea alla distribuzione e di un accorpamento dell’Intrattenimento day time e prime time in un’unica super direzione, con il recupero alla gestione del prodotto di Stefano Coletta (scelta perfetta se si vuol rendere ancor più arcobaleno il palinsesto serale). Al di là di tutto, rimane sul tappeto la necessità di un progetto editoriale di ampio respiro. Come il caso di Amadeus insegna, le star non se ne vanno principalmente per una questione economica, ma perché cercano nuovi stimoli, nuove prove nelle quali cimentarsi. Per contro, non potendo vincere la guerra sul terreno dei cachet, la Rai dovrebbe provare a farlo sul fronte delle idee, dell’identità e dell’immaginazione. Nel 1987 quando in un colpo solo Pippo Baudo, Raffaella Carrà ed Enrica Bonaccorti migrarono a Canale 5, l’allora direttore generale Biagio Agnes chiamò Adriano Celentano affidandogli le chiavi del sabato sera di Rai 1. Chi c’era ricorda come andò. La Rai riconquistò il centro della scena e riprese a dettare l’agenda pubblica. Ma per farlo occorre un disegno editoriale. Che non è appena riempire le caselle lasciate vuote dagli abbandoni. Il problema di che cosa fare del Festival di Sanremo ci sarebbe stato comunque, anche se Amadeus fosse rimasto in Rai. Un conduttore di format preserale si può trovare. Un direttore artistico dopo cinque edizioni di successo con le ricadute sugli introiti pubblicitari, le case discografiche e la fruizione del pubblico giovane, è un filo più complicato. Serve un’idea, un guizzo, un colpo di teatro. Serve sparigliare il copione di un Festival a misura di disc-jockey ed emittenza radiofonica. Serve qualcosa che somigli all’irruzione di Celentano di oltre trent’anni fa. Nel 2019 l’allora amministratore delegato Fabrizio Salini aveva avuto la pensata giusta: Mina direttore artistico del Festival. Purtroppo non se ne fece nulla. Quando la signora della canzone italiana si disse disponibile a patto di avere carta bianca sullo spartito della manifestazione, i dirigenti Rai si dileguarono. Ecco. Pensare in grande vuol dire avere il coraggio di lasciare totale libertà di movimento all’artista più contemporanea di cui disponiamo. Un’artista che continua a studiare, ad ascoltare musica. Che, come dimostrano le collaborazioni della sua produzione recente, è aggiornata su tutte le novità della scena non solo italiana. Un’artista la cui (non) presenza all’Ariston sarebbe anche un grande colpo mediatico. In Viale Mazzini l’idea sta facendosi strada. Auguriamoci, stavolta senza retromarce.

 

La Verità, 19 aprile 2024

Amadeus cade in uno spot occulto? Un’alTravolta…

Travolta da Travolta. E dai trattori. L’abbinata Tra-tra stende la Rai. Sicuramente mette a dura prova lo stato maggiore del Festival di Sanremo, schierato per la consueta conferenza stampa di fine mattina. Una delle più complicate e nervose degli ultimi anni. Imbarazzo, contraddizioni, approssimazione. Il caso, non solo di giornata, dell’ospitata del divo hollywodiano è già deflagrato da qualche ora. Non sono chiari i termini del contratto con John Travolta, il cachet e la reazione dell’attore all’inguardabile Ballo del Qua qua che lo stesso Fiorello ha definito «la gag più terrificante della storia della televisione». Soprattutto, montano i sospetti di pubblicità occulta del marchio di sneakers indossate dal divo durante l’esibizione. Una circostanza che, anche presumendo la buona fede, rivela una lunga serie di coincidenze.

Dopo le necessarie scuse per la mezz’ora di ritardo, l’avvio della conferenza è in salita. Quando Roberta Lucca, direttore Marketing, illustra con troppi tecnicismi gli ascolti della seconda serata (10,3 milioni di spettatori con il 60,1% di share), Teresa Mannino chiede: «Siamo a Sanremo o dove? Perché, o ci prendiamo troppo sul serio oppure io sono fuori posto». Mentre online lievita il caso, in sala stampa i giornalisti estraggono le palline con i nomi dei presentatori da abbinare ai cantanti in gara. Finalmente, dopo tre domande bucoliche, si va al dunque. Quanto è stato pagato Travolta e come rispondete al rifiuto di firmare la liberatoria del Ballo del Qua qua?

L’arrampicata sugli specchi dei dirigenti, con reciproche contraddizioni, ha inizio.

Amadeus, direttore artistico e conduttore del Festival: «A John Travolta era stato spiegato tutto quello che sarebbe avvenuto sul palco prima via mail, poi gli autori glielo hanno detto di persona. Era d’accordo, non abbiamo teso nessun tranello. Far fare a un mostro sacro qualcosa che non ha mai fatto è una cosa che appartiene alla storia della comicità. Lo possono fare in pochi e Fiorello è il nostro più grande showman. Poi mentre veniva realizzata la gag può esserci stata un’espressione un po’ stupita, su qualcosa che pensavamo che Travolta accettasse e che magari non ha più gradito. Ma non è un problema del Festival. È stato lui a contattarmi dalla Francia, proponendosi di venire. È nato tutto in pochi giorni».

La Rai è stata costretta a eliminare il video del ballo con conseguente perdita economica.

Federica Lentini, vicedirettore Intrattenimento primetime, contraddicendo Amadeus: «Travolta ha firmato un contratto con una serie di diritti, solo per la diretta».

Teresa Mannino, comica e co-conduttrice della serata: «Dobbiamo ricordarci che siamo colonia americana. Siamo sudditi. Arriva Travolta e fa quello che vuole, Amadeus manco se ne accorge preso dai balletti e dalle foto di suo figlio. Noi siamo coloni, dobbiamo stare zitti come dobbiamo stare zitti su tutto il resto».

La parte più delicata dell’affaire riguarda, però, la pubblicità occulta delle scarpe U-Power, marchio di cui l’attore è testimonial. Il Tar del Lazio ha appena sancito che la multa di 175.000 euro per pubblicità occulta del social Instagram realizzata nel Festival 2023 da Chiara Ferragni e Amadeus è corretta.

Marcello Ciannamea, direttore Intrattenimento primetime: «Presenteremo ricorso. Da noi Travolta ha ricevuto solo un rimborso spese basso. Non abbiamo fatto nessun accordo commerciale. Forse è intervenuto lo sponsor».

Si parla di un milione di euro. Ma la U-Power, azienda con sede in Brianza, sponsor del Monza calcio di proprietà della famiglia Berlusconi, rimanda la palla alla Rai: «L’attore, come noto, è testimonial dell’azienda dall’estate del 2023. La partecipazione al Festival di Sanremo è frutto di un accordo tra la Rai e l’attore del quale U-Power non è in nessun modo parte in causa. In merito ai contenuti della performance, gli stessi sono un tema di esclusiva competenza della direzione artistica del Festival di Sanremo».

Durante l’esibizione di Travolta le sneakers sono state ripetutamente inquadrate, con il logo non oscurato come avviene di solito in questi casi. Il Codacons ha presentato un esposto ad Agcom e Antitrust affinché aprano un’indagine formale.

Lentini: «Travolta è arrivato in camerino all’ultimo momento ed è entrato sul palco. Nessuno ha notato le scarpe, la cui marca non ci è familiare. È stato commesso l’errore di non oscurare le scarpe, ma l’inquadramento sui piedi è avvenuto perché, ballando, quella è l’inquadratura. Non c’era nessuna volontà di fare quell’inquadratura particolare. C’è un assistente che accompagna gli ospiti sul palco, forse per un motivo di soggezione non ha ritenuto di coprire con lo scotch il logo».

Striscia la notizia rivela che sul sito del brand la comparsata di Travolta al Festival è stata annunciata una settimana fa. La U-Power è un marchio di scarpe anti-infortunistiche, ma adesso vuole lanciare un modello Urban, proprio quello indossato all’Ariston dal protagonista di Pulp Fiction. «Fra poco le vedrete a Sanremo», ha postato sui social l’azienda prima dell’entrata sul palco dell’attore. Selvaggia Lucarelli segnala che in prima fila all’Ariston sedeva Franco Uzzeni, uno dei dirigenti, con ai piedi le sneakers della casa.

L’ultima, clamorosa, coincidenza riguarda il «Don’t worry be happy» (Non preoccuparti, sii felice ndr) rivolto da Amadeus a Travolta durante l’esibizione. È il titolo di una canzone di Bobby McFerrin ma, fa notare un collega, è anche il claim di uno spot della U-Power.

Mannino al conduttore: «Tu sei proprio sfigato». E poi ai giornalisti: «Ma no… sono le uniche parole inglesi che conosce».

Amadeus cambia visibilmente umore e poco dopo sbotta: «Mi pare che stiamo creando un caso che non c’è. Sta andando tutto bene, bisogna trovare a tutti i costi queste stronzate per polemizzare. Non so neanche la marca delle scarpe, come potete immaginare che io faccia promozione a un paio di scarpe di Travolta? Non ha preso 400.000 euro per venire a fare quella cagata. Sapeva tutto della gag, se poi ci ha ripensato non è colpa mia. Don’t worry be happy l’ho preso dalla canzone. Mica mi scrivono i copioni parola per parola».

 

La Verità, 9 febbraio 2024