Gabanelli crocifissa dai sacerdoti dello snob food
Io sto con Milena Gabanelli. Certo che sì. Sarà un fatto generazionale, un’idiosincrasia, una cosa di formazione. Siamo nati negli anni Cinquanta, quando al primo capriccio davanti a un piatto sgradito i nostri genitori ci parlavano dei bambini del Biafra; siamo cresciuti a pasta al pomodoro e bistecche; apparteniamo a una cultura nella quale a tavola prima di tutto ci si nutre e le «esperienze estetiche» vengono dopo. Fatto sta che, personalmente, preferisco la trattoria al ristorante gourmet, l’osteria all’officina stellata, la comanda con il cameriere che ti dice abbiamo pasta e fagioli, carbonara e fettuccine al salmone piuttosto di certe alate descrizioni di pietanze che ci metti di più a capire di cosa si tratta che a mangiarle, pardòn, degustarle. La cultura degli chef, il food, il gourmet, le classifiche delle guide, l’impiattamento e tutto il resto ci stanno togliendo il gusto del cibo semplice. La riprova sono le fortune di dietologi e nutrizionisti, categoria rivale, parallela e sotterraneamente alleata, dei masterchef. Sui social imperversano foto e post di uova al tegamino, meringate, insalate vegane, branzini al sale, spaghetti al ragù e bigné. Seppellirei tutto con un bel chissenefrega.
Sulla pagina Facebook di Dataroom Milena Gabanelli ha provato a farsi «due risate» postando la foto di un laconico antipasto in un ristorante fuori Bologna, con tre righe tre di commento. Trattavasi in realtà di stuzzichino, un «amuse-bouche» di benvenuto offerto dallo chef prima di avviare il rodeo della degustazione, come ha precisato non senza pedanteria una lettrice. Le tre righe tre hanno squarciato le cateratte della lesa maestà con relativa pioggia di gamberi rossi, di filippiche sterminate, di perché sì e perché no, sull’importanza dell’industria gourmet, del made in Italy nel mondo, del contributo al Pil e via pontificando.
Intoccabili, inviolabili, immacolati, gli chef stellati sono la nuova aristocrazia morale, la crème del presente, l’icona del successo. Nuove rockstar, nuovi idoli dei gggioovani quanto i fashion blogger e i calciatori. Ogni epoca ha i suoi modelli. Nei Settanta i cantautori, negli Ottanta i giornalisti, poi i sarti e i creatori di moda, nell’ultimo decennio i cuochi, pardòn, chef. Senza soffermarsi sull’inflazione di programmi, spot e marchi sponsorizzati dai vari Antonino Canavacciuolo, Alessandro Borghese, Bruno Barbieri, Chef Rubio e soci che affollano la giornata televisiva, per rendere l’idea dell’allure che avvolge la nuova casta, avete presente la smorfia con la quale nello spot di un noto marchio di spaghetti italiani un altro di questi sacerdoti commenta la «creazione» culinaria del divino Roger Federer?
Carlo Cracco, il primo di questa nidiata di guru, l’ha capito e ha deciso di tornare a cucinare, dosando le apparizioni. Meglio decongestionare l’ambiente ormai prossimo alla guerra di religione come dimostrano le conseguenze allo scanzonato post dell’ex conduttrice di Report. Ma basta! Scendiamo dal pulpito e andiamo tutti a farci una pizza, senza tanti birignao.
La Verità, 13 agosto 2018