Letta nel Pd, Andreatta in Rai: un ritorno tira l’altro

D’accordo, è ancora presto. E le priorità sono altre. Però negli ultimi tempi sono successe un paio di cosette che hanno dato un colpo sull’acceleratore delle grandi manovre per il ricambio dei vertici della Rai radio televisione italiana. Tanto per cominciare è cambiato il governo e, dall’assetto giallorosso, si è passati a un contesto più ecumenico e con una guida più autorevole. La seconda novità fresca fresca è la nomina di Enrico Letta segretario del Pd, partito che da sempre ha le mani ben impastate in Viale Mazzini. Va ribadito: è possibile che Mario Draghi non senta impellente la necessità di disputare in prima persona una partita delicata che, comunque la si giochi, costa sempre tante energie ai contendenti. E, in questo momento, le energie del presidente del Consiglio sono assorbite da ben altre emergenze.

Tuttavia, c’è di mezzo il calendario. L’attuale struttura di comando del servizio pubblico va in scadenza il primo luglio e tutto fa pensare che un premier di alto profilo istituzionale intenda rispettare l’agenda. I rumors romani confermano che i preparativi s’intensificano. Anche perché non sarà facile sostituire Fabrizio Salini e Marcello Foa con un ticket di uguale qualità. Tutto sommato, l’amministratore delegato e il presidente in carica hanno gestito la tv pubblica in modo dignitoso, reggendo alle turbolenze della politica e a un traumatico cambio di governo da una maggioranza di centrodestra a una di sinistra. Anche se il prodotto non scintilla per innovazione e qualità, grandi scandali non se ne ricordano. Si registra l’affermazione di Raiplay, ma per contro si deve ammettere l’appannamento dei programmi d’intrattenimento e l’appiattimento della fiction su tematiche modaiole, dai diritti civili alle teorie Lgbt fino alla liberalizzazione delle droghe leggere. Quanto all’informazione, le principali testate giornalistiche, Tg1 in primis, hanno perso autorevolezza. Ma se per Salini la continuità è stata favorita dalla permanenza dei 5 Stelle al governo, dove l’innesto del Pd ne ha consolidato la posizione, nel caso di Foa era lecito registrare qualche contraccolpo. Così non è stato, anche grazie al fatto che il presidente ha tenuto un profilo istituzionale che gli ha permesso di navigare relativamente tranquillo, conquistando la stima dei quadri aziendali, della Roma politica, a cominciare dal ministero dell’Economia e delle finanze e, infine, dei dirigenti delle altre emittenti pubbliche europee. Insomma, le prossime nomine richiedono una quadratura di numerose variabili.

Ascoltando le sirene della parità di genere, il primo criterio è la scelta di un ticket composto da un uomo e una donna. Per il ruolo di amministratore delegato è molto accreditata l’idea di un interno Rai, qualcuno che conosca bene la macchina amministrativa aziendale. In prima fila c’è Paolo Del Brocco, 57 anni, ad di Rai Cinema, già in passato candidato al vertice aziendale. Forte di alcuni successi internazionali delle produzioni della casa, potrebbe essere l’uomo indicato per contrastare la concorrenza delle grandi piattaforme straniere. La prima alternativa è Carlo Nardello, anche lui 57 anni, un passato in Walt Disney e poi a lungo in Rai, capo dello staff del direttore generale Luigi Gubitosi. Il quale avendolo chiamato in Tim, difficilmente lo lascerebbe andare. La terza candidatura è quella di Eleonora Tinny Andreatta (classe 1964), già responsabile di Rai Fiction e, nel giugno 2020, planata a Netflix da vicepresidente delle serie originali italiane, con un emolumento tra i 700 e gli 800.000 euro. Anche lei sarebbe un cavallo di ritorno. Molto coccolata da Repubblica, l’algida figlia di Beniamino Andreatta – padre politico del neosegretario dem – sarebbe ora felice di fare il percorso inverso per sedere sul gradino più alto di Viale Mazzini. Inutile dire che Letta, di soli due anni più giovane, potrà aiutarla parecchio. Tuttavia – si chiedono certe malelingue romane – perché la signora è disposta a rinunciare a uno stipendio lussurioso per accontentarsi di quello della tv pubblica sottoposto al tetto di 240.000 euro? Arrivata a gonfie vele nella multinazionale dello streaming con sede in California, per Andreatta le cose non sono andate come sperato. La squadra italiana di Netflix è composta da una quarantina di persone che collaborano in una struttura liquida, senza gerarchie e segreti inviolabili. Tutto il contrario del metodo da sempre adottato da Tinny, molto circospetta e gelosa della propria distinzione dai collaboratori. Entrata in attrito con Bela Bajaria, l’ex miss India che dal settembre scorso ricopre il ruolo di supervisore dei contenuti originali, Andreatta è data ora in uscita da Netflix e spera nel gran ritorno al massimo livello. Se la manovra dovesse riuscirle, per salvaguardare il ticket uomo-donna, alla presidenza potrebbe arrivare Ferruccio De Bortoli, ipotesi avanzata anche in passato, e già declinata dall’interessato. Se invece dovesse spuntarla Del Brocco, per Tinny resterebbe la poltrona di presidente, posto dai molti oneri e pochi onori che richiede capacità di dialogo per fare squadra. Non esattamente le doti nelle quali Andreatta eccelle. Forse consapevole di questo, la signora punta dritta allo scranno più alto.

Si vedrà. Un fatto è certo: si partirà dalla carica di amministratore delegato. Se il Pd riuscisse a piazzare qualcuno di suo gradimento, la presidenza andrebbe a una figura gradita alla Lega e Forza Italia. Se invece la spuntasse un tecnico di consenso trasversale, sul presidente ci sarà la solita bagarre. I giochi sono appena iniziati: se non li sbloccherà il decisionista Draghi, si prevedono lunghi e complessi.

 

La Verità, 17 marzo 2021