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«Da Marilyn a Instagram, la mia vita è uno show»

In principio fu la somiglianza con Marilyn Monroe. Poi i social e ora il triathlon, ultima scoperta di Justine Mattera, showgirl americana con doppia laurea, testimonial del marchio Colnago, «la Ferrari delle biciclette». Nata a New York nel 1971, arriva a Firenze nel 1994. Dopo il breve matrimonio con Paolo Limiti, nel 2009 sposa l’imprenditore Fabrizio Cassata, da cui ha due figli. Il suo profilo Instagram scintilla di provocazioni. Ci incontriamo in uno degli atelier milanesi di Aldo Coppola, in una pausa del trattamento prima di un servizio fotografico.

Perché il triathlon?

«Sono sempre stata una persona sportiva. Da bambina ho praticato nuoto agonistico per 11 anni. All’università mi sono dedicata al nuoto sincronizzato e alla corsa. Nel 2016 Mediaset mi ha proposto di partecipare a Oltre il limite e mi sono iscritta alla mezza maratona di Memphis classificandomi 35ª quasi senza allenamento. In quel periodo conducevo su Bike channel In viaggio con Justine, un programma per godere il paesaggio, l’arte e la cucina italiana. Quando un’azienda di biciclette mi ha proposto il triathlon ho pensato: il nuoto ce l’ho, la bici anche, adesso ho recuperato la corsa… Così mi sono iscritta a una gara di sprint triathlon».

Sprint?

«Sì, le gare più corte: 750 metri di nuoto, 20 chilometri di ciclismo e 5 di corsa. Gareggio per la Dds (Dimensione dello sport ndr) dell’ex nuotatore Luca Sacchi».

Fatica pura.

«Proprio questo mi ha affascinato. Si vedono tante ragazze correre, poi c’è una campionessa di nuoto come Federica Pellegrini. Invece, si vedono poche donne in bicicletta. Se fossi riuscita a mettere insieme le tre discipline, sarebbe stato un bel colpo, anche mediatico».

Ma la fatica?

«Affrontarla e superarla realizza di più. È soprattutto una questione di testa».

In che senso?

«Sono una persona determinata, che non si arrende. Chi pratica il triathlon si prepara in modo meticoloso, si alimenta bene, si sente un po’ superman».

Quale disciplina preferisce?

«Il nuoto perché lo pratico da sempre. Ho fatto anche i campionati americani di salvataggio in spiaggia».

Predilige il nuoto, ma nelle foto la si vede molto in bici.

«È un misto di tutto. Ma forse un po’ sì… Nel ciclismo ci sono più soldi per le sponsorizzazioni. La Colnago è molto professionale».

Ha anche i figli ciclisti.

«Gareggiano per la Ciclistica Biringhello di Rho. Credo molto nello sport, in America è un fatto di cultura, le scuole premiano gli atleti. Nel college vedevo tanti ragazzi prepararsi alle Olimpiadi».

Sport, scuola di vita.

«Scuola di costanza, determinazione, accettazione della sofferenza, educazione a rialzarsi dopo le cadute».

Come le è accaduto di recente: abbiamo visto le foto con le bende…

«Ero al Giro d’Italia con i clienti di Banca Mediolanum. Si fanno le cosiddette <pedalate>, tappe più corte ma con lo stesso traguardo dei professionisti. Francesco Moser voleva mostrarmi il cambio all’americana che si fa in pista agganciando il compagno e lanciandolo con una spinta. L’abbiamo fatto senza un briefing precedente e così sono ruzzolata».

La sua settimana sportiva tipo?

«Nuoto due volte la settimana la mattina dalle 7 alle 8,30 o la sera dalle 21 alle 22,30. Altre due volte vado a correre al parco di Trenno o sulla Montagnetta di San Siro. Per la bici mi alleno o con i miei figli che vanno come schegge o esco con il coach Simone Diamantini».

È vero amore o business?

«È iniziata come una passione. Ma cosa c’è di meglio nel trasformare la passione in business? Tanti mi dicono che sono vecchia. È vero, ho cominciato a 46 anni, ma la costanza premia sempre. E poi non ho mica l’obbligo di vincere. Mi piacerebbe arrivare a fare mezzo Ironman: 90 km in bici, 1,5 di nuoto, 21 di corsa».

Marilyn Monroe avrebbe amato il triathlon?

(Ride) «Forse sì. Ho visto le sue foto mentre fa i pesi. Teneva molto al suo fisico, seguiva una dieta proteica. Forse beveva un po’ troppo per essere un’atleta. Il triathlon l’avrebbe aiutata a superare la sua fragilità».

Marilyn, i social, il triathlon: il senso di Justine per il business?

(Sorride) «È un’evoluzione naturale. Non sono nata né ballerina né cantante, ma ho sfruttato la predisposizione di ragazza newyorchese. I miei genitori non erano benestanti. Ho vinto la borsa di studio anche se non stavo molto sui libri, ma con la memoria fotografica vedevo le pagine nella testa».

A cosa le servono le due lauree?

«La cultura dà la capacita d’interpretare quello che stai vivendo. All’inizio ho frequentato per due anni la facoltà di ingegneria meccanica, ma non mi vedevo in laboratorio di sera. Così ho optato per qualcosa che mi veniva più facile come la letteratura».

A Firenze due anni fa una studentessa americana è stata stuprata da un carabiniere.

«Io mi ero stabilita presso una famiglia nobile che risiedeva a Fiesole, ma non frequentavo gli americani perché volevo imparare bene la lingua. Le gite a Ravenna o a Praga che facevano i miei amici più agiati me le pagavo facendo la cubista in discoteca. Dove ho conosciuto il dj Joe T. Vannelli che mi ha spronato a cantare».

La fortuna arriva, ma bisogna incoraggiarla?

«Decisamente. In L’alchimista Paulo Coelho scrive che nella tua strada ci sono tanti indizi e che sta a te coglierli».

Come l’incontro con Paolo Limiti: che persona è stata per lei?

«Una persona colta, meticolosa, intelligentissima, ironica, divertente. Gli indizi: ero in Corso Sempione con un fotografo suo amico quando lui esce dalla Rai, casualmente. Ci salutiamo e lui dice che sta cercando una valletta per un nuovo programma. Io avevo un disco al secondo posto in classifica e volevo tornare in America. Al provino in Rai ci sono tante raccomandate, ma lui punta su di me, stregato dalla somiglianza con Marilyn. Ero una valletta, niente di più. Poi, una volta che Minnie Minoprio doveva cantare con Fred Bongusto quella canzone… “Quando mi dici così…”, ma ebbe un incidente, Paolo mi chiese di sostituirla. Non era difficile, anche se a un certo punto il microfono mi stava cadendo. Lo afferrai al volo e risultò un gesto studiato. Fu la svolta, Paolo mi assegnò a un’insegnante di danza e da valletta diventai showgirl».

Perché, dopo averlo sposato, non andò al suo funerale?

«Chi dice che non ci andai, qualcuno ha filmato tutti i presenti? Certo, non mi sono messa a piangere in prima fila. Ero dietro, l’ho guardato e sono andata via, ero l’ex moglie, non la vedova. Forse ho sbagliato, ma anche se non fossi andata sarebbero cavoli miei».

Quanto è difficile gestirsi per una bella donna?

«È difficile essere prese sul serio. Se non sei furba puoi non capire il potere che hai. Se usata bene la bellezza può portarti a qualsiasi livello».

Anche a essere l’amante del presidente degli Stati Uniti.

«Anche. Però, come abbiamo visto, non è detto che sia una gran fortuna».

C’è troppa brutalità maschile in giro?

«Penso ci sia anche una certa responsabilità delle donne in alcuni fatti. Gli uomini sbagliano a etichettare la bellezza come qualcosa di a sé stante: una donna bella è inevitabilmente oca. Ma è una situazione che può rivelarsi vantaggiosa perché se fai qualcosa di buono stupisci. Meglio essere una rivelazione che una delusione».

Come si difende dai corteggiamenti troppo invadenti?

«Dicendo di no. Anche a costo di perdere la parte in un film o in una fiction. O di non lavorare più per una tv».

Quale? Può essere più precisa?

«Preferirei di no, ho scelto di fare la mia strada, anche se è più in salita. Il corpo non è un cambio merce».

Cosa pensa del Me too?

«Sono felice che stia diminuendo il ricatto dell’uomo potente sulle donne. Però non mi piace che la caccia al molestatore spunti vent’anni dopo. Perché non l’hanno svelato subito? Personalmente ho detto subito di no».

Che idea ha del femminismo?

«Penso di essermi comportata da femminista quando a 17 anni sono uscita di casa con una borsa di studio. E di esserlo anche ora usando con intelligenza il mio corpo. Penso che, a parità di prestazioni, le donne dovrebbero essere pagate come gli uomini. Uomo e donna hanno corpi e testa diversi. Femminismo non è vestirsi da uomo, con i capelli corti e senza trucco».

Ha seguito la Nazionale femminile di calcio?

«Mi ha entusiasmato, può essere di esempio anche per il ciclismo femminile. Lo sport è sempre un messaggio semplice e libero».

Se non entra anche lì la politica: le mostro il tweet di Monica Cirinnà dopo la vittoria della Cina.

«Non l’avevo visto… Lo usano per difendere il mondo Lgbt… Non approvo queste strumentalizzazioni».

Ha abbandonato la carriera di attrice e showgirl?

«Valuto le offerte. Ormai il varietà è in declino e le parti con personaggi con l’accento americano sono poche. Forse a teatro ci sono più possibilità. Ho un’idea per una commedia brillante…».

Riguardando le sue foto è comprensibile la gelosia di suo marito?

«Quando mi ha sposato sapeva che ero così. Non c’erano i social, ma avevo già fatto i servizi su Playboy. E poi sono una madre e una moglie molto presente».

Il suo profilo Instagram è terrorismo sugli uomini?

«Addirittura. Vuol essere l’inno alla femminilità di una donna completa che fa le gare di sport ma è anche passionale. Instagram permette di essere editori di sé stessi. Mostri ciò che fai a 360 gradi… ma anche a 90… (ride). Mi piace provocare la gente…».

Segue la politica?

«Leggo i giornali, ma per me la politica italiana è misteriosa».

Nella vita pubblica c’è qualcuno che la incuriosisce?

«Matteo Salvini, in un certo senso. Sono figlia di emigranti di terza generazione. I miei bisnonni arrivarono a Ellis Island nel 1908 con la valigia di cartone. Mi incuriosisce anche Donald Trump, che da democratica non ho votato. Salvini è un personaggio forte, voglio capire dove vuole portarci, anche se d’istinto la vedo diversamente».

Siamo in estate, esprima un desiderio.

«Essere felice domani come lo sono oggi. E poi chissà, magari una serie su Netflix di tante stagioni. O una vittoria sportiva prestigiosa».

 

La Verità, 30 giugno 2019