«Noi siamo romantici, ma Instagram ci inganna»
Confortevole e conformista, ma con un grande avvenire davanti. Però non è chiaro se dobbiamo rallegrarcene o no: perché il più attraente dei social, il più cool, nel verbo dei suoi adepti, oltre un miliardo, un po’ ci ruba l’anima. Ci seduce e banalizza, ma anche ci educa. E quindi difficile emettere una sentenza univoca. Lasciando perdere Tik Tok, prateria per adolescenti, Instagram è l’avanguardia, la frontiera del meglio, il club delle élite. A svelarne tutti i segreti è da poco in libreria Instagram al tramonto (La nave di Teseo), ultimo saggio di Paolo Landi, autorevole advisor di comunicazione che ha lavorato a lungo per Benetton e oggi cura l’immagine di Bologna fiere, Ovs e numerosi altri marchi. Nel 2006 il suo Volevo dirti che è lei che guarda te – La televisione spiegata a un bambino, pubblicato da Bompiani con prefazione di Beppe Grillo, preconizzava il declino della vecchia tv. Ora questo Instagram al tramonto è talmente anticipatore da risultare controintuitivo.
Quando l’ho visto in libreria mi ci sono tuffato.
«Pensi che il titolo originario era Instagram spiegato alla Ferragni».
Non male neanche questo.
«Già, ma avrebbe potuto risultare presuntuoso».
Perché Instagram al tramonto?
«È un titolo volutamente ambiguo. All’imbrunire, mentre si torna dal lavoro o si è da poco arrivati a casa, Instagram registra il picco di like perché tutti fotografano tramonti».
Il picco deriva dall’orario o dal soggetto?
«Le due cose coincidono. Al tramonto si postano suggestive foto di tramonti. A quell’ora Instagram è molto frequentato».
Instagrammer romantici?
«Molto, si direbbe».
Come Volevo dirti che è lei che guarda te anche questo saggio smonta la nostra illusione di essere protagonisti mentre siamo manovrati, orientati, addomesticati?
«Crediamo di usare un mezzo liberamente e invece ne siamo usati. Nel libro del 2006 intuivo che la televisione sarebbe stata superata da altri media. Instagram ha futuro, anche se potrebbero esserci evoluzioni e mutamenti».
Niente tramonto, quindi?
«Mi sembra presto, siamo ancora nella fase ascendente. Pochi anni fa Avatar, un film su Second life, fece il record d’incassi e sembrava che tutti dovessimo avere un alter ego virtuale. Oggi chi parla più di avatar? Credo che con Instagram dovremo fare i conti ancora per un po’».
Che vantaggio ne trarremo?
«Lo capiremo meglio più avanti. A un certo punto al cervello umano non son più bastate la scrittura e la televisione, la letteratura e il cinema, e ha ideato un modo di comunicare più veloce e istantaneo. Mi chiedo che cosa cerchiamo con queste innovazioni? Come le altre invenzioni hanno migliorato la nostra vita, spero che anche i social la migliorino».
Instagram sta per?
«Fonde i concetti di instant camera e telegram: un’immagine veloce pubblicata sul momento».
Il social dell’attimo fuggente?
«Il primato dell’istante».
Senza memoria?
«La sua forza è l’immagine usa e getta. Quando arriva un post nuovo quello precedente non si guarda più. Dopo 24 ore le storie si cancellano».
Niente archivio?
«Non si ritrova nulla. L’altro giorno avevo letto una frase che diceva… Un attimo che la cerco… L’avevo vista proprio su Instagram e adesso – a proposito di archivio inesistente – non riesco a ritrovarla. Eccola su Google: “Non dialogare mai con un idiota perché ti trascina al suo livello e ti batte con l’esperienza”. È Instagram».
Si dice «siamo» e non stiamo su Instagram o su Twitter: i social ci fanno essere e se non ci sei non sei?
«Ci costringono a essere qualcuno e ad avere un’identità».
Non esistono la contraddizione e il contrasto: in tempi in cui si parla molto di odio e di haters è un fatto positivo?
«Direi di sì, è un social borghese. Non mi pare che gli haters aiutino a illuminare il dibattito politico o sociale».
Invece Instagram è educato?
«Più di Twitter certamente. Anche se alcuni profili cattolici attirano odiatori e i commenti sono pieni di bestemmie».
Con il cristianesimo perde il suo aplomb?
«È un fenomeno strano. Sui profili dei testimoni di Geova o del Dalai Lama non è così. Solo la religione cattolica attira aggressività e blasfemia. È difficile capire le cause, il cattolicesimo innesca la bestemmia, che invece non esiste nelle religiosità orientali».
Perché sono più di moda?
«Le star di Hollywood non le vedo a recitare il rosario, mentre partecipano ai riti buddhisti tibetani. Forse è anche una forma di provincialismo, non so cosa c’entriamo noi italiani con il Dalai Lama».
Cosa vuol dire che Instagram «rende metafisica l’economia, la spiritualizza»?
«Per esempio omologa tutte le professioni. Un parrucchiere, un dogsitter, un avvocato, un blogger e un promotore finanziario sono tutti sullo stesso piano. Se il lavoro perde potere di distinzione siamo in un sistema economico diverso da quello vissuto finora. Il lavoro è dematerializzato».
Un social del superfluo?
«Tutto scorre in superficie, rapporti umani compresi. Ma la visione che dai di te stesso non è veritiera».
Non è troppo definire l’economia digitale la rivoluzione industriale del XXI secolo?
«Siamo ancora in una stagione pionieristica, non sappiamo bene cosa ci aspetta. Convivono le generazioni che hanno assistito al cambiamento e i nativi digitali. Possiamo intuire che il lavoro cambierà e cambierà anche il rapporto con i beni di consumo, dei quali ci si può appropriare molto facilmente. Se ti piace un abito, vai sul profilo di un influencer e lo compri pagandolo con lo smartphone, senza bisogno di strisciare la carta di credito».
Gli influencer cambiano il concetto di tempo, di prestazione d’opera e di competenza?
«Mentre tutti giocavano con i like, loro hanno capito che potevano fare i soldi, Chiara Ferragni per prima. Le modelle andavano nello studio fotografico, si vestivano, si truccavano, destinavano il loro tempo a quell’occupazione. L’influencer è insieme pienamente ozioso e pienamente occupato. È sé stesso quando si veste, viaggia, sorseggia un vino, indossa un orologio. La competenza non è richiesta, forse è utile un po’ di gusto. Anzi, molti non hanno nemmeno quello, cosa c’è di più opinabile del gusto?».
Dietro l’apparenza patinata si nasconde l’ipermercato di un capitalismo più sfumato e invasivo?
«È un ipermercato che vende merci ed emozioni insieme. Se clicchi su un bel tramonto spunta il resort dal quale goderselo, se clicchi sul sorriso di un bambino ecco il più soffice dei pannolini. Instagram fonde emozioni e merci e le vende insieme».
Anche gli spot lo fanno.
«Con gli spot guardi, ma non partecipi. Persuasione e acquisto sono due atti distinti. Su Instagram clicchi sul tramonto e compri subito la vacanza».
Perché non è ancora stato conquistato dalla politica?
«Perché non è adatto. La politica viaggia su Twitter perché richiede sarcasmo, intuitività, vis polemica. Instagram è soprattutto immagine e l’immagine dei politici non è così accattivante».
Riflettendo sui social, finora si è parlato di narcisismo ed esibizionismo. Perché lei insiste sullo snobismo?
«Si mettono i like per entrare in un club che non ci appartiene. È un meccanismo di ascesa sociale, se sono un tifoso di calcio vorrei che Ronaldo mi mettesse il cuoricino. Invece, anche se accadesse, non sarebbe di certo lui a farlo, ma chi cura il suo profilo. Instagram mantiene distinte le classi sociali».
A forza di consumare continuamente, l’unica cosa che consumiamo è Instagram stesso?
«La sua grande raffinatezza è di essere un prodotto, un brand. Come la Playstation. Crediamo di goderci le foto dei nostri amici, invece in quel momento qualcuno ci profila e ci inserisce in un database».
È il social più conformista e omologante?
«Mentre ti illude di essere libero di postare le foto che ti piacciono ti uniforma. E finisci per postare le foto che postano tutti. Di sera i tramonti, in spiaggia i piedi, quando ci si fa i selfie le linguacce. Instagram è un propulsore di conformismo».
L’ultimo dei 15 screenshot fotografati da Oliviero Toscani è il suo.
«Ci sono dentro in modo critico».
Pentito?
«No, ma medito di uscire».
Quindi è pentito?
«Se vivi nella contemporaneità devi usare ciò che la contemporaneità ti offre. Non demonizzo Instagram e non biasimo chi ama esserci, ma mi piace farne un uso consapevole. Mi chiedo chi sarà la nuova classe dirigente: la massa che sta lì a postare tramonti o qualcun altro? L’élite del futuro emergerà dagli Instagrammer o da qualche altra cosa che ancora non sappiamo? È un fenomeno massificante, ma finora tutti i media hanno favorito il progresso dalla specie umana».
Io continuo a diffidare, se ci si pensa un attimo prima di postare un’opinione o un sentimento alla fine non si posta. Le cose preziose restano fuori.
«Le cose che ritenevamo preziose, la pancia di tua moglie incinta, il neonato, sono corrotte dalle immagini che mettiamo su Instagram. Le custodivamo nel privato e ora sono schiaffate davanti a milioni di persone. Instagram appartiene al nostro tempo, ma non è obbligatorio».
Ce la faremo? O vincerà l’omologazione?
«È difficile capire come finirà. È come se Instagram ci educasse ad avere una dimestichezza digitale. Penso che alla fine ci sarà qualcuno che dirà che il gioco è finito e adesso fate quello che dovete fare, cioè comprare. Secondo me si arriverà a un sistema più raffinato di domanda e offerta dei bisogni. Indotti o meno».
La Verità, 15 dicembre 2019