«Da ridere l’arrembaggio di Salvini e Di Maio»
Appuntamento in un bar con vista Colosseo. Zona Claudio Scajola? «Noooo. Il famoso appartamento ristrutturato sta dall’altra parte, di lato al colle Oppio. Io sono palermitano di nascita e romano d’adozione. Anzi, romano del Colosseo, al quale mi sono sempre più avvicinato». Vincenzo Gallo, in arte Vincino, 71 anni, un passato in Lotta continua, sulfureo vignettista del Foglio e Vanity fair, opinionista di Radio radicale, fondatore e direttore di gloriose riviste di satira, è un grande osservatore della politica italiana. Sempre con il suo pennarello tagliente, originale, sguincio.
Contento che le elezioni abbiano cambiato tutto?
«Sì. Chi governava ha fatto errori enormi e la situazione era insopportabile. Quello che arriva è tutto da vedere».
Errori enormi?
«Hanno raccontato un sacco di balle. A cominciare dagli 80 euro, una volgare regalia. Io ho 71 annni… Da ragazzo facevo politica allo Zen di Palermo, ho visto gli assegnini distribuiti con i volantini, mi pare fosse il ministro Giovanni Gioia. Nei quartieri popolari le elezioni erano una festa, un giorno arrivava un partito, il giorno dopo un altro. Promettevano soldi, lavoro, la casa».
Gli elettori del Sud si spostano in blocco.
«Ma no, secondo me manco sapevano del reddito di cittadinanza».
Dici?
«Il Sud ha votato M5s perché Pd e Forza Italia hanno una classe politica decrepita e bugiarda. Un voto di vendetta per le promesse disattese».
Balle.
«Voti comprati. Cos’era il bonus ai giovani?».
Non era utile?
«Macché. Trent’anni fa telefonavamo con i gettoni: io mi aspetto che un movimento progressista attrezzi lo Stato per guidare il cambiamento».
Hanno provato a fare le riforme.
«Quali? Portare al Senato i consiglieri regionali, la peggiore classe politica che abbiamo? Oppure abolire le province e mettere il Corpo forestale sotto i carabinieri?».
La vulgata dice che le promesse irrealizzabili le hanno fatte M5s e Lega, ma tu nel braccio di ferro tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio stai dalla parte del tavolo.
«Per vedere come finisce».
Mai contento?
«Mai. Torniamo a Palermo negli anni Settanta. Il sindaco era Vito Ciancimino, il capo dell’opposizione Achille Occhetto, esiliato perché estremista. Dopo un intervento in consiglio comunale Ciancimino prende un bicchiere d’acqua per dissetarsi e i ragazzi della Fgci urlano: “Veleno!”. Il bicchiere precipita e va in frantumi. Altro coro: “Baffo, baffo, baffo”, prima che parlasse Occhetto. Il tifo e l’opinione pubblica decidono».
Mai contento e fuori dal coro. Lega e 5 stelle?
«La Lega mi risulta insopportabile. La razza bianca, i cattivi umori prima verso i meridionali – che, una volta al Nord diventano leghisti – e poi verso gli immigrati».
E i 5 stelle?
«Sono da sempre prevenuto verso Beppe Grillo. Quando facevamo Il Male lui faceva gli spot dello yogurt, era il figlioccio di Pippo Baudo. Poi hanno cominciato a scrivergli i testi Stefano Benni e Michele Serra ed è migliorato. Con la macchina da guerra della Casaleggio associati ha conquistato mezza Italia».
Quindi, tutto a posto.
«I grillini sono stati sorteggiati dalle parlamentarie, ma quasi quasi preferisco i sorteggiati ai leghisti».
Come andrà a finire?
«Faranno il governo insieme. Sul giustizialismo sono d’accordo. Tanto più in assenza di una riforma della giustizia che una sinistra vera avrebbe dovuto fare anni fa, ma siccome c’era Berlusconi… Anche sull’antieuropeismo sono d’accordo».
Quanto dureranno?
«Non tanto. Penso che la Lega litigherà con Forza Italia, come sta già facendo. E i 5 stelle litigheranno tra loro, perché la maggioranza solidarista non digerirà l’alleanza con la Lega».
Faranno la legge elettorale per tornare a votare?
«Altra fregnaccia, siamo l’unico Paese che ha questo virus. Ci sono due anni di svolta nella storia d’Italia. Il primo è il 1978 quando ammazzano Aldo Moro, il più lucido dell’epoca. Erano tutti d’accordo».
Bettino Craxi no. E nella Dc…
«Lo mollano anche i grandi capi, tranne quattro suoi amici».
L’altro anno chiave?
«È il 1992, quando fanno fuori tutti i partiti meno il Pci. Poi distruggono la legge elettorale con il proporzionale puro e le preferenze che ci aveva garantito 40 anni di progresso».
Che cosa auspichi?
«Che non levino quel po’ di finanziamento pubblico rimasto alle testate giornalistiche».
Per il Foglio?
«Il Foglio ne ha pochissimo. Per Radio radicale, una delle poche testate che fa servizio pubblico».
Di testate ne hai fondate parecchie.
«Sì… Tu sei veneto come Sergio Saviane?».
Lui viveva ad Asolo, posto splendido.
«Con Sergio e Pino Zac fondammo il Male. Poi nell’87 progettiamo Zut, settimanale incandescente. Incontriamo Luciano Benetton in un albergo di Asolo. “Ecco il conte zio”, me lo presenta Sergio. Lui guarda il brogliaccio che avevo disegnato e ci compra un anno di pubblicità anticipata: 3,5 milioni a settimana. Su una vignetta che lui non vedeva nemmeno compariva il brand Benetton, tutto qui».
Ma?
«Prima che finisca l’anno mi silurano da direttore. Un fotografo ci aveva portato delle foto di Eugenio Scalfari con una donna. “Sergio, chi è questa?”. “Non sai che Scalfari ha due di tutto? Mogli, famiglie…”. All’epoca io facevo il sosia di Bettino Craxi, con la pelata di lattice. Cicciolina si prestò come amante e pubblicammo le foto affiancate di Scalfari e Craxi, ognuno con la rispettiva. Un doppio scoop in cui tutti erano veri, tranne me. L’editore di Zut era Ettore Rosboch, fratellastro di Carlo Caracciolo, socio di Scalfari, che s’incazzò a morte perché la storia era vera. Avevamo anche un cambio pubblicità con Repubblica. Un disastro. Rosboch era una brava persona, ma senza la tempra dell’editore di satira. Rotolò la mia testa».
Per chi vota un anarchico?
«Decide di volta in volta».
L’ultima?
«Non te lo dico nemmeno sotto tortura. Un anno ho votato Democrazia proletaria alla Camera e Partito liberale al Senato».
Emma Bonino, cioè Pd?
«Nel caso avrei votato direttamente Pd. Stimo Paolo Gentiloni, mio direttore a Nuova ecologia».
Però hai sfiducia nei politici.
«Totale».
I cronisti siciliani hanno calcolato che i deputati regionali si riuniscono un’ora e mezza a settimana.
«Meglio, fanno meno danni. Anche la storia dell’abolizione dei vitalizi è un’anatra zoppa buttata in pasto all’opinione pubblica. Anche su questo Lega e M5s si trovano».
Hai sfiducia nei politici ma difendi i vitalizi?
«Ho sfiducia nel lavoro dei politici. Ore di riunioni in cui farsi dire da altri come votare. Ero amico di Lino Jannuzzi, fine intellettuale. Eletto al Senato si è immalinconito. Li vedi nei talk show? Ripetono le solite cose, mai nessuno che si convinca di quello che dice l’altro».
Hai il busto in marmo di Andreotti in terrazza: lo rimpiangi?
«Rimpiango l’epoca. Il busto è un premio di satira. La statura di Andreotti è fuori discussione, l’ho rivisto in Frank Underwood di House of cards».
Rimpiangi l’epoca, cominciando dagli anni Settanta?
«Quando ero giovane e bello. Feci due esperienze, una più divertente dell’altra: il servizio militare e la galera».
La galera?
«A Gela nel 1972 vendevamo Il processo Valpreda. Arrivano i fascisti a menarci, ma arrestano noi. In caserma ci picchiano e un carabiniere si fa male a una mano. Risultato: un mese e mezzo nel carcere di Caltanissetta».
La violenza è sorella dell’ideologia?
«Io sono non violento e se potevo scappavo. Però la violenza la vedevo. È nella storia».
Anche in Lotta continua?
«Nemmeno tanto. C’era il servizio d’ordine, fatto da ragazzotti violenti. Come tutti i servizi d’ordine, del sindacato, del Pci».
E l’omicidio del commissario Calabresi?
«A tutt’oggi non ho capito com’è andata. Sono sicuro che Lc come organizzazione non c’entra».
Adriano Sofri è stato condannato dopo sette processi: per te è innocente?
«Sì. In due o tre è stato assolto in altri due o tre condannato. Tutto dipende dalla parola di Leonardo Marino che parla di un cenno di Sofri con la testa a un corteo a Pisa. Mi sembra poco per condannare qualcuno. Siamo un Paese poco attrezzato per cercare la verità. Non sappiamo se i servizi abbiano infiltrato qualcuno di Lc o di altre organizzazioni. Sappiamo invece che la magistratura non subisce controlli esterni o epurazioni».
Alla satira mancano i bersagli grossi?
«Ma no, con tutti questi giovanotti all’arrembaggio; Salvini, Di Maio, Danilo Toninelli che magari diventa presidente del Senato. Figurati. Poi Renzi c’è ancora. E le buche di Roma, l’Europa, Grillo con il suo doppio ruolo».
Roba vecchia.
«Lui continua a pontificare, noi continuiamo a non sapere in che condizioni guidasse il giorno dell’incidente che provocò tre morti. Allora non si facevano i test, chissà come finirebbe oggi. Non gli abbiamo mai sentito dire un pensiero per quelle tre persone».
Un antirenziano al Foglio: problemi?
«All’inizio non lo ero. Al Foglio va benissimo. Mai ricevuta una telefonata da Giuliano Ferrara o da Claudio Cerasa. Raramente, il giorno dopo».
Staresti meglio al Fatto quotidiano?
«Al Fatto mi chiamerebbero il giorno prima: hai fatto una vignetta contro quello lì mentre noi siamo a favore».
Ti definisci vignettista «di facili costumi», una prostituta.
«Ho lavorato al Sabato, sto al Foglio. Mi chiamavano dalla destra e dalla sinistra e non sapevano come etichettarmi».
Hai disegnato per il Corriere della sera e Vanity Fair: un ex di Lotta continua nell’establishment?
«Al Corriere mi chiamarono nell’87: “Ha nulla in contrario a collaborare con noi?”. Ero basito, mi guardavo intorno con la cornetta in mano… Adoravo lavorare per il Corriere. Nel 2014 hanno sospeso. Vanity fair invece va avanti».
E l’establishment?
«Io nasco nell’establishment, mio padre dirigeva i cantieri navali di Palermo».
Hai un motivo per sorridere (non amaro)?
Dopo un lungo silenzio punta il dito verso il Colosseo: «Quello, il posto più dinamico del mondo».
La Verità, 18 marzo 2018