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Pif svela il lato comico di Battiato, ma non basta

Quando è arrivata Centro di gravità permanente, la canzone più attesa insieme a La cura, ho finalmente capito: Uacci uari uari / Uacci uari uari… Per tutta la serata omaggio al suo autore e interprete scomparso nel maggio scorso, Pierfrancesco Diliberto, alias Pif, conduttore e incursore di Caro Battiato (Rai 3, ore 21,30, share dell’11%, quasi 2,3 milioni di telespettatori) ci aveva raccontato una persona inedita. Un Maestro, come molti lo chiamavano. Uno studioso di musica e di esoterismo. Un uomo aperto al trascendente. Tutto vero e già noto. La parte poco conosciuta era il Franco Battiato che si divertiva e amava divertire. Che raccontava barzellette a raffica. Alcune un filo ermetiche, altre meravigliose come quella riproposta dal suo manager, Franz Cantini. Battiato barzellettiere è obiettivamente qualcosa di sorprendente. Diverso dal profilo dell’intellettuale enigmatico e irraggiungibile, perso nelle visioni della mistica sufi, al quale probabilmente ha pagato pedaggio lo stesso Pif che, prigioniero della regola autoimposta di non parlare con i suoi miti, ha mancato l’occasione d’incontrarlo. Peggio per lui. Ma peggio anche per noi che per tutta la sera abbiamo dovuto sintonizzarci sul rimpianto dell’opportunità mancata, espresso in una lunga lettera al Maestro, alla maniera di Caro Marziano. Davvero troppo autoreferenziale. Anche perché il suo meglio televisivo, Pif l’ha dato in Il testimone: telecamerina in spalla e curiosità in testa. Lo si è visto anche l’altra sera, quando, appunto, ha fatto raccontare ai tanti amici e collaboratori episodi e tratti meno conosciuti di Battiato. Così Gianni Morandi: un periodo suonava ininterrottamente la chitarra, poi si buttava sul violino per ore e ore, poi sul pianoforte, «adesso sto studiando il biliardo», infine la pittura: «Battiato era una cosa a parte, poi ci sono tutti gli altri». E Jovanotti: dove lo trovi uno che ti allarga gli orizzonti con «alberghi a Tunisi» e «studenti di Damasco», oggi siamo tutti chiusi nelle nostre stanze dell’eco… Proprio Morandi (Mesopotamia) e Jovanotti (L’era del cinghiale bianco), insieme ad Alice (La cura) e Max Gazzé (Un’altra vita), sono stati protagonisti delle interpretazioni del concerto (registrato il 21 settembre all’Arena di Verona) più degne di nota. Quasi quanto le barzellette, le telefonate all’alba agli amici («Giù dalle brande», lui che il militare l’aveva svicolato), il suo essere alla mano, l’autoironia ad accompagnare la ricerca e le idiosincrasie. Uacci uari uari / Uacci uari uari

 

La Verità, 7 gennaio 2022

Il cammino verso la cognizione del dolore di Chiara Leonardi

In un video di un quarto d’ora si possono dire un sacco di cose. Si può tracciare un’autobiografia di famiglia e raccontare la storia del rapporto tra sorelle. Si può mostrare l’acquisizione della cognizione del dolore. Si può disvelare l’anima, si possono toccare corde profonde e commuovere il pubblico. Ci è riuscita Chiara Leonardi, ventitreenne neolaureata alla Scuola Naba (Nuova Accademia di Belle Arti) di Milano, autrice di Alice, presentato in questi giorni alla Mostra del Cinema di Venezia. Proposto per la tesi di laurea e molto apprezzato dai docenti, dopo un passaggio allo Short Film Corner di Cannes, è approdato al Lido tra i corti della Settimana Internazionale della Critica realizzata con l’Istituto Luce. Un exploit inaspettato e non cercato. Una creatura che ora cammina con le sue gambe.

Una scena di Alice, di Chiara Leonardi

Una scena di Alice, il corto di Chiara Leonardi alla Settimana della Critica

Alice è il racconto di un interno di famiglia visto con gli occhi dell’adolescenza e della gioventù. Niente di generazionale o di sociologico. Niente che sappia di analisi da ufficio studi o di retorica da articolesse colte. Solo una storia personale – c’è qualcosa di più importante? – lontana da canoni prestabiliti. Niente internet, telefonini, social network. Niente intellettualismi. Solo tanta vita. Con le sue discese e risalite, i suoi strappi, le sue crepe sull’epidermide dell’innocenza. La videocamera amatoriale diventa un diario. “Quello che sto per scrivere è un segreto e tu non lo devi dire a nessuno”, annuncia Chiara nell’incipit della storia, scolpendo sullo schermo nero le date dei momenti di svolta. Ma la videocamera è anche un occhio che indaga e accompagna. Che documenta e restituisce le cose della vita con tenerezza e poesia, a volte con asprezza. Una storia semplice, un storia come tante. In realtà, unica e irripetibile, com’era quella, molto più lunga e strutturata, di Mason, il ragazzino protagonista di Boyhood, filmato per 12 anni un giorno all’anno, da Richard Linklater.

Mason, a sinistra, in una scena di Boyhood di Richard Linklater

Mason, a sinistra, in una scena di Boyhood di Richard Linklater

Le tre sorelle, Chiara, Sofia e Francesca, sono molto unite. Giocano, scherzano, stanno bene insieme. È giovedì 13 giungo 2002 – la scuola è finita e si parte per le vacanze. Tutta la famiglia in macchina a cantare, videocamera accesa. “Oggi mi sento leggera – riflette a voce alta Chiara – non peso neanche un grammo, non peso nemmeno un po’… Certe volte penso che vorrei vivere così per sempre, leggera… Non peso neanche un grammo…”. Chiara ha sempre filmato, fin da quando aveva sette anni. Feste di famiglia, pigri risvegli mattutini, giochi, leggerezza. Fin quando qualcosa accade – è mercoledì 12 ottobre 2005. La videocamera è aperta sul litigio tra Francesca e i genitori. Un litigio come ne avvengono tanti nelle famiglie. Ma qui irrompe la sofferenza e la spensieratezza s’incrina. “Da oggi smetto di filmare… Francesca sta male… Tutto il resto è un nodo inestricabile”. Anche se il ricordo più vivo è un momento di complicità, una volta che Chiara doveva andare a una festa e Francesca si offrì di truccarla… Ma ora, “cosa ci è successo, Franci? Che cosa ci siamo fatte?”. Schermo nero, rumori lontani. Rewind e forward continui, immagini che si spezzano… “Sto cercando qualcosa, provo ad afferrarla ma mi sfugge… Provo e riprovo, ma so di non riuscirci… Adesso peso un grammo… E non lo perdo…”.

Chiara Leonardi, tenete a mente questo nome.