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Perché Bisteccone andava bene e Lele Adani no?

Due parole, in chiusura, sulla querelle Lele Adani. Raramente un commentatore sportivo ha diviso quanto Daniele Adani, etto Lele. C’è chi lo vorrebbe silenziare per sempre e chi vorrebbe beatificarlo, in Sudamerica, Argentina e Uruguay soprattutto. I n fatto di telecronache e commenti, io ho gusti diversi. Per dire: mi piaceva molto Paolo Rosi, il suo tono che sapeva essere epico pur restando compassato. Come quando commentò l’ultimo drammatico giro di pista della maratoneta Gabriella Andersen Schiess alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984. Barcollante, al limite dello svenimento, eppure determinata a tagliare il traguardo sebbene 15 minuti dopo l’arrivo della vincitrice. Paolo Rosi era stato un ottimo rugbista, vincitore di due scudetti e anche capitano della Nazionale e quando commentava l’atletica, il rugby e il pugilato trasferiva il pathos di quegli sport senza increspare la voce. Un altro che ho amato molto è stato Sandro Ciotti. Per la ricchezza del vocabolario e la capacità di tratteggiare gli avvenimenti con veloci pennellate. I non più giovani come me ricorderanno «ventilazione inapprezzabile», un capolavoro della sottrazione. Ecco la parola. Raccontare sottraendosi: per lasciare la ribalta ai fatti, agli avvenimenti. Altri due che ho molto amato sono stati Rino Tommasi e Gianni Clerici, una combinazione irripetibile di tecnica e poesia, di conoscenza e letteratura, sui quali sono stati scritti diluvi di elogi ai quali non serve aggiungersi. Alla loro scuola non sono iscritti molti dei cronisti e commentatori di oggi: dai tempi di Rosi e Ciotti (e di tanti altri) i tempi sono di molto cambiati. C’è stata la rivoluzione digitale, sono arrivati i social e sembra che, per farsi sentire, per imporsi, si debba gridare, esagerare. Per fare dei nomi, Fabio Caressa, Franco Bragagna e altri che tendono a sovrapporsi. Spesso, nel tentativo di esibire la loro competenza, inondano i telespettatori di nozioni inutili o per lo meno marginali rispetto a ciò che si sta vedendo.

C’è però un’altra scuola, più vicina a quella di Lele Adani, che in questi giorni nessuno ha citato. La scuola di Giampiero Galeazzi, in particolare quando commentava il canottaggio, le imprese dei fratelli Abbagnale, lui che era stato a sua volta canottiere di un certo successo. Esaltazione allo stato puro. Bisteccone Galeazzi saliva con la sua voce e il suo crescendo da infarto sull’armo dei «fratelloni» facendolo diventare un tre con. Galeazzi ci andava bene, Adani no. Perché, si dice, i suoi commenti sono costruiti. Non lo so, non credo, ma anche se lo fossero?

Io penso che Adani sia soprattutto un innamorato del calcio, del bel calcio. E, dunque, dei calciatori che dispensano bellezza giocando. Intervistato da Aldo Cazzullo del Corriere della Sera, nella sua classifica delle preferenze ha messo in cima Diego Armando Maradona e non era difficile. Ma ha anche detto che ogni generazione ha il suo idolo, il suo prediletto. Ecco, personalmente sto con Pep Guardiola che esalta Johan Cruijff, padre di Van Basten, senza togliere nulla a tutti gli altri… Adani, dunque, si esalta con i calciatori sudamericani di cui conosce caratteri, retroterra, formazioni, abitudini, quartieri di provenienza. Ciò che divide maggiormente dei suoi commenti sono questa enfasi, questo sguardo esagerato sul futebol, sul calcio sudamericano. In particolare, durante questi Mondiali, le sue metafore bibliche, Messi che «trasforma l’acqua in vino»; Maradona che aveva profetizzato: «dopo di me verrà un altro numero 10…».

Eccessi, esagerazioni. Meglio lasciar stare i riferimenti evangelici. Ma chissà, Adani vuol giocarci un po’, magari rendendoli più famigliari. È proprio così scandaloso? Forse conviene non prendere tutto troppo sul serio. Stiamo sempre parlando di una palla rotonda…

Senza diritti integrali la Rai ci manda sulle piattaforme

L’altra mattina, causa contemporaneità dei due quarti di finale dell’Italvolley e dell’Italbasket, la Rai ha giocato al rimbalzo di linea tra la partita di Osmany Juantorena e soci contro l’Argentina e quella della squadra allenata da Meo Sacchetti contro la Francia. È stata una scelta felice una delle poche fatte dal servizio pubblico in occasione delle XXXII Olimpiadi di Tokyo. Per usare una formula che soccorre in questi casi, si è fatta di necessità virtù. Ma lo stato di necessità, frutto stavolta di scelte sbagliate, se l’è procurato da sola la stessa Rai. Il rimbalzo di linea tra le schiacciate di Ivan Zaytsez e i canestri di Simone Fontecchio, purtroppo entrambi non sufficienti a garantirci il successo finale, fa sempre un bell’effetto su chi può stare davanti alla tv a metà mattina. Ma scontenta gli appassionati di pallavolo e di pallacanestro che vogliono vedere le partite per intero, possibilmente non intervallate da break pubblicitari. Rai 2, la cosiddetta «rete olimpica», fa quello che può, soddisfacendo i telespettatori di bocca buona. Ma l’errore è a monte, compiuto dai massimi dirigenti dell’azienda. La Rai dispone di un canale di Rai Sport che, come informa su Twitter il collega Claudio Plazzotta, non ha acquistato i diritti dei Giochi, e di Rai Play che avrebbe potuto acquisire da Discovery quelli per la trasmissione in streaming. Ma il servizio pubblico ha fatto una scelta al risparmio. E, per allargare la visuale, l’ha fatta anche Sky Italia, pur disponendo nella sua piattaforma dei due canali di Eurosport. Che invece sono visibili su Amazon, Dazn, TimVision e Discovery+. Quest’ultima piattaforma trasmette tutto in diretta, alcuni eventi con telecronaca e commenti, altri solo con le immagini live. Martedì sera, per esempio, ore 23,30 italiane, partiva la 10 chilometri di nuoto in acque libere, disciplina nella quale Rachele Bruni ha conquistato l’argento a Rio de Janeiro. Il circolo degli anelli, regolarmente in onda sulla rete olimpica, ci ha concesso fugaci finestre della gara mentre, come da copione, si commentavano i risultati della giornata già in archivio. Per seguire la prova sfortunata della nostra atleta, solo quattordicesima al traguardo, è toccato sintonizzarsi ancora su Discovery+. Dove per altro si ripara volentieri anche durante le competizioni di atletica leggera, volendo evitare gli eccessi esibizionistici di Franco Bragagna, un telecronista che non consente mai a chi lo affianca per il commento tecnico di completare una sola frase.

 

La Verità, 5 agosto 2021