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Piroette dei neoatlantisti e coerenza di Santoro

Adesso la polemica si è spostata sulla comunicazione. Dopo quella su Rete 4, rea secondo i vertici del Pd e di Italia viva, di aver ospitato nel programma Zona bianca di Giuseppe Brindisi, le riprovevoli esternazioni del ministro degli Esteri russo SergeJ Lavrov, è esplosa la querelle sulle emittenti che hanno veicolato Pace proibita, la serata organizzata e condotta da Michele Santoro. L’imperdonabile colpa dell’ex conduttore di Annozero è aver concesso, tra le altre, all’emittente Byoblu di Claudio Messora di riprendere e diffondere la serata che si è svolta al Teatro Ghione di Roma lunedì 2 maggio. La scomunica è arrivata via social dal sacerdote dell’ortodossia atlantista Gianni Riotta che, nel suo indefesso impegno a puntare il mirino della proscrizione contro coloro che non si allineano al diktat guerrafondaio, ha accusato sia Messora che Santoro di «fosco approccio all’informazione» e di «deformazione della cronaca e della realtà». Per lo stesso motivo, con un narcisistico «sono triste», l’ex habitué di studi santoriani Andrea Scanzi ha preso le distanze dalla serata.

Personalmente ho seguito l’evento su TeleNorba24 (tasto 510 della piattaforma Sky), unica emittente di un certo rilievo a raccogliere la proposta di trasmissione gratuita di Santoro, invece declinata dalla stessa Sky, da La7 e da Rainews24. Quando l’idea non soddisfa il padrone del vapore, anche la missione del servizio pubblico e dell’informazione della società civile mostrano la corda. È perciò risultato alquanto straniante rintracciare faticosamente sul telecomando un evento al quale, oltre agli abituali compagni di cordata come Vauro Senesi, Sabina Guzzanti, Carlo Freccero e Gianni Dragoni («l’America totalizza il 38% delle spese mondiali in armamenti»), si sono aggiunti, tra gli altri, Tomaso Montanari, Moni Ovadia, Elio Germano e il direttore di Avvenire Marco Tarquinio, autore di un intervento concluso con un lapidario «Guerra più guerra non fa pace».

Per certi versi, il clima semiclandestino ricordava quello di Raiperunanotte, con la sfilata di interventi di contestazione al sistema dell’informazione. In realtà, guardando ai contenuti, l’analogia è maggiore con la storica puntata dell’aprile 1999 di Moby Dick, trasmessa su Italia 1 dal ponte Brankov di Belgrado per contestare i raid della Nato sui Balcani. Visto da qui, Santoro è rimasto coerente con quell’idea. Destano invece notevole stupore coloro che, dopo averlo a lungo osannato in funzione antiberlusconiana, passati dall’altra parte della barricata, oggi non si fanno scrupoli a trattarlo da rossobruno.

 

La Verità, 4 maggio 2022

«La probabilità di guerra nucleare supera il 50%»

Un eretico: si definisce così Nicola Piepoli. Sondaggista creativo, imprenditore dinamico, fondatore di ben due istituti di ricerche, il Cirm prima e, nel 2003, quello che porta il suo nome e tuttora presiede, Piepoli è soprattutto uno che custodisce le lezioni della storia. Dobbiamo parlare della guerra in Ucraina? Per prima cosa elenca i suoi maestri: «Il francese Gaston Bouthoul, l’inventore della polemologia; Franco Fornari, insigne psicologo e autore di Dissacrazione della guerra. Dal pacifismo alla scienza dei conflitti; Luigi Pagliarani, anche lui psicologo, convinto che l’unico modo per combattere la guerra è innamorarsi continuamente della vita».

Lei è innamorato?

«Io sono tra i pochi che ha un rifugio antiatomico».

Prego?

«L’ho comprato in Svizzera dove ho un appartamento di 64 metri quadrati dotato di rifugio antiatomico».

Pensa che le servirà?

«Potrebbe. La possibilità di una guerra nucleare è superiore al 50%».

Non una bella prospettiva.

«Tre giorni fa Vladimir Putin ha dichiarato che di fronte a sanzioni eccessive ricorrerà alle armi che possiede. Siamo in una guerra guerreggiata. Credo che a Mariupol si arrenderanno, ma questo paradossalmente rischierà di coalizzare ulteriormente i Paesi occidentali».

Perciò intravede la guerra nucleare?

«Non penso che Putin possa vincere con armi normali. La Russia ha una superficie doppia di quella degli Stati Uniti e un Pil come quello della Spagna, perciò non può combattere a lungo. Se non si vuole precipitare nella guerra nucleare è necessario diminuire l’aggressività del nemico, come dicevano Bouthoul e Fornari».

Come si fa?

«Studiamo la Guerra fredda. Ottobre 1962: John Fitzgerald Kennedy negozia con Nikita Kruscev il disarmo dei missili della Nato in Turchia e ottiene lo smantellamento di quelli sovietici a Cuba. Scoppia la pace, cioè la Guerra fredda. Successivamente vinta dall’America quando crolla il Muro di Berlino e l’Urss si scioglie».

Il nemico principale è la guerra o Putin?

«La guerra porta sempre distruzione. Perciò la vince chi non la fa. Tra il 1989 e il 1992 l’America ha vinto senza fare un morto. Perché la Russia rinasca servono quattro o cinque generazioni. Se Putin vuole anticipare la rivincita e l’Occidente lo vuole soffocare con le sanzioni, potrebbe ricorrere alle armi nucleari. Credo si debba lenire il suo orgoglio. Concedergli qualcosa, trattarlo da cristiano non da mostro».

La bomba atomica è fatta apposta per non essere usata?

«A dieci anni ho visto Hiroshima. I documenti fotografici di quella sciagura mi hanno terrorizzato per tutta la vita. La bomba atomica è fatta per non essere usata fino a quando non c’è qualcuno che osa usarla. Dipende dalla psicologia del capo che la detiene. E che magari si sente in pericolo».

È vero che in Italia cresce la preoccupazione per le conseguenze economiche del conflitto?

«Sì, ma resta marginale. Nella mente della gente c’è ancora la fine del Covid. Il sentimento prevalente assomiglia a quello del Dopoguerra. La gente vuole ricominciare a vivere, andare a cena, lavorare, viaggiare, pensare al futuro. La guerra in Ucraina è in secondo piano rispetto all’euforia di non avere il Covid e della fine delle restrizioni. Questo sentimento fa aumentare i consumi anche se l’inflazione ci frena».

Gli italiani sono egoisti perché poco interessati alle sorti della popolazione ucraina?

«La risposta è sì, ciascuno s’interessa di sé stesso. Adam Smith diceva che l’economia si basa sull’egoismo, non sull’altruismo. Il panettiere pensa ai suoi clienti non al futuro del Paese».

Il premier Mario Draghi ha posto l’alternativa pace o aria condizionata: quella espressione ha spostato il sentimento della popolazione riguardo alla guerra?

«No, della guerra all’Ucraina si interessano soprattutto i media».

E la gente?

«Se ne interessa meno perché è lontana».

Quella frase ha influito sulla popolarità del premier?

«È stata ininfluente. Draghi rimane attorno a un indice di 60, dietro Mattarella che è a 70. Nel febbraio 2021 anche Draghi era a 70, poi è sceso fino a 52 a maggio, risalendo oltre 60 a fine ottobre e fino a tutto gennaio 2022. Adesso si è assestato sul 60. Crollerebbe se ci facesse entrare in guerra».

Che consenso hanno le sanzioni alla Russia?

«Non ho rilevamenti. Dal mio punto di vista sono una stupidaggine perché danneggiano più noi della Russia».

Perché non abbiamo risorse alternative?

«Perché è un errore rompere rapporti internazionali che producono ricchezza. Inoltre, le sanzioni mostrano che noi vogliamo la guerra e hanno fatto imbufalire Putin, provocando il contrario dell’esito sperato».

Si percepiscono come un boomerang sulla nostra economia?

«La gente non pensa a questo, ma a godersi la vita. Claudio, il patrigno di Nerone, non è stato il più intelligente degli imperatori, ma durante il suo regno non si sono combattute guerre. Il simbolo del potere non è fare la guerra, ma non farla. Ai senatori Claudio disse che per avere il popolo devoto bisogna dare panem et circenses, cibo e giochi. La gente s’interessa dei successi dell’Inter o della Juventus. Noi organizziamo le Olimpiadi di Cortina».

È vero che decresce la preoccupazione per l’allargamento del conflitto? Se non è deflagrato in due mesi…

«Bisognerebbe studiare la mente di Putin. Nel 2014 quando ha preso manu militari la Crimea, molti prevedevano una rapido ritiro. Io ero sicuro del contrario perché l’avevo studiato. Putin ragiona in maniera paranoide».

Cioè?

«Vive la gente come nemici. Non è un merito né un demerito. Una mente paranoide ce l’ha il 25% degli italiani».

Nel 2014 Henry Kissinger scriveva che l’Ucraina appartiene all’anima russa e non può essere un avamposto dell’Occidente o di Mosca, ma dev’essere un ponte tra loro.

«Ragionando psicanaliticamente, bisogna evitare di toccare le corde che provocano una guerra. L’ideale è che Russia e Ucraina si combattano tra loro e gli altri stiano a guardare. Eviterei l’ampliamento e il nostro coinvolgimento nel conflitto».

Da chi dipende l’ampliamento in atto?

«Dalla Russia e dall’America. Joe Biden è un creatore di guerra, parla creando il nemico non l’amico. Da eretico dico che Donald Trump mostra di capire di più di polemologia. Lodare il nemico diminuisce la conflittualità, fa calare l’animus».

Il minor timore del peggioramento della guerra è suffragato anche dal contrasto all’invio delle armi all’Ucraina?

«Sono cose diverse. Gli italiani sono pacifisti, lo erano anche nel 1914 e nel 1940. E lo sono anche adesso, abbiamo il Papa tra noi. E il Papa influenza».

Anche se non è molto seguito?

«Io non sono un’anima religiosa, un cattolico praticante, sebbene sia battezzato e mi sia sposato in chiesa. Eppure, ieri mattina sono andato in chiesa a pregare Dio che ci aiuti in questo momento particolare».

Che cosa pensano gli italiani delle alleanze internazionali?

«La maggioranza non se ne interessa, viviamo nel nostro Paese. Se chiede alle persone per strada la storia della Russia molte si domandano dov’è. Quanti hanno letto Guerra e pace? Forse duecentomila persone, compresi gli studenti che lo leggono per forza».

Gli italiani sono pacifisti, ma i media non rispecchiano questa tendenza. Com’è la fiducia nel sistema dell’informazione?

«È sempre la stessa. La gente segue distrattamente l’informazione politica».

Il distacco tra popolazione ed élite è in aumento o in calo?

«È lo stesso che c’era già nel 1914 e nel 1939. In un saggio intitolato L’opinione degli italiani al tempo del fascismo la storica Simona Colarizi ha rivelato che Mussolini aveva creato un ufficio statistico servendosi di 84 responsabili, uno per provincia, che dovevano informare quotidianamente Palazzo Venezia sul sentimento dell’opinione pubblica. Da questa ricerca risulta che nel 1938-’39 gli italiani erano contrari alla guerra. Divennero favorevoli solo per un breve periodo quando sembrava fosse facile vincerla, in concomitanza della presa di Parigi da parte dei nazisti. Poi tornarono pacifisti».

Perché la serie tv con Volodymyr Zelensky nella parte di un professore che diventa presidente trasmessa da La7 in Italia è stata un flop e altrove un successo?

«Perché sono più saggi i telespettatori italiani di quelli degli altri Paesi. Non può essere capo di Stato uno che è stato un personaggio televisivo. Il diritto internazionale dice che un capo dello Stato è responsabile delle morti nel suo territorio. Ovviamente, lo stesso vale anche per Putin. Sa qual è la verità?».

Me la dica lei.

«Sia Putin che Zelensky sono due criminali di guerra perché hanno violato il diritto internazionale e fatto uccidere i loro sudditi. Ne dovranno rispondere, come accadde a Norimberga per i gerarchi nazisti. Hitler si sottrasse al processo suicidandosi. Il diritto vale anche in guerra: né Putin né Zelensky l’hanno dichiarata».

Putin non l’ha fatto perché l’invasione dell’Ucraina è la prosecuzione della guerra civile nel Donbass?

«Ed è un altro dei motivi per cui non sono ottimista».

L’Occidente ha la tendenza a colpevolizzarsi: in questa vicenda è innocente?

«George Bush senior ha violato i patti. Dopo la caduta del Muro aveva promesso a Michail Gorbaciov che non gli avrebbe creato grane in quella zona. Invece, sono entrati un minuto dopo».

Dissolta l’Urss e sciolto il Patto di Varsavia bisognava sciogliere anche la Nato?

«Oppure invitare la Russia e i Paesi dell’ex Urss a entrare nella Nato? Con un presidente come Trump una guerra come questa non sarebbe deflagrata».

Invece si vuole ancora esportare la democrazia.

«Questo è il modo in cui la vendiamo. Che cosa se ne faccia la Cina confuciana della democrazia mi riesce difficile capire. Credo si dovrebbero imparare ad accettare le rispettive diversità».

Dopo i missili su Kiev durante la visita del segretario dell’Onu Antonio Guterres gli spazi per la trattativa si sono ulteriormente ridotti.

«Si parla di de-escalation, ma accade il contrario. Putin e Biden agiscono per alimentare la guerra non per fermarla».

Ormai è uno scontro tra super potenze sulla pelle degli Ucraini.

«Al quale collabora Zelensky, sacrificando il suo popolo. Ai vicini di casa di un leader paranoide è consigliata prudenza. Henri Guisan era il comandante dell’esercito svizzero durante la Seconda guerra mondiale. La Svizzera: tra Germania, Italia e Francia. Gli hanno eretto un monumento equestre in bronzo con questa dedica: il generale che non ha mai combattuto. Una statua così non l’avranno né Zelensky né Putin».

 

La Verità, 30 aprile 2022

«Perché i generali sono più realisti dei giornalisti»

Generale Fabio Mini sul nuovo numero di Limes lei ha scritto che l’espansione dell’Alleanza atlantica è la causa principale della guerra russo-ucraina. Che cosa glielo fa dire?

«Il fatto che dal 1997 con la Polonia, la Cecoslovacchia e l’Ungheria, passando per l’Estonia, la Lettonia e la Lituania nel 2004, fino al 2018 con la Macedonia, la Nato ha invitato nell’alleanza una serie di Paesi dell’Est europeo. È stata una strategia precisa che aveva un unico scopo».

Quale?

«Circondare la Russia per neutralizzarne l’influenza nel Centro Europa. Non era un obiettivo segreto, ma dichiarato».

Molti analisti sottolineano che in quel periodo ci sono state offerte di collaborazione della Nato alla Russia tanto che, per esempio, il G7 è diventato G8.

«Non so chi lo dica, ma è antistorico. Il dialogo è limitato al periodo iniziale dell’allargamento, dal 1991 al 1996. C’era reciproca volontà di collaborare, pur in presenza di una certa diffidenza che emergeva, per esempio, nelle riunioni in cui si parlava dell’Armenia o della Georgia. Dopo il 1997 la disponibilità al dialogo della Nato è stata solo un’etichetta diplomatica. Mentre a livello operativo e militare si agiva per favorire l’inserimento dei Paesi baltici nello scacchiere, apparentemente difensivo, che la Russia percepiva come offensivo».

Se si digita su Google Fabio Mini, compare la qualifica «scrittore». In effetti, Mini ha pubblicato diversi saggi per importanti editori in materia bellica e di strategia militare, discipline nelle quali è molto autorevole essendo stato generale di Corpo d’Armata dell’Esercito Italiano, Capo di Stato maggiore del comando Nato del Sud Europa e comandante della missione internazionale in Kosovo. Scrive per la rivista Limes e collabora con Il Fatto quotidiano.

Generale, come spiega che questa crisi prevista dall’intelligence americana e britannica non è stata scongiurata?

«Per fermarla bisognava assumere le posizioni esplicite che la politica stava dettando. Questa situazione era annunciata da quando è iniziata la crisi per la Georgia. Nel 2001 andai a Tbilisi per seguire le esercitazioni della Nato. Alloggiavo in un hotel in centro, al terzo piano; dal quarto al nono erano tutti occupati dai servizi segreti americani. Sette anni dopo è arrivata la crisi della Georgia».

Non ci si è fermati prima a causa della pandemia o di altri interessi?

«L’America voleva che si evitasse d’ingoiare il rospo passivamente, come avvenuto per la Georgia. La Russia non pensava che la Nato rimanesse unita e, a sua volta, la Nato non credeva che la Russia fosse davvero decisa a invadere. Fin dal primo giorno dell’amministrazione Biden la situazione si è aggravata. L’irrigidimento di una parte ha portato all’irrigidimento dell’altra».

A cosa mira l’aggressione di Putin all’Ucraina?

«Non a occupare tutta l’Ucraina».

Perché?

«Non è nelle condizioni di farlo. Lo scopo che ha scatenato l’invasione è tenere la Nato lontano dai propri confini. Perciò se occupa l’Ucraina la Nato ce l’ha in casa».

Vuole insediare un governo che gli obbedisca?

«L’occupazione militare è una cosa, insediare un governo fantoccio o a lui favorevole è un’altra. Forse ci ha già provato. Il vero obiettivo credo sia mettere in sicurezza un territorio che circonda l’Ucraina dal Donbass e Kharkiv, passando per la parte meridionale per arrivare possibilmente fino alla Moldavia, dove c’è una forte comunità russofona».

Il bombardamento dell’ospedale dei bambini di Mariupol segna una svolta nella strategia di Putin?

«No. Segna una svolta nella campagna d’informazione. Siamo di fronte a due propagande, una di fronte all’altra. Tre feriti dopo un bombardamento così come raccontato non l’ho mai visto».

Si parla di strage di bambini.

«Ho letto di tre feriti, altri dicono sei. Vedo un’intensificazione della guerra di propaganda e annunci. Se dietro ci sono la strage e un obiettivo intenzionale non lo so. Le immagini che ho visto mostrano un’esplosione in uno spiazzo, un grande cratere, molti vetri rotti e una barella davanti a una telecamera. Commento quello che vedo e da ciò che vedo, fortunatamente, questa strage non si è verificata».

Fino a qualche giorno fa si diceva che la colonna ferma di carri armati indicava l’attesa di nuovi eventi e lo spazio per un negoziato, ma al colloquio in Turchia il ministro degli Esteri russo Lavrov ha rigettato l’offerta di neutralità dell’Ucraina.

«Il colloquio in Turchia non erano negoziati. Lavrov era lì per parlare, non per negoziare. La novità di quel colloquio è che Lavrov ha legittimato i negoziati in Bielorussia, avallando una diplomazia militare che fino a quel momento non era scontata».

Perché su Limes sottolinea il ruolo del mondo liberal americano in questa crisi?

«Ci sono due politiche estere negli Stati Uniti che fanno capo a democratici e repubblicani. L’idealismo liberal, come lo chiama l’editorialista del Foreign Policy Stephen Walts, e il realismo repubblicano».

Perché l’idealismo liberal è così protagonista?

«È storia. Le guerre le hanno iniziate i presidenti democratici in nome di quel falso idealismo. Non c’è una guerra iniziata con un presidente realista».

Bush padre ha iniziato la guerra del Golfo.

«George Bush e il partito repubblicano furono influenzati dai neocon, speculari ai neodem. Fu un movimento molto ideologizzato sul piano culturale e religioso. La prima guerra del Golfo nacque in quel contesto».

La stima per Putin ribadita anche di recente da Donald Trump è una posizione indifendibile?

«Certo. Anche le azioni di Putin sono indifendibili. Tra mille opzioni ha scelto la peggiore. Ha visto la debolezza nell’amministrazione americana, nella Nato e nell’Unione europea e ha pensato di approfittarne. Parliamo di una guerra non iniziata il 24 febbraio. Agendo in modo provocatorio la Nato ha violato le norme stesse del Patto atlantico».

Qual è la violazione principale?

«Ha messo in pericolo la sicurezza dei Paesi aderenti. Spostare armi e dislocare truppe ai confini di un altro Paese è una provocazione che in altri tempi avrebbe portato alla guerra il giorno dopo. È proprio uno di quei casi che il Trattato atlantico e la Carta delle Nazioni unite volevano evitare».

Lo diceva anche Biden al Consiglio Atlantico del 1997: «Annettere alla Nato gli Stati baltici potrebbe provocare una risposta vigorosa e ostile da parte della Russia».

«Il Biden del 1997 non è il Biden di oggi».

Ora alimenta il conflitto per ragioni interne?

«Sì».

Cioè?

«Per gran parte della popolazione americana, Biden non sta mantenendo le promesse fatte in campagna elettorale. Il contrasto alla disoccupazione, la lotta al Covid, la sanità, le norme sui rifugiati. Alle elezioni di metà mandato un successo internazionale può rianimarlo. Altrimenti la sua presidenza finirebbe dopo due anni. Senza la maggioranza al congresso non potrebbe più governare. In gergo sarebbe una lame duck, un’anatra zoppa».

Come si sta comportando l’Unione europea?

«In maniera abbastanza sibillina, perché non ha la forza per imporre la propria volontà. Tuttavia, esistono una serie di ragioni pratiche e razionali che sconsiglierebbero di seguire la posizione degli Stati Uniti, di Zelensky e della Gran Bretagna».

Le risorse energetiche?

«Esatto. Un problema che ha portato a sanzioni meno drastiche di quelle che Gran Bretagna e Stati Uniti avrebbero voluto. Con intelligenza Biden ha detto che introdurre la no-fly zone in Ucraina vuol dire scatenare una guerra diretta tra Russia e America. Lo stesso discorso può valere per l’inasprimento delle sanzioni».

Perché l’Italia è fuori dai tavoli che contano?

«L’Italia non è influente perché si sa da che parte sta. Non conta chi sta zitto, ma chi alza il dito. Noi non l’abbiamo mai alzato e così ci danno per scontati».

Come giudica la decisione d’inviare armi al popolo ucraino?

«Inviare armi al popolo ucraino che si difende va benissimo. È doveroso. Invece, non manderei armi senza sapere bene a chi vanno e dove andranno a guerra finita. Se si contribuisce a un’ulteriore provocazione non è solidarietà all’Ucraina, ma una manifestazione di ostilità verso la Russia che può inasprire la situazione».

Non si mandano derrate alimentari o medicine, le armi sparano ma noi non combattiamo.

«Sono d’accordo, è pura ipocrisia».

Che cosa le fa dire che un conflitto tra la Nato e la Russia è ancora evitabile?

«Non è in atto l’occupazione militare di tutta l’Ucraina. Possono verificarsi degli eventi: se il negoziato non salta si può rimediare. Se le forze davvero in campo – il governo russo, quello ucraino e quello americano – si siedono allo stesso tavolo c’è ancora margine. Niente Nato, però».

Perché lei e il generale Mario Bertolini siete più disposti alla trattativa?

«Perché siamo testimoni di quello che succede nei Paesi dopo che l’intervento delle Nazioni unite è terminato. Negli ultimi 30 anni alla vittoria sul campo della Nato non è seguito un successo politico e umanitario. I Paesi usciti da quegli interventi – Iraq, Libano, Somalia, Afghanistan, Kosovo, Libia – erano più martoriati di prima».

Perché mentre voi militari siete trattativisti molti giornalisti sono convinti della necessità della prova di forza?

«Perché i giornalisti partono dall’invasione e non vanno a vedere cosa c’era prima. Se si punta lo sguardo adesso c’è un aggressore e un aggredito. Invece l’aggressione segue azioni di provocazione. Chiediamoci chi ha addestrato e inserito nelle file delle forze armate regolari formazioni di ex banditi».

Che ruolo può avere il Vaticano in questo scenario?

«Un grande ruolo perché la comunità russa è molto sensibile al sentimento religioso».

Anche se l’uscita del patriarca di Mosca Kirill si è rivelata controproducente?

«La Chiesa ortodossa non è una Chiesa unita. Zelensky ha lavorato per separare la comunità ortodossa ucraina da quella di Mosca. Quello che ha detto Kirill esprime come vedono il decadimento morale dell’Occidente».

Tornando al Vaticano, che margini d’intervento ci sono?

«Il Vaticano mantiene contatti con Mosca. Il Papa ha manifestato comprensione verso Putin e Putin si sforza di capire ciò che la comunità cattolica nella persona del Papa cerca di dirgli. Credo che la Russia prenderebbe in seria considerazione le dichiarazioni di condanna del Vaticano».

 

La Verità, 12 marzo 2022