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L’autismo dei migliori avvelena ogni dialogo

Siamo diventati un Paese autistico. Cioè, lo siamo da tempo, ma è come se la pandemia da Covid-19 avesse radicalizzato e accelerato una tendenza in atto. Forse era inevitabile. Era inevitabile che l’avvento di un fatto inedito come un’epidemia planetaria portasse a esasperare le differenze, a divaricare le weltanschauung, le diverse visioni del mondo. Da una parte c’è infatti l’ideologia con i suoi derivati, il primo dei quali è il complesso di superiorità strisciante nell’area progressista. Dall’altra c’è il pragmatismo, magari un po’ qualunquista del buon senso. Le conseguenze delle due concezioni sono uno spettacolo quotidiano sotto gli occhi di tutti. Parlando della pandemia, nel primo caso si pontifica a reti e giornali pressoché unificati, sicuri di essere dalla parte giusta della storia. Nel secondo si rischia di amplificare posizioni poco credibili e spesso molto rudimentali. Tuttavia, considerando il fatto che, come si è soliti dire, la scienza procede per approssimazioni e giunge a regole definitive solo dopo infinite prove sul campo, forse sarebbe il caso di non distribuire certezze e imporre comportamenti come fossero dogmi assoluti e incontrovertibili. Lo dico da vaccinato fino alla terza dose.

Questa lunga premessa serve solo per sottolineare che le guerre di religione hanno fatto il loro tempo. Purtroppo, però, spesso accade che l’autismo dei buoni avveleni i pozzi del dibattito, riducendo drasticamente gli spazi del dialogo fin quasi a renderlo impossibile. L’abbiamo visto in modo esemplare l’altra sera quando, mentre stava tentando d’illustrare dei dati, l’ex presidente di Pubblicità Progresso e consigliere Rai, Alberto Contri, è stato costretto ad abbandonare #cartabianca per non sottostare alla gragnuola d’insulti scagliati dal giornalista saltafila Andrea Scanzi. Il tutto con l’approvazione degli altri ospiti (tranne uno) e nonostante il tentativo di Bianca Berlinguer di sedare gli animi. È un copione che si rifrange all’infinito, come l’immagine tra due specchi, nelle strisce d’informazione quotidiana di La7, di cui Otto e mezzo è l’esempio più plastico. La conduttrice, infatti, con i suoi cortigiani abituali, è la campionessa assoluta di questo autismo dei migliori. Quello che mal tollera le voci dissenzienti, le depotenzia nella loro capacità espressiva. Il catalogo è ricco. Nonostante la giornalista-scrittrice si spertichi negli inviti pubblici ad abbassare il grado di testosterone in politica per dare finalmente spazio all’empatia femminile, appena si appropinquano alla sua cattedra Giorgia Meloni o Maria Elena Boschi subiscono un trattamento da posto di polizia venezuelano. Al di là dell’appartenenza di genere, la discriminazione riguarda diffusamente le posizioni di tipo conservatore e si applica ai temi etici, alla giustizia, alla gestione dei flussi migratori oltre che, ovviamente, al Covid. Il problema è che la conduttrice di Otto e mezzo prolifera dentro e fuori la rete di appartenenza dove, non a caso, la tentazione di promuovere «un’informazione meno democratica» è di casa.

Secondo Ernesto Galli della Loggia il peccato è già ampiamente commesso: «Nell’arena pubblica specie radiotelevisiva», ha scritto restando voce solitaria sul Corriere della Sera, «capita quasi sempre, infatti, che il punto di vista culturalmente conservatore sia implicitamente spogliato di qualunque contenuto e dignità ideali, e quindi preliminarmente stigmatizzato come indegno di vera considerazione». Nel dibattito televisivo «la modernità diviene un feticcio da adorare» e a illustrarne le meraviglie, ha proseguito lo storico, viene regolarmente «chiamato il noto scrittore X o il brillante filosofo Y, a obiettare ad esse, invece, un qualche maldestro parlamentare della Lega o di Fdi, al massimo il giornalista di qualche foglio di destra». Regolarmente maltrattato.

Il trampolino di lancio è sempre quello, l’autismo dei buoni. Cioè l’incapacità di mettersi in discussione e di ascoltare visioni diverse. Come definire per esempio il comportamento del Fatto quotidiano in materia di giustizia? La sequela di smentite alle sue tesi giunte dalle sentenze sulla mega tangente Eni o sulla trattativa Stato-mafia sono per caso servite a ridurre il digrignar di denti che attraversa le pagine del quotidiano diretto da Marco Travaglio? Ancor più testardi dei fatti, si prosegue monoliticamente nella medesima direzione.

Dubbi non sono ammessi. Dopo esser stato contestato da larga parte dei movimenti femministi e fermato in Parlamento, ora il disegno di legge Zan contro l’omotransfobia viene riesumato dalla rete Re.a.dy (Rete nazionale delle pubbliche amministrazioni anti discriminazioni) che unisce regioni ed enti locali a guida progressista attraverso «azioni informative e formative» rivolte «a tutta la popolazione» per promuovere iniziative di sostegno dell’agenda Lgbt. In pratica, Re.a.dy opera per affermare un ddl Zan strisciante e mascherato in appoggio alle giornate del Gay Pride, nell’ambito del quale l’associazione stessa è nata. Siccome si è dalla parte del giusto, si procede imperterriti. Lo stesso si può dire per le campagne per la legalizzazione della cannabis e il suicidio assistito promosse in pieno stato d’emergenza. Il quale, evidentemente, ha importanza intermittente. Come ha ben reso il tweet di Gavino Sanna (presidente dell’Associazione consumatori del Piemonte): «Maestà, il popolo ha fame. Dategli bagni inclusivi e linguaggio gender neutral». Ma forse l’esempio più involontariamente comico di autismo dei buoni è la recente intervista concessa da Carmen Consoli al Corriere della Sera. Dopo aver spiegato di aver scelto il padre di suo figlio in un catalogo per la fecondazione assistita praticata in una clinica specializzata a Londra, rispondendo a Walter Veltroni che le chiedeva quale fosse oggi «la virtù che sta sparendo più pericolosamente», la cantante siciliana ha detto: «Empatia. Una notevole diminuzione di empatia, una grande rimonta del narcisismo. Crea sterilità. È tutto usa e getta. Le persone si trattano come se fossero un telefonino». Testuale. L’autismo è inscalfibile e impedisce di pensare a sé stessi in modo critico. Nel caso non ha aiutato a farlo nemmeno l’intervistatore, autore a sua volta anche del pamphlet Odiare l’odio, il cui titolo postula da solo che c’è un odio buono e uno cattivo. E, ovviamente, quello buono è il suo.

Recita il vocabolario Treccani alla voce autismo: «In psichiatria, la perdita del contatto con la realtà e la costruzione di una vita interiore propria, che alla realtà viene anteposta, come condizione propria della schizofrenia e di alcune manifestazioni psiconevrotiche».

Post scriptum Per fortuna esistono piccole, ma significative eccezioni. Esempi di rottura dell’impermeabilità nei confronti del reale e di chi la pensa in modo diverso. Li enumero sinteticamente. La convention di Atreju, dove sono sfilati i leader di tutti i partiti. La decisione di Repubblica di arruolare Luca Ricolfi tra i suoi editorialisti. La revisione dei toni critici di Antonio Socci su papa Francesco. Non è detto che dietro questi esempi ci siano intenzioni romantiche. Di sicuro non ci sono complessi di superiorità.

 

La Verità, 16 dicembre 2021

 

A Otto e mezzo i punti di domanda sono per gioco

C’era il punto interrogativo nel titolo – Conte, il miglior comandante possibile? – ma poi appena qualcuno ha fatto balenare dei dubbi, apriti cielo. Gli ospiti erano Marco Travaglio, direttore del Fatto quotidiano, il più filogovernativo del villaggio, Patrizia Laurenti, direttore dell’unità operativa complessa dell’ospedale Gemelli di Roma, Gianrico Carofiglio, scrittore, e Alessandro De Angelis, vicedirettore dell’Huffington post. Il programma era Otto e mezzo, condotto da Lilli Gruber, e la puntata seguiva di poco l’ultima conferenza stampa nella quale il premier Giuseppe Conte ha in parte smentito che le norme restrittive dureranno fino al 31 luglio (La7, martedì, ore 20,40, share del 8,05%, 2,5 milioni di telespettatori). In realtà, la conferenza stampa era una novità da quando è esplosa l’epidemia, di sicuro la prima dopo le critiche per le comunicazioni istituzionali notturne tramite Facebook. Un cambio di rotta? Macché, ha assicurato il direttore del Fatto quotidiano. Le decisioni sono complesse perché bisogna mettere tutti d’accordo, sindacati, ministri e persino quei trogloditi dei governatori del nord. E poi non è stata concessa alcuna esclusiva a piattaforme private, tutti potevano collegarsi al sito del governo. Quindi, va tutto a gonfie vele, madama la marchesa. Il vicedirettore dell’Huffington post si permetteva di eccepire, osservando che si possono rappresentare critiche senza dover passare per sciacalli. Proprio a Otto e mezzo del 27 gennaio il premier aveva annunciato che il governo era «prontissimo» ad affrontare l’emergenza, salvo prendere i primi provvedimenti 25 giorni dopo e annunciare confusamente il lockdown solo l’8 marzo. Per consolidare il ragionamento, De Angelis ha proposto un parallelo con le accuse di sciacallaggio rivolte ad Anno zero con Michele Santoro e lo stesso Travaglio, per una puntata critica con il governo Berlusconi sul terremoto dell’Aquila. Smaniante, la conduttrice ha tagliato corto – «non voglio parlare di Berlusconi» – chiamando in causa Carofiglio. Il quale, già segnato dai recenti infortuni comunicativi, si è tenuto su una linea morbida, abbozzando appena – senza entrare nel merito, «ma se volete ci entro…» – un’esigenza di puntualità della comunicazione del premier, per evitare che una certa fiducia possa esserne inficiata. Ma anche questo accenno è bastato a esporlo agli sguardi di riprovazione della conduttrice e al sarcasmo di Travaglio, intollerante alla lesa maestà di Giuseppi. Domanda: il punto interrogativo del titolo della puntata era reale o messo lì per gioco?

 

La Verità, 26 marzo 2020

Lilli e il nuovo mondo. Da demolire a tutti i costi

«Vi ricordo che domani sarà in edicola il nuovo Sette con un’intervista a Maria Elena Boschi, quindi non perdetevelo». Ha chiuso così, Lilli Gruber, la puntata dell’altra sera di Otto e mezzo su La7. Oltre all’intervista all’ex ministro per le Riforme costituzionali, il magazine del Corriere della Sera diretto da Beppe Severgnini, abitualmente in studio, contiene l’abituale rubrica nella quale la stessa Gruber, sempre abitualmente, randella i populisti («Tutti i populisti mentono. Sono pericolosi e opportunisti», «La collettivizzazione del dolore conduce al peggior populismo», per citare le ultime puntate).

La nuova stagione di Otto e mezzo si è inaugurata appunto nel segno dell’abitudine e della continuità. Solito studio, solito Punto di Paolo Pagliaro, solita corte degli oracoli. Del resto, squadra che vince non si cambia. Tuttavia, c’è un però: la concorrenza di Barbara Palombelli su Rete 4 che, sebbene non la spunti in termini di share, rappresenta un’alternativa che le contende ospiti e temi. Così, intanto, nel calcolo degli ascolti Otto e mezzo ha deciso di scorporare l’anteprima dal programma. La novità principale però è il tenore della conduzione. Fin dalla puntata d’esordio, con l’intervista esclusiva a Alessandro Di Battista, la Gruber ha scelto una linea spiccatamente antigovernativa. I tasti suonati sono la subalternità del M5s alla Lega, le differenti posizioni in varie materie, l’impossibilità di realizzare le riforme economiche promesse, lo sforamento della legge di stabilità che produrrà un’apocalisse, e poi quanto mai potrà durare un governo così, l’avvento del razzismo in Italia, la crescita dei piccoli Mussolini, l’alleanza della Lega con l’estrema destra europea… Qualche giorno fa Marco Travaglio le ha risposto che di subalternità non si può parlare perché, anche se Salvini va sui giornali, alla fine i provvedimenti concreti portano la firma dei ministri grillini: il decreto dignità, la vertenza Ilva, la legge anticorruzione… In una puntata successiva anche Paolo Mieli ha detto che questo è un governo del M5s perché Giuseppe Conte è stato voluto da Luigi Di Maio, che peraltro si è tenuto le deleghe di spesa più importanti. Niente da fare, anche se gli oracoli la smentiscono, lei procede inscalfibile. E al sottosegretario alla Presidenza del consiglio Giancarlo Giorgetti ha chiesto a raffica: «Lei si sente di destra? Le piace stare insieme a Casa Pound? Le piacciono gli ungheresi di Orbàn? In Italia c’è un allarme razzismo?».

Il ruolo di paladina della narrazione antigovernativa bisogna sudarselo…

La Verità, 21 settembre 2018

Perché Palombelli vince il primo round con Gruber

Durerà tutta la stagione il duello tra le regine del talk show. E ci sarà dunque modo di aggiornarsi strada facendo. Per ora va registrato il successo alla prima uscita di Barbara Palombelli su Lilli Gruber: 5.2% di share (1,2 milioni di telespettatori) per Stasera Italia e 4.9% (1,1 milioni) per Otto e mezzo. Sui numeri dell’audience alchimie e programmazione dei canali concorrenti influiscono in modo diverso. Per esempio: il match della Nazionale con il Portogallo avrà portato via più telespettatori al programma di La7 o a quello di Rete 4 che ha un pubblico in prevalenza femminile? E l’assenza di break pubblicitari (se si eccettua quello di 30 secondi alle 21) quanto avrà favorito il talk della rete Mediaset? Ecco perché non vale la pena enfatizzare il risultato del primo duello. Le due sacerdotesse dell’access prime time continueranno a fronteggiarsi, diverse e speculari per stile giornalistico, antropologia ed estetica. Lilli: altoatesina e spigolosa, in uno studio asettico; Barbara: romana, senza più il microfono gelato, in un contesto un po’ incipriato. Lilli più seguita al nord, da un pubblico maturo e acculturato, di solito in maggioranza maschile (quello identificato con la doppia A dalle società di rilevamento); Barbara apprezzata in modo uniforme, ma con picchi nel centro Italia, da un pubblico più femminile e con livello d’istruzione basico.

Per ciò che si è visto nel primo round la differenza evidente è stata di vivacità e dinamismo. Rispetto alla lunga intervista con Alessandro Di Battista di Gruber, il talk di Palombelli è parso più dentro le notizie della giornata, affrontate con linguaggio semplice e diretto, non solo per la presenza di Pierluigi Bersani, Alessandro Sallusti e Ferruccio De Bortoli. La conduttrice di Otto e mezzo ha interrogato l’esponente grillino in Guatemala con l’idea di fargli prendere le distanze dal governo o almeno da Luigi Di Maio, alleato di Salvini che causa i controlli dell’Onu per razzismo e rispetto al quale il M5s è subalterno. Un’intervista molto politica, che persegue la strategia della divisione tra i partner di governo.

Più vivace il salotto di Rete 4, partito sull’ispezione dell’Onu e proseguito con il dibattito sulla chiusura domenicale dei negozi, temi introdotti da servizi ad hoc, come quello sul traffico di migranti a due passi dalla Stazione Termini di Roma. Nella seconda parte, con Vittorio Sgarbi e Roberto D’Agostino si sono affrontati temi più leggeri, cominciando dallo storico schiaffo in diretta del 1991, per finire con le pagelle ai politici. Stasera Italia è parso un talk show di approfondimento completo.

De Benedetti, Lilli Gruber e il Marchese del Grillo

Per quale motivo l’ingegner Carlo De Benedetti è andato ospite di Lilli Gruber a Otto e mezzo su La7, finendo per sparare contro Eugenio Scalfari e sconfessare la direzione di Repubblica, il giornale che è il suo «grande amore», ma con il quale i rapporti sono «assenti»? Doveva giustificare un altro tipo di rapporti, quelli privilegiati con Matteo Renzi, che gli hanno permesso una speculazione in borsa, fonte di un rapido profitto di 600.000 euro. Per farlo, ha elencato le frequentazioni con tutti i presidenti del consiglio italiani e i governatori della Banca d’Italia dell’ultimo quarantennio, le cene e gli inviti di presidenti americani e francesi, cancellieri tedeschi, premier britannici. Tutte cose normali, per l’Ingegnere che, oltre a quelle della conduttrice, non ha dovuto rispondere a domande di altri scomodi giornalisti. Insomma, perché ci è andato? Per imitare Alberto Sordi in Il Marchese del Grillo: «Io so’ io e voi…». Quando l’arroganza nasconde debolezza. E dilata le crepe nell’impero.