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Cinque motivi (e mezzo) per salvare il clown Joker

È vero, è cominciata da un paio di giorni la Festa del cinema di Roma e, stando alle prime recensioni, abbiamo già in Berlinguer – La grande ambizione il capolavoro di stagione. Ma mentre si aspetta di andare a vedere, il 31 ottobre, l’unanimemente esaltata opera di Andrea Segre, con Elio Germano nelle vesti e nelle posture dello storico segretario del Partito comunista italiano, voglio spezzare una lancia in favore di Joker: Folie à deux che, alla Mostra del cinema di Venezia, il regista Todd Phillips ha presentato come un sequel «tutt’altro che classico, quasi una storia a sé stante». Tuttavia, siccome la critica ufficiale ha già deciso che si tratta del «più grande flop dell’anno» e di «una vera catastrofe commerciale», questa è un’operazione donchisciottesca fuori tempo massimo.

Ecco i cinque (e mezzo) buoni motivi per salvare il clown Joker.

L’interpretazione Loro due: Joaquin Phoenix e Lady Gaga, fior di attori al meglio della forma. Sciorinano entrambi un’interpretazione superlativa, perfettamente immedesimati nei ruoli. La mimica, la camminata e l’introspettiva convulsa di Arthur Fleck. Gli sguardi, l’intrigo e la passione ribelle di Harley Quinn. È un sogno, una vertigine, un’epopea di amore salvifico: «Insieme costruiremo una montagna». Straordinari i duetti, i dialoghi ravvicinati, i primissimi piani. Nella cella del carcere, quando immaginano un futuro libero dalle costrizioni e la follia sembra a portata di mano. Magnetica la sua parte, lei regge il confronto con il volto congestionato di lui. Lui non sfigura quando canta. Sono pur sempre il più grande attore e la più grande popstar in circolazione.
Il musical Scelta insolita. La storia tra il clown fragile e la sua fan, innamorata e devota, vola sulle note degli standard americani del Novecento, da Frank Sinatra a Burt Bacharach, da Gene Kelly a Nat King Cole. È il linguaggio scelto dal regista per trasmettere il lievitare della passione, per comunicare l’amore salvifico. «Io e Joaquin cantiamo perché è il modo di esprimere meglio quello che a parole non riusciamo a dirci», ha confidato Lady Gaga. I testi (rivisitati) di Gonna build a mountain, That’s entertainment, Get happy, That’s life infilati nei dialoghi sarebbero risultati melensi anziché commoventi premesse della follia. Una follia musicale, per nulla fuori contesto.

I generi Brani d’animazione, dramma carcerario, dramma giudiziario, commedia sentimentale. Il «sequel non classico» di Joker frequenta diversi registri cinematografici. Ma la storia scorre facile perché sono generi pop, che appartengono al grande pubblico. Ci si orienta facilmente nei corridoi cupi dell’Arkham State Hospital, il manicomio criminale dov’è rinchiuso Fleck/Joker in attesa di giudizio. Così come nell’aula di tribunale dove depongono i testimoni davanti al procuratore. Si comprende che i brani d’animazione, a cominciare dal prologo, suggeriscono le chiavi interpretative della storia.

La regia Avendo diretto l’adattamento cinematografico di Starsky & Hutch e la trilogia di Una notte da leoni, Phillips si muove con disinvoltura in queste situazioni. Forse non soddisferà pienamente la ricerca estetica e autoriale della critica colta, ma la storia cresce senza che mai si possa prevedere l’epilogo, mantenendo viva l’attenzione del pubblico. Più efficaci le riprese all’interno del carcere.

L’identità Dopo l’inaspettato successo del 2019, a restare delusa è soprattutto quella parte di pubblico e critica che si aspettava di vedere Joker ancora nei panni del leader antisistema. Cinque anni fa il clown dalla risata convulsa aveva interpretato la rivolta dei deboli in un momento di disorientamento generale. Poi sono arrivate la pandemia, le guerre e le ribellioni populiste e violente che hanno messo in ginocchio lo Stato sociale a tutte le latitudini. Inevitabile che il nuovo lavoro battesse altre strade. Il prologo animato annuncia che non abbiamo bisogno di altre prove e sofferenze. Ma abbiamo bisogno di amore, tutti singolarmente ne abbiamo bisogno. «Scaveremo ancora più in profondità la psiche di Joker», aveva annunciato il regista. Così ci si addentra nella sua doppia natura: il disadattato violento e la maschera da clown. Chi siamo, veramente? Siamo la stessa persona in privato e in società? O indossiamo una maschera per coprire le nostre fragilità? Joker ritrova motivazione quando incontra Harley: «Sono cambiato perché c’è qualcuno che ha bisogno di me». È qualcosa di più di un semplice sentimento. È lo svelamento di sé attraverso l’incontro con un altro. Il «tu» fa consistere l’«io». «Non c’è nessun Joker», dice Arthur Fleck nell’arringa finale, ci sono solo io. E strappa il sipario. Ma è una prospettiva che delude i seguaci. Più facile attardarsi sul progetto politico. Sull’ideologia. I fan vogliono la rivolta contro le istituzioni. E anche Harley… Resta da ascoltare la canzone finale.
Il flop annunciato Anche la critica engagé rifiuta il Joker esistenziale. Il film dev’essere un flop. Anzi, «il più grande flop dell’anno», forse della storia, secondo Variety, ripreso acriticamente dalla stampa internazionale. Anche i nostri giornali si accaniscono nell’accreditare la catastrofe di Warner Bros. Il film è costato 200 milioni di dollari, più 100 di promozione. Uscito il 2 ottobre, finora ha incassato 50 milioni in America e 165 nel mondo. Si stima che arriverà a 65 negli Usa e a 215 all’estero. Poi sarà venduto alle piattaforme. Di flop planetari se ne sono visti di peggiori.

Salviamo il clown Joker, in attesa di farci dire da Segre chi era Berlinguer.

 

La Verità, 18 ottobre 2024

Non più antisistema, Joker riscopre l’amore

Musical, dramma carcerario, dramma giudiziario, con anche qualche inserto d’animazione. Per il sequel di Joker, kolossal del 2019 che sbancò a livello mondiale, oltre un miliardo di dollari d’incasso, il regista Todd Phillips sceglie di non lesinare su generi e linguaggi. E, soprattutto, sceglie di costruire un racconto centrato sul binomio ad alta intensità interpretativa composto da Joaquin Phoenix e Lady Gaga, quest’ultima fortissimamente voluta per fare da alter ego all’eroe del primo racconto. Joker: Folie à deux è, infatti, il titolo del seguito visto ieri in anteprima qui al Lido (sarà nei cinema italiani dal 2 ottobre). Trascorsi cinque anni dal successo in odore di populismo pre Covid e pre Capitol Hill, ad attendere il nuovo lavoro c’è lo scetticismo che abitualmente circonda i sequel, tanto più dopo il Leone d’oro conquistato qui a Venezia (oltre ai due premi Oscar all’attore protagonista e alla colonna sonora e una serie di altri riconoscimenti). Puntuali, ieri in sala stampa, alcune sopracciglia inarcate. «Abbiamo atteso a lungo per riprendere in mano la storia perché volevamo creare qualcosa di totalmente inaspettato anche se si trattava di un sequel», ha argomentato Phillips. «Io e Joaquin cantiamo perché è il modo di esprimere meglio quello che a parole non riusciamo a dirci», ha confidato Lady Gaga, in grado di reggere perfettamente il confronto con un attore carismatico come Phoenix. Che rivela: «Ci siamo divertiti ad adattare anche i classici di Frank Sinatra sui nostri personaggi per dirci quello che provavamo». Nemmeno lui, però, all’inizio era convinto della realizzazione di un nuovo capitolo, «ma ben presto ci siamo accorti che non stavamo facendo un sequel, bensì un film con una storia autonoma». Una storia più profonda, forse, che sfiora temi religiosi e l’attesa dell’iniziativa dell’angelo Gabriele.
Dopo Diva futura, il lungometraggio di Giulia Louise Steigerwalt sull’agenzia che lanciò Ilona Staller, Moana Pozzi ed Eva Henger, con Pietro Castellitto nelle scarpe di Riccardo Schicchi – visione problematica per l’audio infelice quanto la recitazione in romanesco, con dizioni frenetiche al limite dell’incomprensibile – Joker 2 sembra iniziare proprio là dove la storia sulle pornostar di successo termina. Vari preti rifiutano il funerale in chiesa di Schicchi fin quando il richiedente non mostra la corposa busta ripiena di banconote. Dentro l’Arkham state hospital di Gotham city, invece, dove adesso un Arthur Fleck-Joker più che mai scheletrico è recluso in attesa di giudizio, nella barzelletta che un secondino gli racconta, è un cane ad ambire alle esequie religiose. Ma il sacerdote cede solo quando il suo affezionato padrone gli parla di 2000 dollari: «Non mi avevi detto che il tuo cane era cattolico». Lo spettrale Arthur Fleck, però, non ride.
Del resto, Joker ha esaurito la vena clownesca con la quale divertiva le guardie che ora lo trattano con deferenza perché il processo, con annessa esposizione mediatica, è imminente. Su di lui è stato fatto anche un film che lo ha reso ancora più popolare di quanto già fosse prima dell’arresto per l’assassinio di cinque persone, ultimo dei quali un famoso anchorman (Robert De Niro), freddato in diretta. Allo scopo di tenerlo buono in vista del dibattimento in aula, Arthur-Joker viene inserito nel coro di un istituto frequentato anche da donne, dove incontra l’avvenente e devota Harley Quinn (Lady Gaga). Per conquistarlo, Harley gli racconta di esser cresciuta nel suo stesso quartiere, di aver subito la perdita del padre e le vessazioni della madre, e di aver visto decine di volte il suo magnifico film. La scintilla scocca, inevitabile. La coppia tenta anche una scenografica, ma velleitaria fuga. Tuttavia, l’accendersi della passione e la dedizione di Harley, commovente negli incontri ravvicinati dietro le sbarre, non possono che convincere Arthur a giocarsi la difesa al processo nella speranza di costruirsi un futuro. Ora non è più solo, «insieme costruiremo una montagna», è la promessa reciproca dei reietti innamorati. Ma visto che niente è come sembra, nella prima mezz’ora succedono più cose che in tutto Queer di Luca Guadagnino.
Più esistenziale e introspettivo, secondo quanto aveva promesso il regista quando aveva accettato l’invito di Warner Bros al sequel («scaveremo ancora di più nella psiche di Fleck»), questo nuovo lavoro abbandona gli eccessi della rivolta antipotere alimentata dal clown-giustiziere nel precedente. «Ma questo film non è una risposta alla critica di nichilismo rivolta al primo Joker», sottolinea Phillips. È un film che cammina da solo e contiene la presa di coscienza dell’eroe, la comprensione che serve l’amore di qualcun altro per essere sé stessi. Anche a costo di prendere le distanze da un progetto apparentemente buono e dalle migliori intenzioni dei suoi stessi seguaci. Insomma, dall’ideologia che non salva. Lo può fare un evento totalmente altro, che s’intuisce appena nell’ultima canzone del musical. Buona visione.

 

La Verità, 5 settembre 2024