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Domenico Iannacone lascia l’ultima parola alla realtà

Domenico Iannacone è uno che parla poco. Parla poco nei reportage. E parla poco anche in pubblico, non fa annunci e conferenze stampa. Parla poco perché ascolta molto e fa parlare gli altri. E perché osserva molto e fa parlare i fatti e le situazioni. In cinque anni da quando conduce il I dieci comandamenti non lo abbiamo mai sentito lamentarsi per qualche ragione, mai alimentare polemiche. I dieci comandamenti è un programma di documentari e reportage nell’Italia più periferica che va in onda su Rai 3 quasi sempre in seconda serata, ma può accadere che qualche volta, come lunedì scorso, venga anticipato alle 21.10. Ogni puntata ha un titolo, un tema di approfondimento, quello dell’altra sera era Ti voglio amare e narrava l’amore dei siciliani per la loro terra, Palermo soprattutto, città provata dagli attentati di mafia, dall’abbandono, dalla disoccupazione. «Ti voglio amare» è un verso di una canzone di un cantante dilettante che per vivere fa il muratore e dice di questo atto d’amore incondizionato, per una terra che è «senza speranza», come afferma un altro degli intervistati che quasi certamente non ricorda la sentenza di Leonardo Sciascia («Palermo è una città irredimibile»). Iannacone non ha tesi precostituite, teoremi da dimostrare. Va e parla con le persone, soprattutto fa parlare loro. Madre e figlio disoccupati, per esempio, trincerati dentro due stanze cadenti, tornati a Palermo dopo vent’anni in Lombardia e scivolati nella miseria. Fa parlare la principessa Valguarnera Gangi che ha speso vent’anni della sua vita per ripristinare il palazzo di famiglia, una delle poche abitazioni dinastiche ancora conservate e aperte in Europa. Ma che ora, esaurite le risorse economiche ed estenuata dall’indifferenza dei politici italiani, non quelli stranieri, dichiara, tra le lacrime, di aver deciso di vendere la storica dimora. Oppure Iannacone segue Tony Gentile, il fotografo che immortalò Falcone e Borsellino sorridenti, che è andato a rivedere il rottame dell’auto su cui viaggiava Falcone a Capaci, dal quale Giuseppe Costanza, suo autista, uscì miracolosamente vivo perché alla guida c’era proprio il magistrato che si era distratto e aveva rallentato, arrivando un attimo dopo all’appuntamento con la bomba. Costanza non viene mai invitato dalle autorità alle commemorazioni della strage. Oppure parla con i ragazzini del quartiere di Borgo Vecchio: case fatiscenti a due passi dal centro città, dove un giovane rapper prova a farli uscire dall’isolamento. Nel sito del programma vengono chiamate «inchieste morali». E andrebbero mostrate prima dei consigli dei ministri o dei consigli comunali. Iannacone ascolta e lascia l’ultima parola agli intervistati, affidando il commento alla musica e alle immagini. Parlano i fatti.

La Verità, 21 dicembre 2016

Il giornalismo di Lerner alla scoperta dei tanti islam

Niente da dire, Gad Lerner le inchieste e i reportage li sa fare. È noto fin dai tempi dell’Espresso, ancor prima dello sbarco in tv a Profondo nord e Milano, Italia al quale il titolo del nuovo programma fa riferimento (Rai 3, domenica ore 22.50, share del 7,56 per cento). A differenza del format storico, Islam, Italia si svolge tutto in esterni, per intervistare giovani convertiti alla religione salafita, imprenditori del Qatar, la consigliera comunale musulmana a Milano, il professor Stefano Allievi, esperto di Islam. Di confessione ebraica, le domande di Lerner hanno una preoccupazione critica, che si aggiunge alla diffidenza diffusa verso una religione sospettata di essere una teocrazia con eccessi violenti e tendenze dominatrici.

A un ragazzo che, ventenne, è andato a studiare a Medina tornandone salafita chiede perché si proclama continuamente Allah è il più grande: «Non c’è una dimensione competitiva, un’aspirazione dell’Islam a sottomettere le altre confessioni?». Anche la questione del trattamento della donna è un tema caldo. Alla Fiera del Levante dove la comunità si trova nella ricorrenza del sacrificio di Abramo e si prega in stanze separate per sesso, la troupe viene allontanata da quella riservata alle donne. Nello stesso giorno «i tagliagole dello Stato islamico sgozzano alcuni prigionieri come pecore» e Lerner si chiede quanti Islam esistano: l’Islam dei bisognosi, l’Islam deturpato dell’Isis, l’Islam capitalista ma integralista di Al Wahabi. A Doha (Qatar), in uno sfarzoso centro commerciale che imita la galleria di Milano, convivono alta moda e castigatissimi abiti neri. Ma per lo sceicco non c’è contraddizione perché «quando gli affari girano ne beneficiano tutti». Nel quartiere cristiano non si può esporre la croce, le campane sono vietate e l’evangelizzazione è sanzionata con il carcere. Tornati a Milano, il professor Allievi sostiene che l’Islam dei fratelli musulmani e dei salafiti sia più un ostacolo che un veicolo del jihadismo. Ma Sumaya Abdel Qader, giovane consigliera comunale con tre lauree, è stata accusata di apostasia (che in alcuni Paesi arabi comporta la pena di morte) dalle frange integraliste perché, entrando in politica, ha aderito alle leggi italiane.

Insomma, Lerner mostra che l’Islam moderato esiste ed è maggioritario. Ma esiste anche quello ipocrita degli affari e quello pronto agli anatemi e alle rappresaglie. Il viaggio si chiude a Piacenza, dove un gruppo di facchini e magazzinieri prega inginocchiato sulle bandiere sindacali dopo la morte di un confratello, investito da un camion. Sono lavoratori in nero, sfruttati. Esiste anche l’Islam della classe operaia. Lerner le inchieste le sa fare: peccato siano orientate sempre nella stessa direzione.

La Verità, 22 novembre 2016