«Sul Covid obblighi, danni e silenzi: ora capiamo»
Una scrittrice polimorfa, in grado di esprimersi in varie forme letterarie». Così monsignor Massimo Camisasca, vescovo emerito di Reggio Emilia-Guastalla, e suo amico di lunga data, ha definito qualche giorno fa Susanna Tamaro. Si era a Caorle, alla festa organizzata da Tempi per riflettere sul tema «Chiamare le cose con il loro nome», e l’autrice di Va’ dove di porta il cuore e di un’altra quarantina di libri, tra romanzi, saggi e favole per bambini, era stata invitata per ritirare il premio intitolato a Luigi Amicone, fondatore e storico direttore della rivista. Un premio assegnato dalla giuria presieduta da Giuliano Ferrara all’ultimo libro, Tornare umani, edito da Solferino, riflessione critica ad ampio raggio sugli anni vissuti nello scacco della pandemia da Covid-19. Ma anche un premio a tutta l’opera della scrittrice triestina che vive in Umbria, cuore geografico d’Italia, «dove anch’io ho una casa», ha raccontato monsignor Camisasca, «e così ci siamo frequentati nella terra di Francesco e di Benedetto, dove si è snodata tre quarti della storia del cristianesimo mondiale». E dove Tamaro ha scelto di stare «per dedicarmi a pensare anche per chi non vuole o non può farlo, assorbito dalle incombenze quotidiane o sommerso dal rumore che avvolge a tutti i livelli la società contemporanea». È lì, nella collina vicino Orvieto, che è maturata nella scrittrice quella che potremmo chiamare dimensione sapienziale, uno sguardo lucido e profondo sulle vicende del nostro tempo. Uno sguardo anche sanamente distaccato, in forza del quale le capita di assumere posizioni di denuncia, come in questa intervista.
Susanna Tamaro, come ha accolto il premio a Tornare umani, un libro forse un po’ divisivo?
«Con grande gioia perché mi è costato molta fatica per la delicatezza dell’argomento».
Che accoglienza ha avuto al momento della pubblicazione?
«Un’accoglienza ottima da parte dei lettori dai quali continua a essere apprezzato perché è un libro esente da qualsiasi forma di fanatismo. E che si pone domande importanti su quello che abbiamo vissuto in questi anni».
Invece i grandi giornali e i media in generale come l’hanno trattato?
«Non ha avuto un’accoglienza particolarmente benevola, forse perché non è un grande romanzo o per l’argomento trattato che allora era abbastanza esplosivo: la gestione della pandemia».
Eppure è stato pubblicato da Solferino, marchio di proprietà di Urbano Cairo, editore anche del Corriere della Sera.
«E questo è un bel segno perché vuol dire che c’è un editore che crede in un autore e investe su di lui».
Perché secondo lei è un libro importante?
«Perché abbiamo passato due anni di follia totale, soggiogati da due fanatismi contrapposti. Ma le persone normali, che non parteggiavano per nessuna delle due parti, a un certo punto hanno cominciato a farsi delle domande e a cercare delle risposte. Che, però, dalla narrazione ufficiale non arrivavano e non sono arrivate».
In particolare?
«Tutte le questioni relative all’obbligo vaccinale e ai danni del vaccino. Una cosa impensabile in un Paese democratico. E poi la sproporzione dell’allarme mediatico. Si è creato terrore in modo irresponsabile per due o tre anni».
Però la gente moriva.
«Innanzitutto, va detto che per malattia si muore. E si muore anche se non si è curati o si è curati male. È chiaro che una malattia virale importante come il Covid non si può lasciarla agire nel corpo, stando a vedere che cosa succede. La vigile attesa è una tecnica che viene usata soprattutto per monitorare forme tumorali in persone anziane, per capire il rischio o il beneficio di un’eventuale operazione. Come si può applicare questo principio a una malattia che è virulenta? È chiaro che se si lascia un virus agire, poi quando si interviene è molto più difficile debellarlo».
Questo libro ha anticipato alcuni dei dibattiti seguiti nei mesi successivi?
«In qualche modo quando leggevo le cronache delle indagini di Bergamo ci ritrovavo le stesse cose che avevo scritto semplicemente osservando la realtà».
Secondo lei si stenta a parlare in modo trasparente di ciò che è accaduto nella fase acuta della pandemia?
«In Italia abbiamo vissuto una guerra civile che, invece di aprire un dialogo, avviando un tentativo di guarire la memoria dalle ferite ancora aperte, ci invita a fingere che tutto sia andato nel migliore dei modi».
Una forma di censura dolce?
«C’è una volontà di non affrontare l’argomento. Negli altri Paesi europei non è così. La situazione è diversa».
Lei ha evidenze concrete che richiederebbero una maggiore disponibilità ad affrontare questi temi? Situazioni, casi e vicende problematiche?
«Certo. Dato che vivo in un paese vedo la realtà concreta e non quella raccontata dai numeri dei telegiornali. Allora posso dire che vivo con otto persone che conosco da decine di anni. Bene, tre di loro sono state vittime di eventi avversi molto importanti. Non solo, questi eventi non sono stati segnalati anche per la scarsa sensibilità mostrata di fronte alle persone colpite. Persone la cui vita è drammaticamente cambiata».
Secondo lei, con la motivazione della pandemia e da allora in poi, si tende a espandere il controllo sulla vita quotidiana dei cittadini?
«Assolutamente sì. Un fatto che mi irrita profondamente è la legge sulla privacy. I bambini non possono più fare le foto di fine anno scolastico per la privacy, ma questo sistema di controllo conosce anche il colore delle calze che indossiamo la mattina».
Le vittime di questi eventi avversi sono invisibili per la comunicazione mainstream?
«Non solo. Siccome questi danni da vaccino sono situazioni nuove, il sistema sanitario non è in possesso degli strumenti per capire di che cosa si tratta. In Germania, per esempio, già da diversi mesi sono state create équipe mediche che lavorano per capire come curare questi effetti avversi. Pericarditi, miocarditi, infarti fulminanti, paralisi e anche danni cerebrali, compresi certi casi di demenza improvvisa esplosi dopo quattro dosi vaccinali. Situazioni con cui sono personalmente venuta a contatto e che hanno colpito anche persone con cui vivo».
Delle conseguenze negative della vaccinazione massiccia si parlava poco anche prima della morte di Silvio Berlusconi che ha monopolizzato i media negli ultimi giorni.
«Adesso lo si fa ancora meno».
Ha pensato di scrivere sull’argomento? C’è qualcosa che l’ha disturbata e qualcos’altro che invece le è piaciuto nei giorni scorsi?
«No. Dall’esplosione dell’epidemia ho smesso di leggere i giornali e anche di guardare la televisione».
Una scelta molto radicale.
«Quando è troppo è troppo. Dalla guerra in Ucraina ho chiuso tutto. Il male è male, la morte è morte. È tutto una follia».
Il suo rapporto con i giornali e i giornalisti è divenuto più diffidente dopo l’intervista che ha concesso in occasione del Salone del Libro di Torino a proposito della letteratura nelle scuole?
«Già da trent’anni anni diffido dei mass media. Tutta la vita sono stata vittima di giornalisti che si approfittano della mia ingenuità e del mio parlare libero. Mi hanno fatto dire tutto e il contrario di tutto secondo ciò che faceva comodo a loro. Anche in quell’occasione c’è stata una manipolazione del titolo del giornale. La parola odio non l’ho mai usata. Posso aver detto che la scuola fa odiare la letteratura ai ragazzi. Ma è la verità e dobbiamo capire perché».
Basta poco per cadere in qualche trappola?
«Purtroppo il punto d’arrivo finale di questa situazione è che le persone più sensibili sceglieranno il silenzio».
Se fosse una professoressa di lettere delle scuole superiori come, in poche parole, proverebbe ad attrarre gli studenti alla lettura?
«Facendo capire che la letteratura è qualcosa che riguarda profondamente il cuore dell’uomo e la sua capacità di comprendersi e comprendere».
A proposito di persone sensibili che scelgono il silenzio, conosceva i romanzi di Cormac McCarthy?
«Ho letto La strada e visto i film tratti dalle sue opere».
Sta lavorando a qualcosa, un nuovo saggio o romanzo?
« Dopo la fatica di Tornare umani, sto finendo di lavorare a un romanzo che uscirà in autunno».
Nessuna anticipazione?
«Non voglio spoilerare niente. Sarà una grande sorpresa».
La Verità, 20 giugno 2023