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«La fine di Indi mostra che il nostro sistema è sano»

Papillon e certezze granitiche, Simone Pillon lo disegnano come un babau dell’ultradestra. In realtà, l’avvocato che ha difeso la famiglia Gregory nella controversia con l’Alta corte inglese che ha sancito la morte della piccola Indi, è persona dai modi gentili. Avvocato cassazionista, ex senatore della Lega, organizzatore dei Family Day, il suo ultimo libro s’intitola Manuale di resistenza al pensiero unico. Dal gender al transumanesimo (Giubilei Regnani).

Avvocato Pillon, qual è il sentimento che ha lasciato in lei la morte di Indi Gregory?

«È un sentimento ambivalente. Da una parte il dispiacere di non essere riusciti a salvarla, dall’altra la certezza di aver fatto tutto il possibile per portarla in Italia. Infine, provo profonda commozione nel vedere il miracolo che questa bimba ha compiuto oltre che nella sua famiglia anche in tutto il mondo, perché la sua vicenda ha appassionato persone dagli Stati Uniti all’Australia».

Invece qual è la riflessione complessiva su tutta la vicenda?

«Abbiamo la prova provata che il sistema italiano è sano perché si fonda su valori condivisi come il rispetto della sacralità della vita. Mentre un sistema sofisticato e progredito come quello inglese ha perso ormai i valori fondamentali e, di conseguenza, va in corto circuito».

Quando si terrà il funerale della piccola?

«Il papà vuole un funerale religioso che probabilmente si terrà nella grande cattedrale medioevale di Derby. Oltre a questo desidera che siano presenti le autorità italiane e che il feretro della bambina sia avvolto nel tricolore».

La data?

«Tra fine novembre e inizio dicembre».

Perché, pur non essendolo loro, i genitori hanno voluto che Indi fosse battezzata?

«È la parte più commovente della storia. Il papà è sempre stato ateo, ma mi ha confidato che nella vicenda di Indi ha visto l’inferno e il male all’opera. Perciò si è detto che se esiste l’inferno deve per forza esistere anche il paradiso. E ha concluso: “Io voglio che la mia bambina vada in paradiso. E poi voglio andarci anch’io”. Quindi ha chiesto il battesimo per Indi e lo chiederà anche per sé».

Che cosa vuol dire precisamente essere un avvocato cassazionista?

«Avere l’abilitazione a patrocinare presso le supreme corti come la Corte costituzionale, la Corte di Cassazione e le corti europee».

Per Indi Gregory avete presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo?

«Avevamo preparato insieme ai colleghi un ricorso per la violazione dei diritti alla vita, alla libertà di movimento e alla libertà di religione. Purtroppo la bambina non è sopravvissuta abbastanza da permetterci di depositarla».

Da uomo di legge cosa pensa di un ordinamento in cui dei giudici e non i suoi genitori decidono quando, come e dove si deve mettere fine alla vita di un bambino gravemente malato?

«I latini dicevano summum ius summa iniuria, il massimo del diritto è il massimo dell’ingiustizia».

Sintesi inquietante.

«È ciò che si è verificato nel caso di Indi e negli altri casi come il suo. Conosco l’ordinamento britannico e ne ho grande rispetto perché è molto più attento, puntiglioso e approfondito del nostro. Però evidentemente si è perso il quadro generale e sia i giudici che gli avvocati non si sono probabilmente resi conto che sostenere che la morte di una bambina sia nel suo interesse smentisce tutto ciò che sta alla base del diritto».

Ci sono altri Paesi in cui questo avviene?

«Anche nel nostro ci sono casi in cui il giudice si sostituisce ai genitori, per esempio quando i testimoni di Geova rifiutano le trasfusioni per i loro figli. Ma si tratta sempre di interventi a difesa della vita, mai contro di essa. Purtroppo anche in Italia qualcuno comincia a spingere perché si intervenga a tutela della cosiddetta qualità della vita, con norme eutanasiche».

Perché è stato rifiutato il secondo parere di un’altra équipe medica previsto a tutela dei pazienti?

«In realtà, il secondo parere era già stato dato da medici di fiducia del curatore di Indi nominato dal giudice».

E diceva?

«Era conforme a quello dell’ospedale di Nottingham. L’inghippo è proprio qui. Il giudice esautora immediatamente i genitori nominando un curatore del minore a sua scelta che, ovviamente, fa ciò che gli dice il giudice. Il parere medico del Bambin Gesù sarebbe stato il terzo ed era in contrasto con gli altri due».

Un ordinamento monolitico?

«Che si fonda sulla collaborazione ai limiti della complicità tra il sistema sanitario pubblico e il Cafcass (Children and family court advisory and support service ndr), un gigantesco ente pubblico che riunisce assistenti sociali, psicologi, curatori speciali dei minori e avvocati contro cui la famiglia non ha alcuna possibilità di vincere».

Sembra uno spicchio di società distopica.

«Che qualcuno vorrebbe introdurre anche in Italia, istituendo forme di collaborazione diretta tra servizi sociali, giudici e curatori dei minori».

Come a Bibbiano?

«Esatto».

Le aspettative dei genitori coincidono sempre con il bene dei bambini malati?

«I genitori di Indi avevano ben chiaro che la bambina non sarebbe mai guarita e che l’aspettativa di vita data dalla sindrome mitocondriale era molto ridotta. Volevano offrirle tutte le opzioni possibili per una presa in carico che le desse le migliori prospettive».

Qual è il confine tra accanimento terapeutico e scivolamento nell’eutanasia?

«Dobbiamo trovare un equilibrio tra Scilla e Cariddi. Non si possono applicare trattamenti inutili o peggio controproducenti. Ma dall’altra parte non si può cadere nell’abbandono terapeutico. Io credo che il limite sia dato dai cosiddetti sostegni vitali, alimentazione, idratazione e respirazione, che non possono mai essere negati a nessuno».

Perché tra tanti casi finiti come per Indi Gregory, solo per Tafida Reqeeb, la bambina che 4 anni fa è stata trasferita dal Royal Hospital di Londra al Gaslini di Genova dove tuttora vive, la decisione è stata diversa?

«In quel caso decise un giudice illuminato che nel provvedimento parlò proprio di sacralità della vita. Ma qualcuno mi dice che la decisione fu assunta anche perché agli atti era stata depositata la fatwa di un imam che assicurava la maledizione di Allah su chiunque avesse attentato alla vita della piccola di religione musulmana».

Il sistema sanitario che dispone di risorse limitate può ritenere che il prolungarsi delle cure per malati inguaribili penalizzi altri malati?

«L’ospedale non può decidere di rifiutare cure, può rifiutare terapie».

Che differenza c’è?

«La terapia mira alla guarigione, la cura è data da quei supporti vitali e da tutte le attenzioni che circondano il paziente che non possono essere rifiutate».

Michele Serra ha detto che San Francesco parlava di «sorella morte» e i cattolici dovrebbero saperla accettare con maggior disponibilità.

«È vero. Nella prospettiva della fede la morte è un passaggio alla nostra condizione definitiva. Ma non per questo è lecito disprezzare la vita come la conosciamo che è un tempo concesso a ogni uomo ed è per sua natura la cosa più preziosa che abbiamo su questa terra».

Altri opinionisti hanno detto che lo zelo usato nel concedere la cittadinanza a Indi dovrebbe esserci per concederla ai figli di immigrati che già vivono e studiano in Italia.

«La situazione di Indi era di pericolo di vita e questo ha giustificato la procedura di urgenza. Se non ci fosse stato il pericolo di vita come nel caso di Tafida Reqeeb, il cui ingresso in Italia è stato autorizzato senza grossi problemi, non sarebbe stata necessaria la cittadinanza».

Nel 2018 è diventato senatore della Lega, perché alle ultime elezioni non è stato rieletto?

«C’è stata una scelta da parte della segreteria politica di mettere la mia candidatura in una posizione estremamente difficile. Ho accettato questa decisione anche per mostrare che il mio impegno non dipende dal mio ruolo nel palazzo, ma è motivato da ragioni più alte. Ho sempre combattuto la battaglia per la vita e la famiglia e continuerò a farlo dovunque mi trovi».

È sempre convinto che si possa ridiscutere la legge 194 per arrivare a una situazione di aborti zero?

«Sono convinto che le prossime generazioni guarderanno con orrore alla nostra che solo in Italia ha condannato a morte 6 milioni di bambini dal 1978 a oggi. Certamente la legge sull’aborto sarà cancellata. Si tratta solo di continuare la battaglia culturale e politica affinché tutti comprendano che un Paese civile e progredito ha a disposizione altri strumenti per risolvere i problemi senza bisogno di sbarazzarsi dei bambini non ancora nati».

Che cosa pensa dell’attività di Giulia Bongiorno, presidente della Commissione giustizia del Senato nonché legale della presunta vittima di stupro nel processo che vede imputato Ciro Grillo?

«Giulia Bongiorno è certamente una validissima collega. Non è un mistero che io e lei non abbiamo la stessa visione su temi come l’affido condiviso e l’eutanasia. Io, al suo posto, avrei preferito rifiutare la difesa in questione, ma non vedo ragioni di carattere deontologico per censurare la sua libera scelta».

Che cosa propone il suo Manuale di resistenza al pensiero unico?

«Ho raccontato molte storie di persone massacrate dal pensiero unico Lgbt, esponendo alcune proposte di resistenza. Tra queste le più importanti sono il fare rete, l’appoggiarsi alla politica senza farsene condizionare, il testimoniare nella vita quanto si sostiene con le parole e soprattutto il ricorrere alla forza potente della preghiera. Non dimentichiamoci che l’impero sovietico fu abbattuto da un pugno di operai polacchi che cominciarono la loro battaglia pregando di nascosto il rosario nei cantieri Lenin di Danzica. Come diceva Santa Teresa di Lisieux: “Quando il cristiano si mette in ginocchio il mondo trema”».

Si ritrova nella definizione di rappresentante delle istanze ultra-conservatrici?

«La definizione di conservatore può avere un senso, ma Gilbert Keith Chesterton già ci metteva in guardia sostenendo che compito dei progressisti è commettere errori, mentre compito dei conservatori è fare in modo che quegli errori non vengano corretti. Purtroppo si sta verificando questa profezia e sui temi valoriali ormai in molti paesi non c’è più differenza tra destra e sinistra. Il mio impegno è per la difesa e la promozione della vita umana sempre, della meravigliosa differenza tra maschile e femminile e per la promozione della famiglia società naturale, così come ci è stata tramandata da millenni di evoluzione, nonché salvaguardare le nostre radici cristiane. Se questo è essere ultra conservatori allora lo sono».

 

La Verità, 18 novembre 2023

Il Papa spericolato vuole parlare ai lontani

Il mezzo è il messaggio e abbiamo un Papa spericolato. Detta in sintesi, la questione è tutta qui. All’indomani dell’ospitata di Francesco nello studio di Che tempo che fa retto da Fabio Fazio si rincorrono analisi e interpretazioni attorno all’evento. Il Vicario di Cristo in terra che si fa intervistare in un talk show abitualmente frequentato da politici, imprenditori e star dello spettacolo diventa un personaggio mediatico al pari di Bill Gates, Barack Obama e Lady Gaga. Diventa uno scoop giornalistico. Bergoglio ha fatto questa scelta fin dall’inizio del pontificato, concedendosi a giornalisti diversamente autorevoli e specializzati. Se il fatto s’inflaziona, però, il titolare della Cattedra di San Pietro entra nel flusso della comunicazione e perde sacralità.

Il caso più emblematico sono state le conversazioni di Francesco con Eugenio Scalfari, fondatore di Repubblica. Altre volte è comparso all’interno di programmi televisivi. In questi casi il rischio di subire manipolazioni è inevitabile. L’intervista concessa al conduttore di Rai 3 è stata registrata nel pomeriggio e, come ha notato il sito Dagospia soffermandosi sui salti dell’orario segnato dall’orologio del Pontefice, è stata tagliata e lavorata. La cosa in sé non desta particolare scandalo. Ciò che conta è che anche questi aggiustamenti siano stati concordati con la Sala stampa della Santa Sede. In passato non è sempre stato così. Scalfari andava a trovare Bergoglio a Santa Marta privo di registratore, senza prendere appunti e vergava l’articolo basandosi sulla sua veneranda e forse selettiva memoria. Come sappiamo, la versione riportata sul quotidiano non era particolarmente aderente alle parole del capo della Chiesa. Eppure, Francesco ha continuato a incontrarlo, correndo ancora il rischio. In tv il potere dell’intermediatore è inferiore a quello di un giornalista della carta stampata che non attenda il visto finale per la pubblicazione. E ancora minore sarebbe stato se la conversazione fosse avvenuta in diretta. Quindi, da questo punto di vista, Bergoglio è stato un po’ meno spericolato.

C’è poi un altro effetto collaterale: l’approccio dell’intervistatore si allunga sulla figura dell’intervistato. Nel caso di Fazio, il proverbiale buonismo condito di malizia left oriented si è addensato nelle insistenti domande sui migranti e le emergenze ambientali, nella speranza di strappargli qualche anatema contro i sovranismi, causa di tutti i mali del pianeta. Francesco deve averlo deluso osservando che è «un’ingiustizia» il fatto che l’accoglienza sia delegata all’Italia e alla Spagna. Sull’ambiente e il riscaldamento climatico, è apparso invece più mainstream. Ma la mielosità del conduttore ha rischiato di contaminare l’intero confronto. Non sono state poste domande sugli scandali dentro la Chiesa e il celibato dei preti e non si è parlato dei cristiani perseguitati in tanti Paesi del mondo. In un’ora d’intervista il tempo per farlo c’era.

Nel marzo di due anni fa, a pandemia appena esplosa, il quotidiano La Repubblica chiese degli interventi a personalità della cultura su cosa stavano imparando dal lockdown. Fazio fu tra i primi a distillare il proprio decalogo. Un paio di giorni dopo, interpellato dal vaticanista del giornale, Bergoglio confessò sorprendentemente che era stato molto colpito dalle sue parole. Molti giustamente si scandalizzarono: mentre il mondo precipitava in un tempo cupo e fior d’intellettuali anche non credenti cercavano conforto in Fëdor Dostoevskij e Sant’Agostino, il capo della cristianità citava un conduttore televisivo di moda.

L’altra sera Bergoglio è stato più prudente e ha dosato gli abituali temi mondialisti con la dimensione pastorale. Per esempio quando ha parlato della necessità e del «diritto al perdono». O quando ha detto  che la Chiesa deve «ripartire dall’incarnazione di Cristo… il Verbo si è fatto carne». Una sottolineatura che i resoconti euforici sui temi sociali hanno ignorato. È un altro dei rischi che lo spericolato Francesco corre usando i media mainstream. Perché lo fa? Perché spera d’intercettare un pubblico diverso da quello che frequenta le chiese. Facendolo paga dei prezzi. Ma scandalizzarsi troppo rischia di farci somigliare ai farisei che inorridivano perché Gesù andava a cena con i pubblicani e le prostitute.

Speriamo solo di non trovarcelo da Lilli Gruber…

 

La Verità, 8 febbraio 2022